La politica non può essere carità, ma in certi momenti non è un peccato essere anche carità».

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“Abbiamo vinto perché ci siamo per prima cosa occupati dei bisogni del popolo”. Mentre le misure anticrisi imposte dalla Troika distruggevano il Paese, il partito di Tsipras ha innovato le pratiche e sostenuto l’auto-organizzazione dal basso dei cittadini: ambulatori e scuole popolari, mense del mutuo soccorso, mercati senza intermediari, cooperative socio-lavorative. Entrando in rapporto e contaminandosi con i movimenti, anche i più radicali. Una “gamba sociale” che ha portato il consenso popolare decisivo per la vittoria elettorale.



ATENE – Fuori dall’ambulatorio, sotto a un albero di mandarini, Liana tiene in mano il foglietto con su scritto il nuovo appuntamento: se ne riparla fra un mese. Ha 52 anni e ha perso due denti. Fa fatica a masticare. «Fosse capitato cinque anni fa, quando avevo un lavoro, l’avrei presa con filosofia. Bastava pagare un dentista. Adesso è un dramma», racconta. Un dramma sì, ma almeno c’è questo spazio a Evripidou, quartiere popolare di Atene, tirato su da una decina di volontari. «Gente di Syriza, lo sappiamo tutti — dice Liana — anche se non hanno mai amato mettere le bandierine. La politica non può essere carità, ma in certi momenti non è un peccato essere anche carità».

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Forse e in parte sta qui il segreto di un successo: dal 4,7 al 36 per cento dei consensi, in soli cinque anni. Lo dicono gli stessi dirigenti di Syriza: «Abbiamo vinto perché siamo andati in mezzo alle strade, nelle piazze, nei luoghi dove mancava tutto — racconta Yannis Albanis, nuovo portavoce del partito — e ci siamo per prima cosa occupati dei bisogni del popolo. È finita l’epoca di quando stavamo rinchiusi a fare le discussioni tra funzionari, oggi è necessario andare nei luoghi dove nasce il conflitto e dove si percepisce il bisogno». Mense del mutuo soccorso, ambulatori e farmacie popolari, riallaccio di utenze, cooperative socio-lavorative per disoccupati, fabbriche recuperate ed altre esperienze di autogestione: sono queste le pratiche messe in campo. “Mutualismo”, la parola magica per contrapporsi al disastro umanitario causato dai memorandum imposti dalla Troika dall’inizio della crisi.

A due passi dal grande mercato del pesce e della carne di Atene, l’agorà, c’è una mensa comunale che in realtà somiglia a un grande bazar dell’assistenza. Uno scatolone pieno di scarpe senza stringhe all’ingresso, cibo in scatolette, bottigliette di acqua; i volontari gelosissimi del proprio lavoro ci spiegano che «non c’è da fare spettacolo, chi viene qui ha vergogna per quello che sta vivendo». Se prima della crisi preparavano un centinaio di pasti a pranzo, adesso siamo arrivati a una media di 350. «La politica? — risponde la direttrice della struttura, Sonia Kamienlos — Questa è politica: dare aiuto pratico. Ho le mie idee, da sempre, ma non le porto qui. O forse le mie idee sono in quello per il quale ci impegniamo, nonostante le difficoltà».

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La cura sbagliata

Smantellamento del welfare, licenziamenti nel pubblico impiego, tagli a scuola e università, privatizzazioni diventate regali alle grandi imprese legate ai potentati politici, compressione salariale. La medicina amara somministrata dall’Europa non è neanche servita, visto che il debito pubblico — il male assoluto: avete vissuto al di sopra delle vostre possibilità, avevano spiegato — non è diminuito ma è anzi aumentato, in termini reali e percentuali.

Gli ultimi dati dell’economia greca parlano da sé: il prodotto interno lordo ha perso il 26 per cento rispetto al periodo precedente alla crisi, mentre Il tasso di disoccupazione è arrivato al 26 per cento, toccando quota 60 per quanto riguarda quella giovanile. Il 40 per cento delle famiglie lamenta l’impossibilità di pagare le utenze e non mancano necessità legate all’educazione dei figli (18 per cento) e genitori in cerca di assistenza psicologica (8).

