I PAESI DEL PARCO – Verbicaro

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Alcuni storici identificano Verbicaro con l’Aprustum dei Bruzi o con Vergae. Il nome del paese è di origine incerta per le varianti etimologiche; da Vernicaio, così denominato per la chiarezza dell’aria, ” a vernante aere dictum” (secondo Gabriele Barrio, monaco e scrittore, che nel 1571 scrisse: “De antiquitate et situ Calabriae), a Bernicaro e Berbicaro, in dialetto Vruvicaru, che potrebbe significare etimologicamente luogo di pastori, dal latino “berbicarius“, pecoraio o per la derivazione etimologica dal latino vervex, pecora.
La denominazione di Verbicaro, quindi, potrebbe essere derivata, con fondatezza di ragione, secondo l’ipotesi etimologica, dai luoghi, dove il borgo sorse, brulli, impervi e selvosi, abitati e frequentati da pastori.

Festa della Madonna

Festa della Madonna

All’inizio dell’Ottocento Verbicaro è certamente uno dei paesi più popolati del distretto di Paola.

Nel 1807 i francesi, ne facevano una sede del cosiddetto “Governo” di cui facevano parte vari paesi, definiti come “Università” tra cui ritroviamo Grisolia con le frazioni di Cipollina e Abatemarco, Maierà con Cirella. Nel 1811 col decreto istitutivo dei comuni e dei circondari, viene aggiunto nel circondario di Verbicaro, il comune di Orsomarso.

Continua ad essere tra i paesi più popolati anche negli anni successivi, tanto da diventare con l’Unità d’Italia, sede di un collegio uninominale per l’elezione di un deputato del regno.

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Con l’unità d’Italia divenne comune autonomo e capoluogo di mandamento.

L’episodio più noto e studiato della storia di Verbicaro è l’epidemia di colera dell’estate del 1911 e la rivolta che causò. Molto spesso il fatto viene strumentalizzato per sottolineare l’arretratezza del paese agli inizi del Novecento, senza considerare che in quegli anni a vivere in condizioni di emarginazione non era solo Verbicaro ma tutta l’Italia meridionale, con gravi responsabilità del governo nazionale.

Ai verbicaresi erano tristemente note le conseguenze di un’epidemia, poichè già in passato il paese era stato colpito da simili calamità.

La prima di cui si ha notizia risale al 1656, quando per il contagio che colpì il Regno di Napoli morirono a Verbicaro 1036 persone, l’altra nel 1844 che registrò 246 morti.

Madonna della Neve

Il colera, implacabile, si abbattè ancora su Verbicaro nel 1855 e fu ancora più drammatico non solo per l’elevato numero di vittime, ma, soprattutto per la rivolta che questo causò, di gran lunga più cruenta e con lo stesso meccanismo di quella del 1911.

Nel 1911, quando in Italia si celebravano i primi cinquant’anni di unità nazionale, si salutava questo avvenimento con grandi manifestazioni e cerimonie, da Verbicaro, da questo piccolo e sperduto paese della Calabria, del tutto sconosciuto alla gran parte degli italiani, cominciarono a giungere notizie inquietanti. L’epidemia di colera, che nell’estate del 1911 aveva toccato altre regioni italiane, ebbe a Verbicaro, per le precarie condizioni igieniche e sanitarie, effetti devastanti. Provocò la violenta reazione della popolazione di Verbicaro che insorse contro le autorità locali, i “galantuomini” del paese, considerati responsabili dell’epidemia, giudicati alla stregua di “untori“.
Il popolo, terrorizzato dall’epidemia, e dovendo nella sua ignoranza, spiegare quella tragedia, giustificava il colera con la “polverella“: un veleno messo dalle autorità locali nelle fontana pubblica per uccidere gli abitanti. La causa dell’epidemia era la mancanza di igiene. L’acqua della “fontana vecchia”, l’unica fontana pubblica, la cui sorgente era nel sottosuolo, era inquinata dagli stessi cittadini, che di notte soddisfacevano i loro bisogni per le vie.

