PARCO DEL POLLINO – I paesi del Parco: Morano Calabro

Morano è uno dei centri più caratteristici e suggestivi di Calabria, Città d’Arte della Regione e del Parco Nazionale del Pollino. Il paese sorge su un colle a circa 700 metri di altitudine ed ha come sfondo naturale il versante calabrese del massiccio del Pollino (m.2248), le vette del Dolcedorme (m.2267) e della Serra del Prete (m.2186). L’abitato è un singolarissimo affaccio panoramico, sull’ampia Valle del fiume Coscile (l’antico Sybaris), un tempo avamposto strategico, crocevia culturale e commerciale, dove nel corso dei secoli si sndava, dall’età magno-greca (VI sec. a.C.), una delle vie istimiche tra lo Jonio e il Tirreno. Ad epoca romana risalgono i toponomi Muranum e Summuranum, da cui deriva l’attuale denominazione del paese. Il primo, il più antico, compare in un’antica pietra miliare del II secolo a.C. reperita a Polla, nel Vallo di Diano. Nel “Lapis Pollae”, Muranum risulta ‘stazione’ della Regio-Capuam, antica via consolare romana, comunemente conosciuta come Popilia-Annia, che costituiva l’unico accesso alla Calabria lungo la terraferma. Summuranum, che figura invece nello Itinerario di Antonino (II sec. d.C.) e nella Tabula Peutingeriana (III sec. d.C.), designava presumibilmente altra ‘statio’ sulla medesima Regio-Capuam, ovvero su tracciato viario, alternativo a questa, che scorreva a valle, a ridosso dell’abitato di Morano e di Castrovillari, nei pressi della contrada Fauciglia. All’epoca romana risalgono i resti di antico fortilizio, su cui in età normanna sorse, in cima al colle su cui si erge Morano, il nucleo originario delle prime fortificazioni. Sospeso tra cielo e monti il Castello, da secoli a difesa dell’accesso della Calabria, venne ristrutturato e ampliato nella prima metà del ‘500 da Pietro Antonio Sanseverino, principe di Bisignano, feudatario di Morano; nel corso del secolo XVII la fortezza passò agli Spinelli principi di Scalea, nuovi signori di Morano fino al 1806. Agli stessi feudatari apparteneva anche il vasto complesso residenziale (il Palazzo), ubicato nella parte bassa del paese, nelle adiacenze dell’arco che sormonta l’antica Statale delle Calabrie. Aggregato in tre rioni, intorno al castello e alle chiese più importanti, l’abitato di Morano, attarente e monumentale, si sviluppa verso valle, dal medioevo all’età moderna, all’interno di un sistema di cinte murarie. La maglia urbana, urbana, fitta e intricata, fa della località uno dei centri storici di origine medievale più integri della Calabria. Feudo nell’età medievale di Apollonio Morano, dei Fasanella e di Antonello Fuscaldo, in età aragonese passò ai Sanseverino di Bisignano, nel 1614 fu alienato agli Spinelli di Scalea che lo terranno fino all’eversione della feudalità (1806). L’appellativo di Calabro, per il centro dell’alto Cosentino, è un aggiunta del 1863, per distinguerla da Morano sul Po.

Museo di Storia dell’Agricoltura e della Pastorizia

Il Museo, nato tra il 1984 – 1985 dall’ampliamento della Mostra Contadini e Pastori a Morano tra passato e presente (1981), è sistemato negli antichi ambienti di Palazzo Salmena dal 2003.

Attualmente il Museo si articola in nove sezioni, all’interno delle quali, attraverso una indagine interdisciplinare di storia sociale, viene offerta una lettura dei settori primari dell’economia del territorio moranese.
L’esposizione si avvale della rassegna di vari attrezzi da lavoro, utensili e oggetti di’uso domestico, carri e altri mezzi di trasporto, esemplari del vestiario popolare. Il tutto non è esente da un certo fascino rievocativo – documentario e viene a correlare ciò che sono le testimonianze importanti della cultura materiale, a strumenti grafici e fotografici.

Nelle sezioni viene analizzato il territorio, il paesaggio agrario, l’uso del suolo (I sez.), il rapporto organico tra l’uomo e l’ambiente; l’assetto e la distribuzione della proprietà terriera, le varie fasi dell’agricoltura e della pastorizia (II – III – IV – V Sez.).

