IL CODICE PURPUREO DI ROSSANO – PERLA BIZANTINA DELLA CALABRIA

La scelta fra Gesù e Barabba Descrizione Nella metà superiore della pagina illustrata, Pilato viene raffigurato al centro, seduto nello stesso tribunale presente nella miniatura del processo a Cristo. Ai lati del tribunale una folla di uomini gesticolano, mentre a destra una figura in uniforme è occupata a scrivere su una tavoletta di cera. Nella metà inferiore della pagina, a sinistra, Cristo è fiancheggiato da due ufficiali, a destra Barabba si accompagna a due carcerieri. Il carceriere, vestito di rosso, tiene una fune attorno al collo di Barabba e guarda Pilato, mostrando di attendere una sua decisione.

La scelta fra Gesù e Barabba – Nella metà superiore della pagina illustrata, Pilato viene raffigurato al centro, seduto nello stesso tribunale presente nella miniatura del processo a Cristo. Ai lati del tribunale una folla di uomini gesticolano, mentre a destra una figura in uniforme è occupata a scrivere su una tavoletta di cera.
Nella metà inferiore della pagina, a sinistra, Cristo è fiancheggiato da due ufficiali, a destra Barabba si accompagna a due carcerieri. Il carceriere, vestito di rosso, tiene una fune attorno al collo di Barabba e guarda Pilato, mostrando di attendere una sua decisione.

II Codex Purpureus, unico al mondo per ampiezza e originalità, è un Evangeliario greco miniato del sec. V-VI, proveniente quasi sicuramente da Antiochia di Siria (oggi in Turchia), anche se di recente è stata avanzata l’ipotesi di una sua composizione a Cesarea di Palestina.

In pergamena color porpora il manoscritto si compone di 188 ff. contenenti il testo greco dei Vangeli di Matteo e Marco, mutilo, il secondo, dei w.14-20 dell’ultimo capitolo. È scritto in lettere onciali d’argento, ad eccezione dei 3 righi iniziali di ciascun vangelo, che sono in oro. Ogni foglio è diviso in due colonne di 20 righi ciascuna.

La peculiarità del Codex Rossanese è data dalle 15 miniature, scene tratte dai Vangeli che si richiamano alle celebrazioni della settimana santa bizantina, fatto questo che sottolinea una destinazione anche liturgica del libro. In particolare le miniature riprendono:

la risurrezione di Lazzaro (tav. i); l’ingresso di Gesù a Gerusalemme (tav. 2); la cacciata dei venditori dal tempio (tav. 3); la parabola delle io vergini (tav. 4); l’ultima Cena e la lavanda dei piedi (tav. 5); la comunione col Pane (tav. 6); la comunione col Calice (tav. 7); Gesù nell’orto del Getsemani (tav. 8); la guarigione del cieco nato (tav. li); la parabola del Buon Samaritano (tav. 12); Gesù davanti a Pilato e pentimento di Giuda (tav. 13); il tribunale di Pilato ed il confronto Gesù- Barabba (tav. 14); l’Evangelista Marco (tav. 15). Fuori testo sono da considerare le Tavole 9 (Frontespizio delle tavole dei Canoni) e 10 (la lettera di Eusebio a Carpiano in cornice dorata e decorata con fiori ed uccelli).

Per quanto attiene all’utilizzo del Codex, sembra avvalorata l’ipotesi di una sua destinazione liturgica. A questo fanno pensare le 15 miniature, che ritraggono – come è stato ricordato – testi evangelici legati alla Settimana Santa bizantina.

Non si possono escludere, comunque, altre destinazioni anche in considerazione della solennità delle scene e della preziosità del materiale scrittorio, che non era certo di uso comune. L’utilizzo della pregiata pergamena e le lettere in oro e argento inducono, pertanto, a ritenere il Codex proveniente da ambiente nobile e aristocratico.