Eco – Museo

Nel tumulto furono uccise tre persone, ritenute responsabili dell’avvelenamento.
Verbicaro, diventa, in quell’estate del 1911, quasi un monito per la coscienza di un paese e di uno Stato che sembrava aver dimenticato antichi e non risolti problemi sociali.
L’episodio distruttivo e desolante del 1855, che si ripetè con inalterata intensità nel 1911, segnò i cittadini con il marchio infamante della ferocia e della criminalità.
In realtà erano solo dei poveri contadini abbandonati a sè, abituati a sopportare i soprusi dei “galantuomini” e che  avevano una sola fede in cui credere e sperare: la famiglia. E quando un’epidemia senza scampo li privò degli affetti più cari, improvvisamente e senza nessuno capace di dare spiegazioni plausibili a ciò che stava accadendo, impazzirono di dolore, divenendo collettività incontrollabile, feroce e devastante. Furono, dunque, l’eccesso di dolore e l’ignoranza a causare le rivolte.
Sono storie cariche di sofferenze e meritano tutto il nostro rispetto; e se non un minimo di comprensione, neanche un giudizio frettoloso o distratto.
Sono avvenimenti spiacevoli ma, anch’essi, purtroppo, ci appartengono, sono parte integrante della nostra vita, da non dimenticare.

FONTE: http://www.comune.verbicaro.cs.it/index.php?action=index&p=394

 

Patrimonio architettonico (religioso, civile e rurale) e artistico:

  • Monastero dei Domenicani fondato nel 1571. Oggi esiste solo l’ala sinistra riadattata ad uso di abitazione privata.
  • Chiesa di S. Lucia o Madonna della Neve in via Bonifanti nella quale si trovano affreschi del 1400.
  • Chiesa di S. Maria del Rito così chiamata per il rito bizantino che vi si professava. Oggi la denominazione è cambiata in S. Maria di Loreto. La chiesetta è ubicata in aperta campagna.
  • Chiesa di S. Francesco di Paola che risale alla fine del 1800 e si trova su una collina, “n’cap dd’iertu”, a circa 5 Km dal paese, da dove è possibile ammirare la valle tra l’Abatemarco ed il Lao e le colline fino alla costiera tirrenica.
  • Chiesa della Madonna del Carmine costruita tra il 1895 e il 1896.
  • Chiesa di S. Giuseppe a navata unica, iniziata nel 1897. All’interno è decorata di stucchi e di affreschi che rappresentano episodi della vita di S. Giuseppe.
I vattienti durante la liturgia della Settimana santa

I vattienti durante la liturgia della Settimana santa

  • Chiesa di S. Maria del Piano (Chiesa Madre), costruita all’inizio del XV secolo, è ad un’unica ampia navata, con quattro grandi cappelloni su ciascuna fiancata. Il prospetto principale si presenta interamente in pietra. La chiesa conserva un Messale Romano del ‘600, paramenti in seta e oro con manifattura napoletana del XVII secolo, calice ed ostensorio in argento e croce astea argentea del ‘600, turibolo in stile tardo rinascimentale.
  • Chiesa di S. Antonio sita al Calvario e costruita nel 1879.
  • Chiesa del Sacro Cuore di Gesù portata a termine nel 1979.
  • Palazzo del Marchesato costruito in epoca medioevale.
  • Portico della Fontana Vecchia costruita nel 1816.
  • Resti della Cinta Muraria e Porte Cittadine, sec. XI.
  • Portale antico di un fastoso gentilizio, costruito nel 1800 ed attualmente di proprietà privata.
I panicelli

I panicelli

Le risorse naturalistiche:

  • Il territorio appartiene al complesso montuoso dei monti di Orsomarso e Verbicaro. Vedi Orsomarso.
  • Monte Trincello. Dalle due cime di questa singolare montagna si può osservare il verdissimo bacino del fiume Abatemarco, le vette della Dorsale del Pellegrino, la Mula, la Montea e la costa tirrenica.
  • Verdi praterie del Piano la Sepa.
  • Bocca del Monte.
I catuie dove si conserva il vino

I catuie dove si conserva il vino

  • Pianori del Campiglione e Cacciagrande, circondati da boschi solenni di ontani, faggi, agrifogli e tassi.
  • Fiume Abatemarco
  • Fonte Spaccazza.
  • Acqua di Teste, Acqua Sulfurea, Acqua dei Crescioni.

Da parcopollino.gov.it

Foto: RETE

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