IMPRESENTABILI – – De Luca, il Pd e il Renzi’s tamarro style

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De Luca non è un incidente di percorso del Pd, un occasionale cacicco meridionale la cui presenza il partito ha dovuto subire per i capricci del popolo delle primarie. Se fosse stato questo, Renzi non si sarebbe speso mettendoci personalmente la faccia ed oggi non starebbe ad arrampicarsi sugli specchi per salvarlo dalla legge Severino, altre volte applicata senza sconti.

E non è nemmeno un fenomeno locale, che tocca difendere per onor di bandiera, ma che resta un fenomeno circoscritto. Se così fosse il Pd non arriverebbe ad aggredire una sua stessa esponente, presidente della Commissione Antimafia, che è stata anche presidente del partito.

De Luca esprime l’essenza del Pd attuale. Non mi riferisco ai suoi carichi pendenti che vedremo come andranno a finire e che lo rendono simile a tanti altri amministratori del Pd a Genova, a Venezia… a Roma. Mi riferisco alla sua oscena concezione della politica.

Proprio per la sua manifesta inadeguatezza culturale, la semplicità di feudatario del Cilento, dice quello che il suo gruppo dirigente pensa ma non osa dire. E’ di qualche giorno fa una sua icastica dichiarazione: “Chi se ne frega della Severino?! Chi vince governa”. Una frase in cui c’è tutto un modo di pensare basato su una inversione del principio democratico. Certamente in democrazia a governare deve essere chi ha vinto le elezioni, ma per vincere le elezioni non  basta prendere più voti degli altri, occorre anche farlo nel rispetto delle leggi delle quali, evidentemente, l’aspirante neo governatore della Campania, “se ne frega”.

Non sono mai stato un tifoso della legge Severino che ritengo ambigua, malfatta, inefficace e certamente De Luca ha diritto di ricorrere contro di essa nella sede  giudiziaria competente che (a proposito: De Luca si aggiorni!) non è più il Tar ma il tribunale ordinario. Ma sino a quando una norma c’è, si rispetta e non si aggira, magari con la compiacenza di un Governo e di un Parlamento di “amichetti”. Ma la concezione di De Luca è quella dell’asso piglia tutto: chi vince, per fas et nefas poco importa, governa, anzi “comanda” (come insegna il suo capo, Renzi: “un uomo solo al comando”). E’ la stessa concezione della democrazia di Berlusconi, per la quale, chi vince le elezioni è “l’Unto del Signore”. Una concezione predatoria che include anche le leggi ad hoc o ad personam, lo smembramento della Costituzione, l’assalto alle alte cariche dello Stato, il diritto di saccheggio eccetera eccetera. Una concezione che non concepisce i limiti opposti al potere dalle norme dello Stato di Diritto, dalla divisione dei poteri, dal ruolo dell’opinione pubblica. Una idea da caudillos latino americano.

Questa è l’ idea del potere che ha anche Renzi, mirabilmente espressa nella sua legge elettorale, per la quale una forza politica che magari rappresenta il 12,5% dell’elettorato totale (ad esempio il 25% del 50% di quanti vanno a votare) si aggiudica il 54% dei seggi dell’unica camera e ha un’ottima base di partenza per cambiare la Costituzione a piacimento. E questo perché “gli italiani devono sapere dalla sera delle votazioni chi governerà”, anzi: “comanderà”, perché il tanghero fiorentino confonde il governo con il Potere nella sua interezza: ma il governo, in uno Stato di diritto, è solo una delle articolazioni del potere, non l’unica. In Germania, Francia, Inghilterra, Spagna, Austria, Olanda ci sono sistemi elettorali che non garantiscono affatto di sapere chi governerà nei 5 anni successivi, ma, tutto sommato, non mi pare che ci siano particolari drammi. Perché in Italia dovrebbe essere diverso?

Ma De Luca e Renzi non sono uomini da sofisticatezze intellettuali, cose che lasciano agli oziosi, loro sono uomini d’azione, non di cultura e ci tengono a rimarcarlo in ogni occasione, facendo sfoggio del loro spirito praticone e del fastidio per ogni dibattito, soprattutto quando assuma vaghe sfumature culturali. Ed se qualcuno riesce a fare una obiezione, la risposta non è mai nel merito, ma sempre rovesciando insulti ed insinuazioni sull’avversario: “Personaggetto”, “Qualcuno che ha nostalgia del partito che non vince”, “Cialtroneria”, “Rosiconi”, “Disfattisti”,  “Gufi”.

E’ questa la griffe stilistica di entrambi: un cocktaill di arroganza, aggressività, cafoneria, invadenza, prevaricazione, spudoratezza. E’ il Renzi’s tamarro style che ormai non appartiene solo a lui ma è la cifra di una intera classe politica. Ho visto ultimamente su youtube lo scontro fra Orfini e Peter Gomez: al giornalista che, con molta pacatezza cercava di dire quale era stata la reazione del Pd nell’immediatezza della seconda rata di Mafia capitale, Orfini opponeva uno show da super maleducato, interrompendo in continuazione, parlando sopra a Gomez  e quando questi, giustamente seccato, ha alzato la voce dicendo “Mi lascia parlare?” la risposta per nulla imbarazzata è stata “No, non parli, perché stai dicendo cose sbagliate”.  Ora, può anche darsi che Gomez stesse dicendo cose sbagliate (secondo me no, ma questo è secondario): civiltà vorrebbe che lo si lasciasse finire per replicare dimostrando perché e percome quanto da lui detto è solo un cumulo di cialtronate. E magari anche lo spettatore sarebbe grato per essere stato messo in grado di capire. Ma Orfini, come spesso accade agli uomini della casta, ha ottime ragioni per desiderare che lo spettatore non capisca e per lui è importante solo che il messaggio dell’altro non passi, per cui grida in modo che non si capisca nulla. Ed è ovvio: non può mica ammettere di essere il Presidente di un partito che affonda nella melma di Mafia Capitale! Orfini, più che all’Aula Parlamentare è idoneo al mercato del pesce.

Stessa storia la sera dei risultati elettorali, con un senatore Enrico Carbone, impegnato a minimizzare la sconfitta elettorale del suo partito, cosa per la quale sosteneva che occorresse sommare le liste delle civiche di fiancheggiamento al Pd (ne abbiamo detto negli articoli precedenti) “E basta!” (e quell’”E basta” che non ammette replica di sorta è già spia del livello di civiltà dei parlamentari del Pd). Al povero senatore Stefàno di Sel, che è pugliese ed obiettava che in Puglia nelle civiche c’era proprio di tutto, Carbone rispondeva “Tu pensa a Sel che in Puglia è andata male”. Appunto: perfetto Renzi’s Tamarro Style.

E questo stile è spia di una concezione della democrazia fra l’autoritario e l’oclocratico. Il fatto è che i renziani sono antropologicamente estranei alla civiltà delle buone maniere che, guarda caso, quantomeno storicamente, è la premessa di quella della democrazia.

Ed allora, venite ancora  a dirmi che ad essere impresentabile è il solo De Luca? Impresentabile è il Pd in quanto tale.

Ed ho una domanda agli ex militanti del Pci, ancora numerosi, nonostante tutto, nelle file del Pd: ma come fate a non vergognarvi di stare in una cloaca del genere?

Aldo Giannuli

Fonte: http://www.aldogiannuli.it …/

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