La pagina contiene una miniatura, in cui viene raffigurata la fascia ornamentale circolare delineata, sia all'interno che all'esterno, da una cornice aurea che si interseca lungo le direttrici del diametro orizzontale e verticale, dando luogo a quattro tondi collocati nella suddetta fascia ornamentale. In ciascuno di questi è dipinta la mezza figura di un evangelista ritratto su un fondo azzurro. I ritratti dei quattro evangelisti non hanno caratterizzazioni individuali, per cui Matteo è identificabile grazie al nome inciso in alto, gli altri invece sono identificabili grazie alle iniziali: Marco a sinistra, Luca a destra e Giovanni in basso. Ognuno di essi si connota per la presenza dell'aureola, della copertina del libro dorato e per il singolare gesto di alzare la mano destra. Nello spazio che intercorre tra un tondo e l'altro si ravvisano dei dischi di colore nero, arancione, indaco e rosa. Al centro di questa illustrazione compare la scritta in greco: "Struttura del canone delle concordanze tra i Vangeli".

Frontespizio  – La pagina contiene una miniatura, in cui viene raffigurata la fascia ornamentale circolare delineata, sia all’interno che all’esterno, da una cornice aurea che si interseca lungo le direttrici del diametro orizzontale e verticale, dando luogo a quattro tondi collocati nella suddetta fascia ornamentale. In ciascuno di questi è dipinta la mezza figura di un evangelista ritratto su un fondo azzurro. I ritratti dei quattro evangelisti non hanno caratterizzazioni individuali, per cui Matteo è identificabile grazie al nome inciso in alto, gli altri invece sono identificabili grazie alle iniziali: Marco a sinistra, Luca a destra e Giovanni in basso. Ognuno di essi si connota per la presenza dell’aureola, della copertina del libro dorato e per il singolare gesto di alzare la mano destra. Nello spazio che intercorre tra un tondo e l’altro si ravvisano dei dischi di colore nero, arancione, indaco e rosa. Al centro di questa illustrazione compare la scritta in greco: “Struttura del canone delle concordanze tra i Vangeli”.

 

 

 

E allora potrebbe trattarsi di un Codice da parato: un codice-oggetto, cioè, destinato all’ostentazione in una casa di rango sociale elevato.

Una terza ipotesi – avanzata come la precedente dal Prof. G. Cavallo dell’Università La Sapienza di Roma – vede nel Codex un atto di pietà finalizzato alla salvazione dell’anima per conto di un aristocratico committente-donatore. In altri termini, nel mondo bizantino si poteva commissionare un libro sacro donandolo poi a qualche chiesa o monastero allo scopo di ottenere con quell’opera di beneficenza la salvezza dell’anima. Il Codex potrebbe aver avuto proprio questa funzione gratificante.

Le tre ipotesi, comunque, non necessariamente si devono auto escludere, per cui la funzione inizialmente unica potrebbe aver assunto anche gli altri significati. Da oggetto di ostentazione (“status symbol”) e gesto di pietà volto ad ottenere la salvazione dell’anima, è diventato anche oggetto di culto liturgico.

Ritratto di Marco Il ritratto di Marco è l'unica figura di evangelista rimasta in un codice greco dei Vangeli, anteriore al X secolo, come fece notare il paleografo Guglielmo Cavallo( G. Cavallo, Codex Purpureus Rossanensis, Padova, 1992, p. 31). L'evangelista, seduto, si protende in avanti con lo sguardo fisso sulla mano destra che si posa su un largo rotolo aperto sulle ginocchia, che riporta il titolo del suo Vangelo: "Inizio del Vangelo di Gesù Cristo, figlio di Dio". Davanti a lui una figura femminile avvolta in una veste azzurra, probabilmente Sophia (la Sapienza) sembra dettargli ciò che deve scrivere

Ritratto di Marco
Il ritratto di Marco è l’unica figura di evangelista rimasta in un codice greco dei Vangeli, anteriore al X secolo, come fece notare il paleografo Guglielmo Cavallo( G. Cavallo, Codex Purpureus Rossanensis, Padova, 1992, p. 31). L’evangelista, seduto, si protende in avanti con lo sguardo fisso sulla mano destra che si posa su un largo rotolo aperto sulle ginocchia, che riporta il titolo del suo Vangelo: “Inizio del Vangelo di Gesù Cristo, figlio di Dio”. Davanti a lui una figura femminile avvolta in una veste azzurra, probabilmente Sophia (la Sapienza) sembra dettargli ciò che deve scrivere

Ma come si trova a Rossano il Codex Purpureus?