Interessanti sono  le tavole che visualizzano l’evoluzione dell’insediamento  e l’edilizia rurali (VI – VII Sez.), le tipologie delle costruzioni contadine e padronali.

Altre tavole (Tavv. 3,4,8,9,10; I Sez.) permettono di seguire le fasi storiche dell’espansione urbana di Morano dal Medioevo all’Ottocento, in riferimento alle varie spinte demografiche. Lo sviluppo dell’abitato è documentato fino al suo assestamento che coincide con un forte decremento della popolazione tra il 1881 e il 1901. Fenomeno, quest’ultimo che, come conseguenza dell’emigrazione transoceanica, inaugura, tra l’altro, un’avventura per le varie generazioni di moranesi che tuttora vivono in America (attualmente circa 20.000, tra oriundi e nativi, si trovano a Porto Alegre in Brasile).

Ben documentata nella VIII sezione del Museo, è la lavorazione manuale della lana, della seta, del lino, attività connessa all’agricoltura e alla pastorizia. Alla storia di queste produzioni si collegano la I e la IX sezione, le quali analizzano, sotto angolazioni differenti, l’utilizzo delle acque in agricoltura e nelle industrie rurali (mulini e gualchiere).

L’industria rurale della lana e della seta di Morano vive a stento fino agli anni Trenta – Quaranta del ‘900, dopo aver costituito una delle principali attività del luogo, meta nei secoli di commerci di panni.

Link al sito del museo: www.museoagropastoralemorano.org

I ruderi del Monastero di Colloreto

Ruderi del Monastero di Colloreto

I ruderi del Monastero di Colloreto (1546), si trovano a 7 Km circa dall’abitato (nei pressi dell’uscita autostradale per Morano), in località ricca di boschi sita proprio alle pendici del Pollino.

Gli Agostiniani di Colloreto, si distinsero rispetto agli altri ordini ecclesiastici presenti in Morano, per le commissioni di alto livello artistico fatte pervenire nella loro Chiesa.

Il cenobio poté godere infatti della protezione di molti nobili del luogo, oltre che della particolare munificenza di Erina Kastriota Skanderberg, moglie del feudatario Pietro Antonio Sanseverino, per grazia ricevuta in seguito alla nascita di Nicola Bernardino (1551-1606), ultimo dei Sanseverino.

La Congregazione degli Eremitani di Colloreto, riconosciuta ufficialmente nel 1604, divenuta molto potente e facoltosa, col tempo venne soppressa: una prima volta nel 1751 e poi definitivamente nel 1809, con le leggi murattiane che prevedevano l’abolizione dei monasteri e di tutti gli altri ordini religiosi possidenti. In seguito a questi eventi, le prestigiose opere d’arte custodite nella Chiesa dei ‘Colloretani’, confluirono in paese, nelle chiese moranesi, dove a tutt’oggi si possono ancora ammirare.

Particolare del Monastero di Colloreto

Le chiese

San Bernardino da Siena

San Berardino

La chiesa dei Francescani Osservanti, dedicata a San Bernardino da Siena, si trova nei pressi della villa comunale.
Il complesso conventuale venne fondato nel 1452 da Pietro Antonio Sanseverino, feudatario di Morano e futuro Principe di Bisignano. La chiesa, esempio di architettura monastica quattrocentesca, è in stile tardo-gotico, recuperato nel corso di un restauro ‘filologico’ degli anni Cinquanta, che ha eliminato le sovrapposizioni stilistiche delle epoche successive.
Nel portico antistante, che presenta in facciata quattro arcate a tutto sesto, più una laterale, si ammirano interessanti frammenti di affreschi, datati 1499, avvicinabili stilisticamente al ciclo della cattedrale di Cassano Jonio.

