La guerra è il corollario e la grande salvezza del dispositivo capitalista.

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La spartizione radicale del mondo in aree di consumo e aree di produzione ha creato un dislivello planetario nella redistribuzione delle ricchezze e uno squilibrio nello sfruttamento delle risorse. I paesi sottosviluppati creano la ricchezza effettiva e l’Occidente la gestisce e la depaupera. Ora, pur sapendo che microeconomicamente la popolazione media europea e statunitense non vive nella società dei consumi integrale, ci troviamo, a livello macroeconomico internazionale, nella situazione del borghese e del proletario: rispettivamente il nord e il sud del mondo, il centro e la periferia. Il primo che consuma, l’altro che produce.

E da questo rapporto, inutile dirlo, è impossibile escludere la guerra. Anzi, la guerra è il corollario e la grande salvezza del dispositivo capitalista. Nel discorso stesso della libertà affinato dalla filosofia moderna – che ha declinato libertà di pensiero in libertà di mercato – si sedimenta il concetto della guerra. E tra queste due polarità, un vuoto, l’impensabile per il capitalista, il non-detto: il “benessere” e la “libertà” occidentali sono possibili solo ed esclusivamente con l’esercizio dello sfruttamento economico dislocato delle risorse di altri popoli. Qualcuno dovrà pur produrre ciò che consumiamo! Qualcuno dovrà pur essere sfruttato perché noi gioiamo! Da quando abbiamo abbandonato la realtà della produzione per dedicarci interamente all’economia terziaria (manager, marketing, promozione, pubblicità, servizi intermedi) e quaternaria (comunicazione, spettacolo, consulenza) – è quel cambiamento paradigmatico sottolineato da Boltansky e Chiapello in Le nouvel esprit di capitalisme – viviamo in un’astrazione onirica, con la possibilità di consumare – lavorando certo – ma senza produrre ricchezza effettiva: è il grande desiderio, il ritorno allo stato infantile, la vita del bambino. La produzione, che è un “principio di realtà” o di prestazione, è stata rimossa nelle profondità dell’inconscio per non dispiacere alla coscienza, e adesso ritorna come in un sogno freudiano, simbolicamente, e stavolta con un nome: Daesh. È la maschera apocalittica e virile dietro cui si nasconde lo spirito di rivalsa di quegli ultimi che producono, che credono, che preghano. L’Isis, ma anche l’immigrazione in generale, è l’eterno ritorno di tutto quello che, grazie ai saltimbanchi del pensiero unico, abbiamo rimosso dalle nostre coscienze: le guerre, i soprusi nelle zona mediorientale, la malapolitica internazionale, la destabilizzazione dei governi legittimi, è la realtà che ritorna in forma di lapsus e crea l’incubo, il Terrorismo! Quale simbolo migliore, quale migliore espediente ha inventato l’inconscio della produzione per far si che la psicologia collettiva possa ricacciare il mostro nell’abisso del rimosso con una nuova guerra e salvare integralmente il capitalismo, di nuovo!

Fonte: http://www.lintellettualedissidente.it/inattuali/freud-lisis-e-leterno-ritorno-del-rimosso/

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