Escluso che possa essere nato in uno “scriptorium” locale, anche se Rossano ha avuto una florida scuola calligrafica, di cui S. Nilo è il rappresentante più illustre, e definita sia l’epoca di composizione (V-VI sec.), sia la sua provenienza mediorientale (Siria o Palestina), il fatto che più sconcerta è come mai del Codex Purpureus non si hanno notizie chiare fino ai primi dell’8oo. Addirittura, per quanto prezioso, sfugge agli stessi storici locali dell’epoca.

II primo a darne notizia abbastanza approssimativa è Cesare Malpica, che nel suo Diario di viaggio nel 1845-46 annota:

“II Capitolo del Duomo (di Rossano, n.d.r.) possiede un tesoro in un libro antichissimo che contiene gli Evangeli scritti in Greco, con caratteri d’argento sovra carta azzurrina, con belle e curiose miniature in testa alle pagine.

Par che sia opera fatta al cominciar del medio Evo, quando Odorisi da Gubbio, e Franco Bolognese introdussero in Italia l’arte del miniare. I signori Canonici tengano pur gelosamente questo monumento, che ricorda l’antichità della loro Cattedrale, e i tempi famosi d’Italia. Questo volume in bellezza non cede a quelli di simil natura che io vidi in S. Nicola di Bari, e in S. Pietro in Galatina”.

Colloquio con i sacerdoti del tempio I particolari della scena sono tratti, quasi tutti, dal secondo capitolo del Vangelo di Giovanni. Il tempio viene raffigurato a sinistra in modo abbastanza schematico. Nel cortile munito di colonne ha luogo il colloquio tra Gesù e i sacerdoti del tempio. Cristo, rappresentato tra le due colonne nere, tiene nella mano destra una frusta, mentre a destra sono presenti uomini e animali in fuga. La miniatura raffigura Cristo con i sacerdoti subito dopo la cacciata dei mercanti dal cortile

Colloquio con i sacerdoti del tempio
I particolari della scena sono tratti, quasi tutti, dal secondo capitolo del Vangelo di Giovanni. Il tempio viene raffigurato a sinistra in modo abbastanza schematico. Nel cortile munito di colonne ha luogo il colloquio tra Gesù e i sacerdoti del tempio. Cristo, rappresentato tra le due colonne nere, tiene nella mano destra una frusta, mentre a destra sono presenti uomini e animali in fuga. La miniatura raffigura Cristo con i sacerdoti subito dopo la cacciata dei mercanti dal cortile

Il lungo silenzio ha indotto alcuni storici, tra cui P. Russo, a scartare che il Codex fosse appartenuto “ab immemorabili” ai Canonici della Cattedrale e che invece sia stato loro lasciato in dono dai monaci del Patire allorché ai primi dell’8oo abbandonarono il monastero.

A parte il fatto che appare molto strano come i monaci si siano privati proprio del manoscritto più prezioso, resta da chiarire come mai Atanasio Calcheopulo, già abate del Patire e quindi conscio del patrimonio del cenobio, non ne faccia cenno nel suo Liber Visitationis del 1457 in cui, oltre a notizie sulla vita dei monasteri basiliani visitati su incarico della Congregazione, annotò minuziosamente i libri e i codici da questi posseduti.

È da ritenere, pertanto, che il Codex fosse conservato nel tesoro della Cattedrale fin dall’antichità. Ciò giustifica anche come sia potuto sfuggire nel sec. XVI al Card. Sirleto, interessato ai manoscritti dei monasteri più che a quelli di conservazione ecclesiastica.