San Berardino

Due portali in pietra gialla, entrambi in stile tardo-gotico, spiccano sulla facciata: uno ogivale su pilastri polistili (di accesso alla chiesa), uno ad arco ribassato (di accesso al chiostro) di influenza durazzesco-catalana, derivato da stilemi in uso nell’architettura civile napoletana. L’uso dei materiali a vista,  come la pietra e il legno, conferiscono all’architettura dell’edificio quella severità e sobrietà tipica degli ambienti francescani. Alte e nude pareti dell’interno, a navata unica, costituivano gli sfondi in cui ben si armonizzavano un tempo architettura e arte e introducono ancora oggi in un atmosfera semplice e nello stesso tempo mistica.
Al centro, sotto l’arco santo, campeggiava il Polittico del veneto Bartolomeo Vivarini(Murano, 1430 ca. – Venezia, post. 1491), pregevole opera, datata 1477, che temporaneamente si custodisce nella sacrestia della Chiesa della Maddalena. Sotto lo stesso arco santo della Chiesa degli Osservati, è il Crocifisso ligneo, drammatico e realistico, tuttora posto al di sopra della trave-catena ed attribuibile a scultore meridionale del secolo XV.

Chiesa di San Nicola

San Nicola

La chiesa di San Nicola è costituita da due corpi di fabbrica, posti su due livelli: il superiore, edificato tra il 1450-60 d.c., è dedicata a San Nicola; quello inferiore, di epoca precedente, è dedicato a Santa Maria delle Grazie. La Chiesa superiore, a navata unica, ha assunto un aspetto baroccheggiante, grazie ai rifacimenti tardo-settecenteschi. In origine l’edificio ecclesiastico doveva avere diverse affinità con la coeva chiesa di S. Bernardino, come testimonia lo storico Antonio Salmena, cultore di memorie locali vissuto nel XIX secolo. Presentava infatti soffittatura in legno cassettonato e crocifisso in legno collocato similmente sopra la trave-catena. Elemento superstite di tali derivazioni tipologiche-stilistiche. Rimane attualmente soltanto il portale maggiore di forma ogivale, che rievoca quello della chiesa bernardiniana. Tra le opere che costituiscono il patrimonio storico-artistico di questa chiesa è da menzionare, la Madonna di Trapani eseguita tra la fine del XVI e gli inizi del XVII secolo. La statuetta, in marmo d’alabastro bianco, discende dal tipo di Nino Pisano eseguita, tra il 1340-’45, per la Chiesa dell’Annunziata di Trapani ed è collegabile ad altri esemplari simili presenti a Saracena e ad Altomonte. Di pregevole esecuzione è la Madonna tra S. Lucia e S. Caterina d’Alessandria, tela commissionata nel 1598, originariamente per l’altare maggiore, dall’Università di Morano che aveva patronato in questa chiesa. È opera di Pedro Torres, pittore attivo a Napoli tra il 1591 e il 1603, ben rappresentato a Morano. Al XVI secolo risalgono sia la Circoncisione (IV altare a destra), che la Trinità (1580). La pala della ‘Trinità’, ora in sacrestia, è assegnabile a Giovan Tommaso Conte, seguace negronesco, attivo sul finire del secolo XVI nella vicina Castrovillari. La tela decorava l’altare della Congrega della Trinità o dei ‘Sacchi Rossi’ (in origine nell’abside della Chiesa superiore). L’Immacolata, la Madonna del Carmine e le Anime del Purgatorio (III e IV altare a destra) sono opere della seconda metà del XVIII secolo, attribuite al moranese Fedele Lo Tufo (1730 c. – 1822 c.). L’arredo ligneo della chiesa è di ottima fattura locale: il Coro di A. Fusco è del 1779; di Giorgio Frunzi (1795) è sia il Confessionale (a sinistra della navata) che lo Stipo a muro della Sacrestia.

San Nicola chiesa inferiore

Il Succorpo ipogeo, dedicato a Santa Maria delle Grazie, risale ad epoca precedente rispetto alla chiesa superiore ed è di difficile datazione. Sotto il pavimento si trovavano, fino alla fine del XIX, le tombe dell’antica famiglia dei baroni Salmena. Stesso patronato aveva l’altare della Madonna del Carmine, spostato nel succorpo nel corso del XVII secolo, per volontà di Domenico Salmena. La tela che decorava questo altare (la prima a destra del succorpo), raffigura la Madonna del Carmine tra S. Silvestro e S. Francesco di Paola ed è attribuita a pittore di cultura fiammingheggiante della fine del XVI inizi del XVII secolo. Di fronte a questo altare è collocata la tela della Madonna del Buon Consiglio, protettrice degli italo-albanesi, che si assegna a pittore locale del XVIII secolo. Sull’altare maggio resi ammira la suggestiva Madonna delle Grazie detta anche della Candelora (sec. XVI) dal titolo dell’omonima Confraternita che aveva sede nel succorpo.