Dodici manovre finanziarie hanno portato alla creazione di due milioni di nuovi poveri; tre milioni di greci (più del 25 per cento della popolazione) sono ad oggi privi di quell’assicurazione medica diventata una chimera e in possesso solo di chi ha un lavoro o un salario di disoccupazione. Chi non paga contributi o è disoccupato da almeno un anno rimane escluso dalle strutture pubbliche, anche per malattie gravi come i tumori. Solo ad Atene negli ultimi tre anni hanno chiuso otto ospedali.

Fossero solo pietose lamentele di sinistrismo radicale, si potrebbe anche fare spallucce. E invece una delle più importanti riviste mediche del mondo, l’americana The Lancet, già nel febbraio del 2014 pubblicava uno studio dal titolo Greece’s health crisis: from austerity to denialism (“La crisi del sistema sanitario greco, dall’austerità al negazionismo”). A causa della malnutrizione, della riduzione dei redditi, della disoccupazione, della scarsità di medicine negli ospedali, dell’accesso sempre più complicato ai servizi sanitari (specialmente per le madri prima del parto) le morti bianche dei lattanti sono aumentate fra il 2008 e il 2010 del 43 per cento. Il numero di bambini nati sottopeso è cresciuto del 19 per cento, quello dei nati morti del 20. Al tempo stesso muoiono i vecchi, più frequentemente. Fra il 2008 e il 2012, l’incremento è del 12,5 fra gli 80-84 anni e del 24,3 dopo gli 85. E si estende l’Aids, perché la distribuzione di siringhe monouso e profilattici è bloccata.
Malattie rare o estinte ricompaiono, come la Tbc e la malaria. Quest’ultima era sparita da quaranta anni. Oggi mancano soldi per debellare le zanzare infette. «Siamo di fronte a una tragedia della sanità pubblica ma nonostante l’evidenza dei fatti le autorità responsabili insistono nella strategia negazionista», diceva lo studio.

Un altro fare politica

È in questa fase che Syriza crea e finanzia un sistema di mutualismo che si sostituisce alle manchevolezze dello Stato: dove non arriva il welfare, arrivano le forme di autorganizzazione dal basso. Mutualismo e contaminazione coi movimenti. Sostenendo le lotte e — in una fase di corruzione endemica nel sistema — non essendo coinvolta in scandali di malgoverno e collusione della classe dirigente al governo. Per dirla alla Stefano Rodotà “l’esperienza di Syriza ci dice che non basta una buona riflessione culturale se questa non diviene effettiva pratica politica; qui è la ragione profonda del suo successo e della speranza che ha acceso nella sinistra europea”.

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Sono le giornate del luglio del 2011 quando il Palazzo viene preso d’assalto dalla gente inferocita, con i parlamentari di Neo Demokratia e Pasok che votano l’ennesimo pacchetto di riforme. Dettate direttamente da Bruxelles. Non a caso alcune leggi non sono neanche tradotte bene: interi commi sono passati dalle grinfie del Google Translate, creando frasi senza senso.
Delle forze partitiche e parlamentari, Syriza — nata sulle orme del movimento No Global e del grande movimento pacifista degli anni 2000 — era la sola a essere a Syntagma. La polizia carica e la protesta si riarticola a livello territoriale. Nei vari quartieri si formano assemblee e le prime forme di autorganizzazione dal basso: esperienze di economia eco solidale, uso di monete alternative locali, mercati di scambio, “banche del tempo” e cooperative sociali di disoccupati.

«La nostra base militante in questi anni non si è mai davvero ampliata, come i risultati elettorali farebbero pensare — ammette Tonia Tsitsovis, membro del comitato centrale — però quelli che c’erano erano abituati a un grande lavoro di attivismo. Abbiamo semplicemente cambiato il tipo di impegno, meno politico forse ma sicuramente più sociale».