In aggiunta c’è da riportare un Memoriale del 1705, conservato nell’Archivio Vaticano, fatto pervenire al papa dal clero di Rossano in polemica con l’arcivescovo Adeodati, in cui tra l’altro si dice:

Risurrezione di Lazzaro La miniatura raffigura Gesù Cristo, con la mano destra benedicente, nell'atto di pronunciare l'ordine: "Lazzaro, alzati e cammina". Dietro la figura di Gesù si scorge il gruppo degli apostoli, mentre davanti a lui si distinguono le figure di Maria e di Marta, con la schiena rivolte al sepolcro, ancora ignare della resurrezione del fratello Lazzaro. Due giovani, posti tra le due donne e la caverna, si fanno interpreti del dolore delle due sorelle e del loro imminente stupore. Al fianco del resuscitato appare un giovane coperto fin sopra il naso da una veste rosa, che sembra condurre fuori dal sepolcro Lazzaro avvolto tra le fasce di un lenzuolo bianco. Nella miniatura vengono ritratte due scene del miracolo: quello in cui Gesù viene pregato per la guarigione di Lazzaro e quella in cui il miracolo è compiuto.

Risurrezione di Lazzaro
La miniatura raffigura Gesù Cristo, con la mano destra benedicente, nell’atto di pronunciare l’ordine: “Lazzaro, alzati e cammina”. Dietro la figura di Gesù si scorge il gruppo degli apostoli, mentre davanti a lui si distinguono le figure di Maria e di Marta, con la schiena rivolte al sepolcro, ancora ignare della resurrezione del fratello Lazzaro. Due giovani, posti tra le due donne e la caverna, si fanno interpreti del dolore delle due sorelle e del loro imminente stupore. Al fianco del resuscitato appare un giovane coperto fin sopra il naso da una veste rosa, che sembra condurre fuori dal sepolcro Lazzaro avvolto tra le fasce di un lenzuolo bianco.
Nella miniatura vengono ritratte due scene del miracolo: quello in cui Gesù viene pregato per la guarigione di Lazzaro e quella in cui il miracolo è compiuto.

“Beatissimo Padre. Il Clero e Publico della Città di Rossano prostrati a’ piedi della S.V. le fanno sapere, come nella Chiesa Metropolitana di detta Città, quale prima officiava sotto il rito greco, e poi da più secoli in qua fu introdotto il rito Latino; e perché si ritrovano quantità di libri greci con lettere e figure dorate e miniate, formate sopra fogli di corteccia d’alberi, quali libri si teneano in gran stima per l’antichità e singolarità”.

Cos’altro possono essere questi “libri greci con lettere e figure dorate e miniate” se non il Codex Purpureus? È vero che non si nomina esplicitamente il Codex, ma il fatto non desta meraviglia perché l’etichetta Codex Purpureus Rossanensis si deve ai due studiosi tedeschi Gebhardt e Harnack, che nel 1879-80 pubblicizzarono l’esistenza del documento. Ancora nel 1878, del resto, un anno prima dell’arrivo dei due studiosi, il medico rossanese Pietro Romano pubblicava un saggio storico in cui chiama il Codex semplicemente libro antichissimo degli Evangeli Greci.

Assodato allora che il Codex è stato di proprietà della Cattedrale da tempo immemorabile, restano ancora in piedi due quesiti:

Come e quando il Codex è pervenuto a Rossano?

Perché la cortina di silenzio che l’ha nascosto fino al sec. XIX?

Sul primo quesito gli storici convengono che a portarlo in Occidente siano stati tra l’VIII-IX secolo i monaci melchiti in fuga dall’Oriente sia a causa dell’odio iconoclasta dei bizantini (i monaci erano perseguitati perché ritenuti i principali diffusori del culto delle immagini), sia a causa degli Arabi che avevano invaso pressocchè tutto il Medioriente e quindi non restava loro nemmeno il deserto per vivere in pace. La Calabria per la vicinanza con l’Oriente e per la natura stessa del terreno offrì a questi monaci profughi un rifugio ideale per continuare la loro vita ascetica, anche se lontani dalla madre patria.

Il processo di Cristo davanti a Pilato La miniatura, realizzata a piena pagina, illustra, nella metà superiore, la scena dell'inizio del processo: Gesù Cristo è a sinistra in piedi, mentre Pilato è seduto al centro sedia ; alle sue spalle due giovani reggono dei bastoni d'oro con placche rettangolari raffiguranti dei ritratti. Cristo fissa il sacerdote Caifa, mentre il sacerdote Anna, che compare con capelli e barba nera, formula le accuse. Dalla parte opposta si trovano cinque uomini immobili che guardano Cristo. Sotto la scena del processo è riprodotto il pentimento di Giuda. La scena di sinistra è focalizzata sull’ atto di restituire i trenta denari ai sacerdoti e sul loro rifiuto. A destra il corpo di Giuda appeso ad un albero conclude l’episodio.

