Sapete, la memoria è bislacca. Trattiene scampoli del tempo lontano e fatica ad arrabattarsi nel quotidiano.
Della Settimana Santa del tempo dei contadini custodisce tanto nei suoi anfratti.
Carrozze (raganelle), palme, lavuro (grano germogliato in una scodella), sabburco, Fratelli, prediche di don Cosma, Via Crucis, Pasqua… E poi i volti, uomini e donne, ognuno col “suo” calvario di fatiche, privazioni, speranze, mescolati a quelle liturgie come in un rito di passaggio verso altro: liberazione dalla miseria e dagli affanni, desiderio di un mondo più umano.
I riti della Settimana Santa sono intensi, fino alle lacrime. Perché?
Forse perché questo momento della vita del Cristo raccoglie e racconta, a modo suo, gli eterni problemi dell’uomo: la vita e la morte, il dolore e la gioia, la violenza e la compassione, la paura e il coraggio, il tradimento e l’amicizia, la sconfitta e la vittoria, l’intreccio madre – figlio, ecc. ecc. ecc.
L’unico assente è il padre: quello putativo è nella penombra e l’Eterno Padre è impenetrabile e silenzioso”. (Eloì, Eloì, lama sabactàni?, – Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?)
Questi pensieri mi accompagnano, mentre, al tepore della stufa, lascio che la nostalgia addolcisca i ricordi, che la memoria raccoglie a piene mani.