Con l’inizio della crisi parte lo sviluppo degli ambulatori sociali di solidarietà (acronimo è Kifa), in un Paese dove nella pratica non è più riconosciuto il diritto costituzionale alla salute. Sono 60 strutture in tutta la Grecia. La maggioranza delle quali sono gestite daSolidarity for all, una struttura nata per riunire e coordinare, appunto, le numerose iniziative di solidarietà locali. L’aspetto principale della rete è la partecipazione dei cittadini, che ne fa qualcosa di molto di più di semplici strutture assistenziali. Gli ambulatori vengono gestiti in base all’ascolto dei bisogni reali delle persone: dentisti si alternano gratis, fuori dal loro orario di lavoro, a garantire cure per tutti, e lo stesso fanno psichiatri, psicologi, pediatri. Distribuiscono medicine, pannolini, fanno vaccinazioni. Tutto quello che uno Stato dovrebbe ma non garantisce più.

Anche chi ha un’assicurazione sanitaria si rivolge agli ambulatori popolari perché la mutua non “passa” più i medicinali e la gente non ha i soldi per comprarli. Le prestazioni nelle Kifa sono tutte gratuite ed il lavoro all’interno della clinica è su base volontaria. I medicinali vengono raccolti grazie ad una rete di contatti e arrivano alla clinica direttamente dai cittadini, che regalano quelli acquistati e rimasti inutilizzati, oppure dalle farmacie più sensibili alla questione. Oltre a prestare visite e servizi base, i centri sono specializzati e possiedono macchinari (anche molto costosi) per fare le ecografie, biopsie e piccole interventi chirurgici. Un’autorganizzazione che si ritrova in mense e scuole popolari (insegnanti volontari istruiscono gli studenti), assemblee cittadine, radio autogestite, presidi dei dipendenti pubblici licenziati e che in questi anni di sacrifici — ma anche di lotte — ha permesso ai greci di mantenere intatta la propria dignità e di riappropriarsi di diritti che la crisi economica s’è portata via.

Solidarity for all è un’associazione formalmente apartitica ed indipendente ma molti volontari sono militanti di Syriza, che tra l’altro finanzia le attività dell’associazione: il 20 per cento dello stipendio di ogni parlamentare viene versato a Solidarity for all. Il resto dei soldi viene da fondi e beni di privati o da progetti internazionali; in particolare i centri sanitari ricevono finanziamenti da Francia, Austria e Germania. «Ci pensate? Molti di questi medicinali — racconta Dana, medico a Neasmirni, alle spalle ha una parete di farmaci — arrivano proprio dai tedeschi. Sono i più precisi e generosi, quando arriva un loro rifornimento stiamo tranquilli per un mese. È Europa questa, la miglior Europa».

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Tra i vari interventi di mutualismo si formano meccanismi di rete e cooperazione dal basso. Ad esempio molte cooperative raccolgono cibo o farmaci per i centri di solidarietà alimentare e le strutture sanitarie. Quindi Syriza non fa altro che valorizzare forme di autorganizzazione e attivazione popolare, senza nessun tentativo di egemonizzare tali iniziative e pratiche di mutualismo.

Se nel settembre 2012 i comitati auto-organizzati che facevano parte del “network solidale” erano 180-200, oggi sono più di 400. Poi si diffondono i mercati senza intermediari, dal produttore al consumatore. I produttori così guadagnano il 15-20 per cento in più e i consumatori risparmiano rispetto alla spesa al negozio.

È un intervento di resistenza sociale intrapreso non solo da Syriza ma dall’intero movimento ellenico. Soprattutto dalle componenti anarchiche e più libertarie, storicamente radicate in Grecia. Una parte di esse ha creato un rapporto preferenziale con Syriza, decidendo tatticamente e strumentalmente di votarla, pur non avendo fiducia nel meccanismo della delega.

Ora, seppure da una posizione di governo, Syriza non sembra voler chiudere i rapporti con i movimenti; non a caso nel primo Consiglio dei ministri si è stabilito di togliere le transenne in difesa del Palazzo e di disarmare la polizia. Due gesti simbolici molto forti e di grande discontinuità col recente passato.