Il processo di Cristo davanti a Pilato
La miniatura, realizzata a piena pagina, illustra, nella metà superiore, la scena dell’inizio del processo: Gesù Cristo è a sinistra in piedi, mentre Pilato è seduto al centro sedia ; alle sue spalle due giovani reggono dei bastoni d’oro con placche rettangolari raffiguranti dei ritratti. Cristo fissa il sacerdote Caifa, mentre il sacerdote Anna, che compare con capelli e barba nera, formula le accuse. Dalla parte opposta si trovano cinque uomini immobili che guardano Cristo.
Sotto la scena del processo è riprodotto il pentimento di Giuda. La scena di sinistra è focalizzata sull’ atto di restituire i trenta denari ai sacerdoti e sul loro rifiuto. A destra il corpo di Giuda appeso ad un albero conclude l’episodio.

Il territorio di Rossano, in particolare, proprio in questo periodo si trasformò in una piccola Tebaide, ricca di un’infinità di grotte preesistenti o scavate ex novo ai piedi della città antica (la “Grecia”) e nella campagna circostante.

Possiamo ritenere alla luce di tali fatti che questi monaci sopraggiunti si siano portato dietro il Codex, poi rimasto in dote alla Cattedrale greca di Rossano.

Se poi accettiamo l’ipotesi precedentemente ricordata del Codex da parato e quindi commissionato per essere esposto all’ammirazione in una casa di nobile ceppo, potremmo anche supporre che a portarlo sia stato un nobile aristocratico della corte di Bisanzio trasferito a Rossano e che da questi poi sia stato donato, magari come gesto votivo atto ad ottenere la salvazione dell’anima, alla Cattedrale per uso liturgico. Non sembri ingiustificato quanto stiamo dicendo ove si pensi che tra i secoli IX-X Rossano si afferma sempre più come centro militare e di cultura fino a diventare, nella seconda metà del sec. X, sede dello Stratega, città-guida della Calabria bizantina e quindi luogo di richiamo e di riferimento per l’aristocrazia in cerca di spazio.

Cerchiamo ora di capire il perché del lungo silenzio.

In qualunque modo sia pervenuto a Rossano, si può supporre che il Codex sia rimasto in uso nella Cattedrale fino alla soppressione del rito greco, avvenuta intorno al 1462. I canonici greci, ormai in assoluta  minoranza, dovettero loro malgrado lasciare forzatamente la Cattedrale per trasferirsi nella chiesa di S. Nicola al Vallone, dove, secondo alcune voci era ubicata l’antica cattedrale bizantina. Il Codex, non più usato dopo la rimozione del rito, col passare del tempo è stato del tutto dimenticato in qualche angolo della sagrestia in balia degli eventi. Sarebbe stato ripescato, sia pure mutilo, dopo l’incendio di cui si è parlato, conservandolo poi senza alcuna rilevanza tra gli oggetti del tesoro.

Dando, in conclusione, per acquisita la presenza a Rossano del Codex fin da epoca bizantina, alla luce di quanto esposto, sia pure per ipotesi ed illazioni, abbiamo motivo di ritenere che dopo le scaramucce succedute al cambiamento di rito tra clero greco e latino, il silenzio secolare sul prezioso Evangeliario sia stato determinato da un insieme di ragioni, cui seguì una naturale dimenticanza generale. E presumibilmente la dimenticanza e il silenzio sarebbero continuati se nel frattempo non fossero intervenuti l’incendio che l’ha in parte distrutto e la polemica del clero contro Mons.  Adeodati, ignaro di tutto, che richiamarono a conti fatti l’attenzione sul manoscritto miniato.

In un certo senso sono stati provvidenziali sia il silenzio che le altre circostanze intervenute perché hanno consentito di ricuperare e salvare il Codex da furti e manovre speculative, operazioni normali in tempi non certo benevoli nei confronti delle opere d’arte locali e degli stessi beni della Chiesa. Pensiamo ai commerci di cose sacre degli ecclesiastici, ai sequestri della Cassa Sacra, ai saccheggi dei francesi tra 700 e 800.