Chiesa dei Santi Apostoli Pietro e Paolo

SS Pietro e Paolo

La chiesa, che sorge nella parte alta del paese, nei pressi del Castello, è una delle più antiche di Morano. Risale infatti forse al Mille, anche se i vari rifacimenti avvenuti nel corso dei secoli non permettono di individuare gli elementi architettonici più antichi. Il campanile, d’epoca medioevale, si presentava inizialmente distaccato dal resto dell’edificio ed è tuttora arretrato rispetto alla chiesa. Risultato dei lavori eseguiti tra il 1822 e il 1886 è invece la cupola a calotta. Lo spazio interno della chiesa, attualmente a tre navate e a croce latina, deve il suo aspetto tardo-barocco, con dichiarati preludi al rococò, agli interventi di fine secolo XVIII. Le opere più antiche custodite in questa chiesa risalgono al XV secolo: agli inizi del Quattrocento sembra assegnabile il Fronte di Sarcofago (murato nella parete laterale sinistra della sacrestia), bassorilievo su pietra appartenente alla tomba della famiglia Fasanella, feudataria di Morano dal 1200 alla metà del ‘400. Di stile quattrocentesco è l’affresco staccato, che si osserva nel primo altare della navata sinistra, raffigurante la Madonna delle Grazie, proveniente dalla omonima e diruta chiesetta, sita fuori dalle mura. Di particolare pregio è la Croce processionale d’argento (1445), dono del sacerdote Antonello de Sassone. Il manufatto, che rientra in un gruppo di cui fanno parte anche gli esemplari di S. Donato di Ninea, di Nocara, di Amendolara, è ascrivibile alla produzione argentaria napoletana, come si deduce dal punzone che si legge sulla croce di Nocara, similissima a questa di Morano.

S. Paolo

S. Paolo

Nelle nicchie laterali dell’altare maggiore ed in quelle dei bracci laterali del transetto sono collocate due coppie di statue marmoree di Pietro Bernini (1562-1629), padre di Gianlorenzo, noto scultore barocco di origine toscana attivo a Napoli tra la fine del ‘500 e gli inizi del ‘600. La S. Caterina d’Alessandria e la S. Lucia, originariamente pertinenti la chiesa degli agostiniani di Colloreto, sono opere del 1592. Il San Pietro (transetto sinistro) e il San Paolo (transetto destro), patroni dell’omonima arcipretura moranese, sono invece del 1601. Le due coppie di sculture testimoniano fasi diverse dell’opera del Bernini: più esuberanti le prime, volte ad ottenere effetti pittorici e luministici della materia, più classiche le seconde.

S Pietro

S. Pietro

Allo stesso secolo XVII risalgono altre due opere scultoree: la statua lignea della Candelora (V altare, navata sinistra), che proviene dal Convento di Colloreto ed è attribuita a Giovan Pietro Cerchiaro, esponente dell’artigianato locale della seconda metà del Seicento e la statua marmorea di S. Carlo Borromeo (braccio destro del transetto) attribuita ad autore di cultura napoletana, la quale risulta inserita in un maestoso altare di gusto tardo secentesco, ricomposto nel secolo successivo. Tra le opere pittoriche della chiesa ricordiamo ilCompianto sul Cristo morto (III altare, navata destra) di Cristofaro Roncalli detto ilPomarancio (1552-1626), pittore di origine toscana, attivo tra Roma e le Marche. La tela era parte integrante di un polittico smembrato, i cui laterali, raffiguranti San Pietro eSan Paolo, si ammirano oggi nell’abside. L’opera, coronata un tempo dallo stemma dell’Università di Morano, decorava probabilmente l’altare di Santa Maria della Pietà, sede di una Congrega in questa chiesa e luogo pio dell’Università di Morano. Da segnalare è pure l’Immacolata (1602) di Pedro Torres, un tempo pala dell’altare maggiore, oggi invece in sacrestia. Belle e interessanti pale d’altare sono quelle attribuite a Giovan Battista Colimodio da Orsomarso, pittore calabrese aggiornato sulle novità del naturalismo napoletano del Seicento. Le opere, datate 1666, raffigurano rispettivamente la Madonna col Bambino in trono e quattro Santi(II altare, navata destra) e l’Adorazione dei pastori (III altare, navata sinistra).

