IPAZIA, la donna che sfidò la Chiesa e morì per opera dei monaci guerrieri di san Cirillo.

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Con grande emozione e rispetto, vorrei aprire questo 2015 all’insegna di una delle più grandi e importanti figure della scienza greca, Ipazia di Alessandria. A marzo di quest’anno ricorre il sedicesimo centenario dal massacro della scienziata Ipazia, ad opera dei monaci guerrieri di Cirillo. Sì. Quel famoso San Cirillo, invocato in ogni circostanza, e protetto dai famigerati S. Ambrogio, S. Agostino e S. Giovanni Crisostomo. I Quattro pilastri della Chiesa romana, che diffusero il Cristianesimo, esattamente come i Romani diffusero le persecuzioni. Per non aprire una parentesi troppo grande sulle persecuzioni dei cristiani, che andrebbero riviste in alcuni elementi e su alcune dinamiche, mi fermo qui.

ipaziaIpazia nacque ad Alessandria nella seconda metà del IV secolo d.C., l’anno esatto è incerto perché gli storici antichi datavano le figure importanti in base al momento della “fioritura”, cioè di maggiore popolarità o di ruolo dominante nella società. Si ipotizza possa essere nata tra il 355 e il 370 d.C., più tra il 368/370 d.C. Si sa che era figlia di un noto matematico e astronomo, Teone,conosciuto ad Alessandria come eccellente architetto, grande conoscitore delle stelle e filosofo.

Se è vero il detto “tale padre, tale figlio”, l’unico fratello accertato di Ipazia, Epifanio, non volle avere nulla a che fare con la scienza e tutto il sapere trasmesso passò a lei.

Per chi non lo sapesse, nell’Antica Grecia non era strano che una donna fosse informata di scienza, storia, astronomia, fisica o quant’altro. L’unica pecca era la politica che, solitamente, era conosciuta e compresa anche dalle donne, ma alla quale non potevano accedere facilmente.

Ipazia studia presso la scuola neo-platonica di Alessandria, è una profonda conoscitrice di musicologia, di matematica, fisica, astronomia, di pensiero filosofico neo-platonico e, cosa assolutamente fuori dai canoni per l’epoca, completamente disinteressata alla religione e alla famiglia. Infatti, non fu mai madre né moglie, e affermava che nessuna religione potesse essere adatta ad uno/a scienziato/a, perché la religione impone dei limiti al pensiero umano, e uno studioso non può avere limiti se vuole inseguire il sapere. Intorno al 440 d.C. Socrate Scolastico identifica, in una sua opera, Ipazia come unica erede e capostipite della scuola platonica, non solo per la grande conoscenza scientifica che essa possedeva, ma anche perché aveva applicato perfettamente la dottrina di Platone: partire dalle scienze matematiche per raggiungere la conoscenza della Vera Filosofia, quella più alta e pura.

Considerando che non voglio fare una lezione di filosofia né di storia, vi dico solo che, quando l’Impero Romano si trovò sull’orlo del precipizio, pronto a cedere sotto la spinta dell’ala violenta del Cristianesimo, l’unica soluzione fu un’alleanza. Unendo la Chiesa e l’Impero i Cristiani non furono più soggetti alle persecuzioni, perché le grandi menti della Teologia come Ambrogio, Agostino e Giovanni Crisostomo, vennero affiancate da personalità crudeli e feroci come Cirillo e Pietro il Lettore. Questi uomini si macchiarono di delitti atroci, come il rogo della Biblioteca di Alessandria, che costò all’umanità 1200 anni di sapere e di scoperte, oltre che l’uccisione di molti giovani studiosi delle accademie sparse per il territorio ellenico e non, tra cui Ipazia stessa. Oltre a ciò riuscirono a corrompere vari magistrati e figure di spicco perché togliessero fondi e spazi alle scuole di pensiero, perché denunciassero tutti coloro che leggevano e studiavano Platone, Aristotele, Democrito Anassagora, Pitagora… Piegarono al loro volere, con la minaccia della dannazione eterna, i pochi che non si fecero corrompere. Offuscarono la mente del popolo, utilizzando calamità naturali a loro vantaggio e indicandoli come segnali divini. In pratica tutto normale.