L'ultima cena e la lavanda dei piedi Cristo e i dodici apostoli sono disposti attorno ad una tavola semicircolare, al centro della quale si distingue una coppa d'oro. Il sesto apostolo da sinistra vi intinge il pane, mentre Cristo alza la mano come se volesse parlare. La miniatura illustra l'azione descritta da Marco, 26- 23: "Colui che intinge la mano nel piatto con me, mi tradirà". L’episodio è commentato dal versetto riportato in alto, in greco, "In verità vi dico che uno di voi mi tradirà" (Marco, 26 -21). Nella scena di destra, è proposta la lavanda dei piedi, nel momento in cui Cristo si china a lavare i piedi a Pietro; il versetto greco riportato recita:"Egli (Pietro) gli dice: tu non laverai i miei piedi." (Giovanni 13, 8).

L’ultima cena e la lavanda dei piedi
Cristo e i dodici apostoli sono disposti attorno ad una tavola semicircolare, al centro della quale si distingue una coppa d’oro. Il sesto apostolo da sinistra vi intinge il pane, mentre Cristo alza la mano come se volesse parlare. La miniatura illustra l’azione descritta da Marco, 26- 23: “Colui che intinge la mano nel piatto con me, mi tradirà”. L’episodio è commentato dal versetto riportato in alto, in greco, “In verità vi dico che uno di voi mi tradirà” (Marco, 26 -21). Nella scena di destra, è proposta la lavanda dei piedi, nel momento in cui Cristo si china a lavare i piedi a Pietro; il versetto greco riportato recita:”Egli (Pietro) gli dice: tu non laverai i miei piedi.” (Giovanni 13, 8).

Un fatto è altresì assodato. Allorquando l’arcivescovo Pietro Cilento con lettera al sindaco dì Rossano del 20 settembre 1880 consentì la riproduzione del Codex, uscita a Lipsia in quell’anno a cura di Gebhardt e Harnack, la sua presenza a Rossano non era più un mistero. Anzi, se vogliamo, l’interesse dei due studiosi tedeschi più che alla precedente segnalazione di Malpica crediamo debba attribuirsi alla voce diffusa che i Canonici stavano cercando di vendere il prezioso manoscritto per trovare i fondi necessari da destinare alla ristrutturazione del Coro della Cattedrale e che sia stato l’intervento oculato e tempestivo dell’arcivescovo Cilento a bloccare in tempo l’operazione.

Anche i due tedeschi, infatti, hanno avuto un secco rifiuto alla richiesta di acquisto, malgrado avessero offerto una ingente somma di denaro.

Del resto era diventato già oggetto di studio, ove si considera che il Can. Scipione Camporota intorno al 1831 aveva composto un codice di capitoli del Codex, e, per una più facile comprensione del volume aveva formulato la comparazione delle lettere con l’attuale alfabeto greco. Il tutto è annotato su un foglio allegato alla fine dell’originale del Codex.

Indubbiamente bisogna riconoscere ai due studiosi tedeschi il merito di aver richiamato sull’Evangeliario l’attenzione del mondo della cultura aprendo per il documento un orizzonte più vasto e qualificato. Da allora, infatti, gli studi specialistici si sono susseguiti con passione addentrandosi nel merito dei contenuti esegetici, storici e artistici del meraviglioso Codex Rossanensis.

Fonte: “Calabria di ieri e di oggi” di L. Renzo, ed. Ferrari

Le descrizioni delle immagini sono state prese dal sito dell’Arcidiocesi di Rossano – Cariati

Foto: RETE

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2 Replies to “IL CODICE PURPUREO DI ROSSANO – PERLA BIZANTINA DELLA CALABRIA”

  1. renato magnelli ha detto:

    completo e lineare

  2. Angelo Serafino Caruso ha detto:

    Non mi piaciuto tanto, perché non parla dell’ipotesi del Prof. Burgarella o della De Maffei che dicono di provenienza Calybitense, cioè essere, il Codex Purpureo Rossanensis, l’Evangelario di San Giovanni del Calybita.

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