Santa Caterina

Santa Caterina

I rinnovamenti artistico-architettonici che nel corso del XVIII secolo interessarono la chiesa dei SS. Pietro e Paolo, coincidono con quelli delle altre chiese moranesi di San Nicola e della Maddalena e sono concomitanti con la disputa che vide impegnate le tre chiese, per il titolo di chiesa matrice e di arcipretura. A quest’epoca risalgono gli altari marmorei, provenienti da Napoli sul finire del secolo XVIII. Gli arredi lignei sono invece della locale bottega dei Fusco: il Leggio(1793) è opera di Agostino; della bottega di Agostino e Marioè il Pulpito. Il Coro, in prezioso stile rococò, è il capolavoro di questa famiglia di ebanisti, che ricorre con sapienza e abilità di esecuzione a decori raffinati “à la page” con le novità del rococò europeo. L’opera, iniziata da Agostino, nel 1792, venne terminata dal figlio Francesco Mario, che ultimò la sedia presbiteriale nel 1805 insieme a un certo Romualdo Le Rose. In alto, nelle piccole cimase, non passano inosservati i medaglioni dipinti che simulano le decorazioni ‘a cammeo’, tipiche anche queste del mobile “rocaille”. Sono piccoli ritratti degli Apostoli, eseguiti da Genesio Galtieri, pittore calabrese originario della vicina Mormanno (documentato dal 1768 al 1810), collaboratore dei Fusco anche negli intagli di Santa Maria del Gamio a Saracena.

Santa Lucia

Santa Lucia

Chiesa di Santa Maria Maddalena

La chiesa, che si trova nella piazza principale, rappresenta il polo d’attrazione su cui orbitò lo sviluppo del paese a partire dal XVI secolo. In particolare si può notare come la cupola e il campanile maiolicati verde-ocra, siano sempre fruibili da qualsiasi angolo del centro storico, creando gradevoli accordi cromatici con l’azzurro del cielo, le tegole dei tetti, il verde delle montagne. La Chiesa di Santa Maria Maddalena venne edificata, probabilmente in epoca medievale, sui resti di un’antica cappella sub-urbana, in origine fuori le mura, sita in un bosco d’olmi tra due corsi d’acqua. Ampliata e restaurata nel corso dei secoli XVI e XVIII, venne consacrata nel 1569 3 nel 1757, rispettivamente dopo la prima e la seconda fase dei lavori. In particolare i rifacimenti settecenteschi, che conferiscono alla chiesa l’attuale aspetto tardo-barocco, si protrassero anche a ridosso del secolo XIX. A quell’epoca si devono infatti il completamento del campanile (1804-’17), la facciata in stile neoclassico (1841-1844), la maiolica tura policroma della Cupola e del Campanile (1862).

Cupola S. Maddalena

Cupola maiolicata
S. Maria Maddalena

Alla storia della chiesa cinque/seicentesca appartengono ilFonte Battesimale del 1579 (a destra del portale maggiore), completato da un cappello ligneo del tardo ‘700 e l’Acquasantiera, eseguita forse dallo stesso lapicida nel 1581. Del 1600 sono i quattro dipinti dell’abside, raffiguranti Episodi della vita di Santa Maria Maddalena, che costituivano le ante di un organo. Le tele spettano aPedro Torres pittore di cultura fiammingheggiante, autore a Morano delle pale degli altari maggiori delle chiese del Carmine (1594), di S. Nicola (1598) e di quella di San Pietro (1602), nonché di un San Diego coi suoi miracoli(1600) proveniente dalla chiesa di San Bernardino.