Immagine di Ipazia, tratta dal film "Agorà"

Immagine di Ipazia, tratta dal film “Agorà”

Peccato che sul loro cammino ci fosse lei. Una donna, una scienziata, libera dai dogmi di qualunque religione, libera dagli obblighi imposti alle donne del suo tempo. Un’offesa inaudita per la Chiesa Romana. Una donna che osa insegnare, privilegio esclusivo degli uomini, e che veste come un uomo! Ora ci scandalizziamo se vediamo un uomo che veste come una donna o una donna che vuole diventare un uomo. Ipazia già lo faceva le IV secolo d.C. Alla fine delle lezioni, prima di ritirarsi per la sera e continuare lo studio delle stelle, tornava a casa, indossava il tribòn, il mantello dei filosofi uomini, e usciva in strada per parlare con la gente. A chi le chiedesse consiglio oppure volesse conoscere i filosofi e le loro teorie lei rispondeva. Insegnava non più ai suoi allievi, ma al popolo in modo che potesse capire e non farsi ingabbiare in rigidi schemi e dogmi. Voleva che il popolo alessandrino e greco in generale, fosse un popolo di pensiero, in grado di comprendere e migliorare la propria città con le proprie forze, senza dover pregare un dio che mai sarebbe venuto a rimpinguare le casse della città ne, tantomeno, a difenderne le mura.

Ipazia fu anche inventore: a lei si attribuiscono la costruzione del primo astrolabio, uno strumento per studiare il movimento dei pianeti intorno al sole, e del primo Idroscopio, un tubo simile ad un flauto in grado di definire, per la prima volta, il peso dei liquidi.

S. Agostino, suo compagno di studi, rinnega gli insegnamenti ricevuti a favore della buona novella, indicando Ipazia come una donna impura, perché non dedita al compito che il dio di Agostino le aveva assegnato, moglie e madre. Ambrogio la redarguisce affermando che, in quanto donna, non poteva pensare di porsi sul suo stesso livello, e che il ragionamento di una donna non potesse essere tanto elevato da essere considerato un insegnamento. La invita quindi a dedicare la propria verginità al suo dio, come le prime martiri. Cirillo completa l’opera nel415 d.C. Dopo una dura lotta politica per continuare ad insegnare, un gruppo di Monaci Parabolani, o monaci guerrieri, attese Ipazia mentre rientrava a casa, la trascinarono giù dal carro che guidava e la condussero nella nuova chiesa di Alessandria.

Copertina del libro di Adriano Petta e Antonino Colavito

Copertina del libro di Adriano Petta e Antonino Colavito

Qui, secondo alcune fonti contrastanti, la fecero a pezzi con cocci di vasi ( o conchiglie secondo altre tradizioni) e per alcun storici i suoi resti vennero sparpagliati per la città come monito per tutte le donne che avessero in futuro cercato di eguagliare gli uomini. Secondo altri storici i suoi resti vennero portati al Cinereo, la fornace pubblica, dove vennero bruciati perché di lei non potesse rimanere che il ricordo, destinato, secondo Cirillo, a perdersi nel tempo, sovrastato dalla potenza della parola di Dio.

Morte di Ipazia

Morte di Ipazia

Ho conosciuto la figura di Ipazia nel 2006, quando lessi per la prima volta il libro di Adriano Petta e Antonino ColavitoIpazia: vita e sogni di una scienziata del IV secolo”. Fu un colpo al cuore e uno alla ragione leggere il racconto, anche se romanzato, della sua vita e, soprattutto, della sua morte. Da quella prima lettura nacque immediatamente il desiderio di continuare negli studi e cercare di seguire le orme di una figura così affascinante e così esemplare. Una donna che poteva insegnare, sapere e dimostrare di essere all’altezza di qualunque interlocutore, dal fabbro al pretore, senza mai perdere la propria dignità o indossare una maschera. Una donna che poteva imparare e che ha cercato di imparare tutto ciò che l’umanità, fino a quel momento aveva scoperto, cercando anche di dare il proprio contributo. Grazie ad Adriano Petta, nel 2013 ho riletto il libro e ho potuto arricchire le mie conoscenze, con molta più maturità di pensiero e con una splendida doppia intervista all’autore. Quest’anno, ricordando il 1600esimo anno dalla sua morte, avvenuta nel marzo del 415 e da Adriano Petta e Antonino Colavito ricondotta all’8 marzo, in occasione della festa della donna, è stata indetta una raccolta di firme perché a Roma venga dedicata una piazza anche a lei. Nella città in cui venne approvato l’ordine della sua uccisione, sarebbe giusto, a mio modesto parere, concederle uno spazio, per ricordare a tutte le donne, che la conoscenza non ha regole e il sapere ha una sola legge: “seguirlo”.

Di

Fonte: http://www.lundici.it/2015/01/ipazia-dalessandria-la-scienziata-che-sfido-la-chiesa-e-i-suoi-santi/

Foto: Rete

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