LA DIGNITA’ DI OTRANTO — Una storia molto bella

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All’alba del 28 luglio del 1480 gli abitanti di quella meravigliosa città che è Otranto, videro apparire all’orizzonte, sul mare, centinaia e centinaia di navi straniere. Per la precisione: turche.

Il sultano dei Turchi all’epoca dei fatti di Otranto in un ritratto del pittore veneziano Gentile Bellini (1480)
Allora, come oggi, l’Occidente e la Cristianità erano in guerra più o meno latente con l’Oriente e l’Islam che, allora, come oggi, rappresentava “l’altro”. E in quel periodo i turchi (l’Oriente e l’Islam, appunto) erano particolarmente pericolosi: dalla Turchia erano arrivati fino in Albania, dove avevano stabilito delle basi, a un braccio di mare dall’Italia. Non era un’ipotesi così strampalata che volessero sbarcare sulle coste italiane e fare una capatina a Roma. Del resto, pochi anni dopo (nel 1529) arrivarono ad assediare Vienna.

Otranto era una città piccola, ma di importanza non trascurabile nel Regno delle Due Sicilie spagnolo. Pare che quel giorno i turchi avessero intenzione di attaccare Brindisi, ma il vento li spinse un po’ più a sud. Fatto sta che, quella mattina d’estate di oltre cinquecento anno fa, i turchi sbarcano a pochi km da Otranto, nel Salento, in Puglia, in Italia, in Europa, in Occidente. Sono tanti, ma proprio tanti, e sono belli arrabbiati, ben armati e pronti a conquistare la città.

Vista la situazione, la sparuta guarnigione spagnola a difesa di Otranto si fa due conti e durante la prima notte di assedio se la svigna a gambe levate, con grande dimostrazione di coraggio…

Anche a causa di quest’episodio, appare subito chiaro che Otranto non ha alcuna possibilità di resistere: a difesa della città c’è ora solo un manipolo di pescatori improvvisatisi soldati. Così i musulmani mandano un messo a parlamentare con gli otrantini: “Sentite, è inutile che stiamo qui a scannarci: noi siamo migliaia, voi quattro gatti; nel giro di un paio di giorni vi facciamo a fettine: mettiamoci d’accordo: voi vi arrendete e noi vi rendiamo salva la vita. Affare fatto?”

Il comune di Otranto ha 5.568 abitanti ed è il più orientale d’Italia: il capo omonimo, chiamato anche Punta Palascìa, a sud del centro abitato, è il punto geografico più a est della penisola italiana.
Il ragionamento non fa una piega. Per tutta risposta, i salentini tagliano la testa al turco e gettano le chiavi della città in mare, come a dire: siamo pochi, ma non ci arrendiamo: veniteci a prendere! Inizia così un assedio la cui sorte è comunque segnata. Gli otrantini stanno difendendo le loro case, ma i turchi sono migliaia, hanno i cannoni e impediscono che ogni rifornimento arrivi in città. Dopo due settimane di eroica e disperata resistenza, i turchi (“Mamma li turchi!”) sfondano le mura, entrano in città e la mettono “a ferro e fuoco”.

I turchi fanno quello che si faceva in quei casi: stupri, saccheggi, distruzioni, robe abbastanza truculente. E poi fanno prigionieri tutti gli uomini, e li portano al castello della città. Circa ottocento uomini.

La mattina del 14 agosto, il capo dei turchi li raduna nel cortile del castello, sotto il sole cocente dell’estate salentina e fa loro un bel discorsetto: “Allora, la scelta è questa: o vi convertite all’Islam e riavrete la vostra casa e le vostre donne, o vi tagliamo la testa uno ad uno”.

E’ piuttosto chiaro che si tratta di un atto, per così dire, formale: non ci si può convertire in una mattina, e a seguito di un ordine. Quello che il turco vuole è atto di sottomissione, oltre che risolvere una questione “tecnica”: quegli uomini non si poteva lasciarli andare così come nulla fosse successo, né tenerli imprigionati (dove? sorvegliati da chi?), ma anche decapitare ottocento persone il 14 agosto non era cosa semplice…La “conversione” sembrava una buona soluzione per tutti.

Il centro storico di Otranto è tuttora circondato da bellissime mura. Il castello è in alto a sinistra della cinta muraria.
Concretamente, immaginiamoci la scena: quello che i turchi chiedevano agli otrantini era incamminarsi verso l’uscita del cortile: convertirsi all’Islam e tornare dalle proprie famiglie significava solo questo, solo quel semplice gesto: lasciare il cortile del castello e attraversare una porta. Spesso – è forse brutto dirlo – fare o non fare certe scelte dipende anche dalla “comodità” immediata che queste scelte richiedono. Rimanere fermi, sotto il sole, lì in quello spiazzo polveroso, voleva invece dire essere decapitati dalle scimitarre turche. Alzarsi e uscire: riabbracciare le mogli, i genitori, i figli piccoli…

Beh, ottocento otrantini rimangono fermi, immobili, non fanno un passo. A quel punto i turchi, li prendono, li portano sul colle più alto della città a qualche minuto di cammino dal castello, e uno ad uno, nel caldo del 14 agosto, li decapitano senza pietà. Ottocento decapitazioni. Anche i nazisti con le mitragliatrici dovettero ingegnarsi e faticare quando si trattò di uccidere decine e decine di persone. Per uccidere 335 persone con un colpo di pistola alla nuca alleFosse Ardeatine, i nazisti impiegarono ore e molti non ce la fecero a completare il “lavoro”. I turchi staccarono la testa a 800 persone. Che avevano a portata di mano la salvezza e scelsero la morte.

Ora, una maniera per vedere le cose è sostenere che scelsero quel sacrificio per amore e fedeltà alla propria religione, la religione cristiana. E questo è certamente vero. Ma un’altra maniera per pensare a quell’episodio è immaginare che lo fecero per difendere ciò che era loro rimasto e che era anche ciò che di più prezioso avevano: la loro identità e soprattutto la loro dignità. Quella stupida e insignificante conversione che veniva loro richiesta voleva dire la salvezza, ma equivaleva anche a perdere la propria diginità.

Ecco, credo che, “in questi tempi” di disorientamento, ciò a cui ognuno di noi deve fare riferimento, il valore-base della nostra vita, il faro verso cui dirigere il timone della nostra anima, deve essere proprio la nostra dignità. Perché è qualcosa di intimamente nostro, una virtù che non può essere inquinata, condizionata o contaminata dai modelli esterni, dalla tivvù, dalla società: la dignità è nostra, la dignità siamo noi, e alla dignità si può (e si deve) sempre fare riferimento. Qualsiasi nostra scelta o decisione, piccola o grande deve essere fatta sulla base di questo punto fermo. Ed è necessario trovare il coraggio per farlo. Anche se ciò ci conduce apparentemente lontano dalla felicità (come accadde agli otrantini), anche se ciò significa conseguenze estreme (certo, non tutti possono essere eroi), anche se abbiamo timore che ciò non soddisferà le aspettative che le persone che ci stanno intorno ripongono in noi. Perché, se si sceglie la dignità, se si trova il coraggio di seguirla, si può anche inizialmente affondare, ma la forza della nostra scelta ci renderà liberi e forti e per questo prima o poi, torneremo inevitabilmente a galla, per poi spiccare il volo nel cielo.

Da http://www.lundici.it/2013/05/la-dignita-di-otranto/

Foto web

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