Agli inizi del ‘600 risale il soffitto ligneo cassettonato della sacrestia, eseguito da maestranze locali e dipinto probabilmente, secondo l’usanza, nel secolo successivo. Il manufatto doveva essere abbastanza simile all’originario intempiato della navata centrale della chiesa, al centro del quale verosimilmente trovava posto un affascinante scultura lignea della Maddalena (sec. XVII), attualmente sistemata nella navata sinistra (I altare). Altra statua raffigurante la titolare è quella collocata al centro della parete presbiteriale, opera attribuita a Michelangelo Naccherino (Firenze 1550 – Napoli 1622) in origine parte integrante di un altare ligneo intagliato e dorato andato perso.

Polittico Vivarini

Polittico di Bartolomeo Vivarini

‘La Maddalena’: una Chiesa-Museo.

La ricca presenza di opere d’arte, molte delle quali provenienti dalle altre chiese moranesi, permette di definire la ‘Maddalena’ una sorta di Chiesa-Museo. Al suo interno, il patrimonio storico-artistico moranese è documentato in maniera abbastanza completa, sia cronologicamente che stilisticamente. Nell’ampia sacrestia spicca il Polittico di Bartolomeo Vivarini, (Murano, 1430 ca – Venezia, post 1491) opera datata 1477 proveniente dalla chiesa di San Bernardino, dove in origine campeggiava sotto l’arco santo ben integrandosi con le notazioni stilistiche e le atmosfere tardo-gotiche di quell’edificio. Nello scomparto centrale è raffigurata la Madonna col Bambino; in alto il Cristo Passo; ai due lati nei registri centrali i quattro santi protettori dell’Ordine Francescano: San Francesco d’Assisi e San Bernardino da Siena; Sant’Antonio da Padova e San Ludovico di Tolosa. Nel pilastrino destro: San Gerolamo, Sant’Agostino, Santa Chiara d’Assisi; in quello sinistro: San Giovanni Battista, San Nicola, Santa Caterina d’Alessandria. Nella predella Cristo tra i dodici apostoli. Il polittico di Morano, assieme ad altroTrittico (1480) della chiesa di San Giorgio a Zumpano (Cosenza), rappresentano le uniche opere del venete Vivarini custodite in Calabria. L’opera di Morano giunse in Calabria probabilmente grazie alla munificenza dei Sanseverino di Bisignano, signori di Morano e fondatori della Chiesa di San Bernardino da Siena, particolarmente legati da sentimenti di devozione al Santo francescano e agli Osservanti. Risultato di una committenza congiunta, l’opera vivariniana deve verosimilmente la sua pianificazione iconografica ai francescani di Morano; mentre, nell’ambito della stessa commissione, altro ruolo importante dovette spettare a Rutilio Zeno, vescovo umanista legato ai Sanseverino, dai quali ricevette anche l’incarico di consacrare la chiesa di San Bernardino nel 1485. Il prelato, inn viaggio verso l’Ungheria nel1475, al seguito della corte aragonese, avrebbe potuto ammirare nelle regioni di passaggio (Veneto – Istria – Dalmazia) altri polittici vivariniani e quindi pensarne uno per Morano. Non è da escludere infine che gli stessi Osservanti di Morano, come del resto i Sanseverino, siano stati influenzati, in questa scelta artistica, dalla presenza in Puglia dei Polittici di Bartolomeo Vivarini e del fratello Antonio (1418 ca – 1476 – ’84) pervenuti nella Regione a partire dagli anni ’50 del Quattrocento, molti dei quali tuttora si conservano nelle chiese francescane pugliesi.

