Helena Norberg-Hodge: più forza all’economia locale per uscire dalla globalizzazione

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L’ambientalista svedese, nel suo docu-film “L’Economia della felicità”, indica la strada per uscire dalla crisi ecologica e sociale, combattendo la logica del profitto e della crescita a tutti i costi

Helena Norberg-Hodge si occupa da anni di studiare i fenomeni di economia locale per contrapporli alla globalizzazione e alla logica del profitto delle multinazionali.

Antropologa, ricercatrice e autrice del docu-film l’Economia della felicità spiega in questa intervista, a margine di uno dei tanti incontri cui ha partecipato nell’ambito della “Terza conferenza sulla decrescita Venezia 2012″, che la globalizzazione è una deregulation dell’economia globale, creata abolendo le leggi che proteggevano le società e gli stati per abusare del profitto. E che, per vincerla, bisogna ridare forza alle comunità locali e alle produzioni a basso impatto.

La prima cosa è esaminare che cosa ha prodotto questo fenomeno, favorito dagli stati che hanno appoggiato il business delle multinazionali e delle banche senza rendersi conto di quello che stavano facendo.

Il dogma della crescita a tutti i costi ha creato un modello economico che prevede scambi commerciali globali non all’interno delle regioni ma che vanno oltre le frontiere allungando le distanze. Ciò fa si che i paesi importino ed esportino le stesse cose in egual misura. Lo fanno anche gli Stati Uniti con la carne di manzo, la Gran Bretagna col burro.

Salvo poche eccezioni, in ogni paese del mondo il cibo prodotto a un miglio di distanza costa meno del cibo importato da migliaia di chilometri di distanza. A Ulan Bator in Mongolia dove ci sono 25mila capi animali, non si trova il burro locale, ma solo quello che viene importato dalla Germania. In Inghilterra il burro Australiano costa un terzo di quello prodotto a un miglio di distanza. Una cosa senza senso.

Dobbiamo agire per cambiare questo sistema facendo in modo che si consumino prodotti provenienti dalla propria terra, realizzati dai piccoli produttori locali. Solo così le multinazionali non faranno soldi e la maggioranza della popolazione mondiale potrebbe aver accesso a frutta fresca ed altri prodotti ad un prezzo ragionevole.

La localizzazione è la ricetta che può funzionare se si crea un dialogo più intenso tra gli stati soprattutto tra quelli del Nord e del Sud del mondo. Nel mio film L’Economia della Felicità parlo di quanti problemi la globalizzazione ha creato e spiego come l’attivismo e la localizzazione possano essere l’alternativa. Ci sono alcuni esempi positivi che giungono da realtà di alcuni paesi.

Immagino si riferisca a gruppi locali di produttori come “Via campesina” in Sudamerica che sono molto diffusi. Questo sistema può essere adattato anche ai paesi sviluppati?

Sì, perché di questi gruppi fanno parte anche i paesi industrializzati. Ciò di cui hanno bisogno questi produttori sono più consumatori e più attivisti che li pubblicizzino e che diffondano il loro lavoro anche nei paesi occidentali.

Loro sono piccoli e non possono investire nel far sentire la propria voce, nel far sapere a tutti che esistono. È incredibile come miliardi di persone sulla Terra non sappiano nulla di loro anche se sono il più grande movimento sociale del mondo.

Decrescita ed economia della felicità vanno insieme?

Dal mio punto di vista sono la stessa cosa: parole diverse per descrivere lo stesso concetto, lo stesso sistema lontano dal globale, verso il locale. È da quattro decadi che promuovo questo sistema lavorando in dozzine di paesi. Sono ottimista sulla riuscita dell’economia della felicità.

Come si fa a diffondere il messaggio della localizzazione dal momento che le multinazionali controllano i media e ricattano i governi?

La prima cosa è far capire ai cittadini quanto le loro menti siano controllate e dominate da questi messaggi. Ogni angolo dello scibile, dei media, della cultura, dell’arte, è controllato dai soldi e da messaggi di violenza, sesso, sopraffazione, intrattenimento ma senza contenuti consapevoli.

Dobbiamo lavorare per avere un altro tipo di informazione e i milioni di persone che si battono per delle cause giuste devono fare di tutto per convertire questo impegno in una chiara analisi della realtà e della direzione da prendere.

Possiamo farcela se usiamo radio di comunità, media alternativi, internet in una maniera più costruttiva incoraggiando i gruppi locali. Così l’informazione e una nuova visione del mondo potranno diffondersi più velocemente e in modo più proficuo.

Da wisesociety.it

Di Michele Novaga

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