Secondo Adamos Zachariadis, redattore di Epochì, rivista vicino a Syriza: «Un nuovo modello di sinistra non passa per un cambio di un primo ministro: da Samaras a Tsipras. Il nostro esecutivo sarà stabile soltanto se continua la contaminazione coi movimenti, anche con i settori più critici e duri. È necessaria la pressione dal basso, il governo di sinistra deve vedere i movimenti sociali come un input a rispettare le promesse fatte». Il nuovo esecutivo cosa ne farà di queste esperienze di mutualismo? Le manterrà in vita oppure le chiuderà una volta che verrà rifinanziata e rafforzata la sanità pubblica? Se in alcune Kifa i volontari dicono apertamente che il centro funge da supplenza e che sognano un vero servizio sanitario nazionale, in altri ambulatori si ha un’altra impressione. L’eterno dibattito tra pubblico e beni comuni. Un medico dell’area libertaria ci spiega: «Auto-organizziamo le cliniche solidali con assemblee orizzontali, questa è una nuova esperienza e vogliamo proseguirla. Ciò che l’auto-organizzazione ci dà è l’occasione di realizzare quella che chiamiamo un’assistenza sanitaria diversa, un tipo diverso di salute e questo è ciò che abbiamo realizzato sinora».

Tra le pratiche di mutualismo, c’è anche il fenomeno del sindacalismo dal basso — con oltre una decina di esperienze simili, anche se a volte di natura settaria — e delle fabbriche autogestite. A Salonicco è diventata famosa l’esperienza della Vio.me., tra le più grandi e significative d’Europa. E infine, c’è stata anche la capacità (e il coraggio) di Syriza di forzare le maglie della legalità in nome di una nuova legittimità e liceità delle pratiche: come le squadre di militanti che si adoperavano per riallacciare le utenze ai morosi. Pezzi di quartieri di Atene, per troppo tempo, erano rimasti al buio per l’incapacità della gente di pagare le bollette della luce.

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Syriza ha avuto il merito in questi anni di stare in maniera coerente dalla parte del popolo greco, categoria rispolverata anche nei comizi di piazza, e di abbracciare le esigenze dei nuovi poveri. Sono spuntate parole fino a poco tempo fa indicibili a sinistra, come “patria” e “sovranità”.

Per questo la sfida alla Troika non nasce adesso, ma viene da lontano. Da un lato l’austerity e l’egemonia di finanza e mercati, dall’altra l’Europa “dei popoli”, dei diritti e di un nuovo welfare. Syriza (e la piccola Grecia) da sola non ce la farà. L’asse con Podemos e il ruolo dei movimenti sociali europei saranno con molta probabilità i fattori cruciali per vincere la battaglia. La stessa Solidarity for all ha recentemente scritto un appello internazionale dal titolo “No ai ricatti. Non abbiamo paura. Vinceremo” in cui si augura che le azioni di solidarietà crescano ulteriormente sia in Grecia che a livello internazionale: “Invitiamo tutti a fare del vostro meglio per trasformare il conflitto sulle sorti greche in un cambiamento per tutta l’Europa e oltre. Abbiamo già dimostrato che la speranza di un cambiamento in Europa sta crescendo e che un movimento transnazionale dal basso sembra essere più vicino che poche settimane fa”.

Una Syriza che, grazie alla costruzione di un’alternativa credile, coerente e materiale per la cittadinanza, ha arginato l’avanzata neonazista di Alba Dorata che, pur calando alle scorse elezioni, mantiene sempre un pericoloso 6 per cento di consensi.

«Vogliamo davvero che il continente inizi a frammentarsi? – le parole di Yannis Varoufakis, neo ministro greco alle Finanze – Gli unici a trarne vantaggio sono Marine Le Pen, quelli di Alba Dorata qui da noi, Nigel Farage in Gran Bretagna, tutti quelli che in definitiva odiano la democrazia europea». E poi ancora: “Ad un certo punto qualcuno deve dire ‘no’ e questo ruolo è toccato a noi, piccola Grecia”.

Atene non come la fine dell’Europa ma, forse e chissà, come l’inizio dell’altra Europa.

di Matteo Pucciarelli e Giacomo Russo Spena

Fonte: http://temi.repubblica.it/micromega-online/

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