Madonna degli Angeli

Madonna degli Angeli – Antonello Gagini

Altra opera di provenienza bernardiniana custodita ‘alla Maddalena’ è la Madonna degli Angeli (1505), raffigurante la protettrice dei francescani. Sistemata nel transetto destro dal 1840, la statua in marmo bianco spetta al sicilianoAntonello Gagini (1478 – 1536), uno dei maggiori scultori del Rinascimento meridionale. Dal diruto convento agostiniano di Colloreto proviene invece, la Madonna del Reto (nel transetto sinistro), rappresentante la titolare della stessa chiesa agostiniana, trasportata inizialmente in S. Bernardino (1752) e denominata Madonna della Candelora, solo in seguito al trasferimento alla Maddalena (1840). La statua è opera dello scultore meridionale d’ambito siciliano della fine del secolo XVI. Ancora di provenienza colloretana sono le statue di S. Agostino e S. Monica e ilfastigio marmoreo (secolo XVII) in cui sono collocate, ai lati della Maddalena. Gli altari in marmo, per lo più di fattura napoletana, risalgono all’epoca dei rinnovamenti decorativo-architettonici che interessarono la chiesa a partire dagli anni ’50 del ‘700. Gli stessi decoravano una serie di cappellanie, quasi tutte di proprietà delle famiglie dei canonici della stessa chiesa, ad eccezione dell’altare maggiore che venne donato dalla casa Spinelli.

Attualmente la chiesa presenta un aspetto tardo-barocco, conferito all’interno da monocromi motivi ornamentali a stucco, vibranti e vivificanti le pareti della volta, del transetto, dell’abside: una sorta di merlettatura, illuminata da una luce avvolgente, che penetra all’interno dai grandi finestroni. Le decorazioni parietali di devono a Donato Sarnicola, stuccatore che forse collaborò anche al progetto della chiesa moranese, oltre ad essere conosciuto per altri simili lavori a Saracena e a Corigliano.

Alla stessa fase di rinnovamento dell’interno della Chiesa, in chiave tardo-barocca, risalgono anche gli arredi lignei che si devono alla bottega dei Fusco, intagliatori di origine napoletana, ma di adozione moranese ed esponenti di spicco della “scuola” dell’intaglio ligneo locale. I Fusco sono autori della Sedia presbiteriale (1757), del Coro(1786 – 1795), del Leggio (1797), del Pulpito, degli Stipi della sacrestia e dei lavori di alta ebanisteria che si ammirano nelle altre chiese moranesi. Nei manufatti gli artieri dimostrano piena padronanza di un repertorio stilistico aggiornato sui modelli del moderno rococò europeo. Nel corso dello stesso secolo XVIII, si arricchì particolarmente anche il patrimonio pittorico della chiesa, grazie all’arrivo di una serie di tele commissionate probabilmente già pronte a Napoli. Ben rappresentata nella chiesa è la produzione deiSarnelli, una sorta di ‘bottega familiare’ (attiva a Napoli nella seconda metà del Settecento), che firma l’Incoronazione della Vergine e i Santi Gerolamo e Nicola di Bari (1747; II altare a sinistra) e il Miracolo di San Francesco di Sales (1747). A questa bottega si attribuiscono la Madonna del Rosario fra i Santi Domenico, Caterina da Siena, Pietro Martire, Rosa da Lima e Maria Maddalena (IV altare, navata sinistra) e la Santa Teresa d’Avila (crociera destra), la Predica di San Francesco Saverio e l’Apparizione di San Vincenzo Ferrer (crociera sinistra).

Eccezionale espressione della pittura partenopea del Settecento è la Morte di San Giuseppe, pala del IV altare destro. L’opera è datata 1742 ed è firmata da Giuseppe Tamajoli (documentato a Napoli dal 1730 al 1772), discepolo di Francesco Solimena (1657 – 1747). Dal dipinto emerge una grande capacità di sintetizzare aspetti monumentali della composizione e grandiosità dei personaggi, con la descrizione minuta e compiaciuta dei particolari della realtà, come si può notare nel bellissimo brano di natura morta, a sinistra nella parte bassa del dipinto. Di pregevoli qualità sono anche le tele diFrancesco Lopez, altro pittore di cultura napoletana conosciuto grazie a tre opere moranesi, delle quali due sono firmate e datate 1747 (Immacolata della sacrestia) e 1748 (l’AddolorataSan Giovanni Battista e Santi, del III altare della navata sinistra), mentre l’altra, il San Michele Arcangelo (in sacrestia) è di recente attribuzione. Nella stessa sacrestia non sfugge per le elevate qualità formali, il Martirio di San Gennaro opera sempre del quinto decennio del XVIII secolo eseguita da pittore solimenesco.

Cupola S. Maddalena

S. Maria Maddalena

Da comunemoranocalabro.it

Foto: web

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