BRANI DELLA VITA DI SAN NILO: si fa eremita

San Nilo

San Nilo

 
Per elevarsi agli eccelsi gradi della contemplazione divina, Nilo amò tanto la solitudine sperando per suo tramite di potere acquistare alla sua anima ampie ricchezze e giungere, così, felice alla sommità della vera sapienza.

Perciò comunicò ai santi padri del monastero il suo proposito di andare a vivere in solitudine e, confidando nelle loro benevolenza, si accinse ad eseguire ciò che aveva in animo di fare.

Non molto lontana dal monastero, sopra la cima di alcuni monti, c’era una grotta vicino alla quale si trovava una piccola cappella dedicata all’arcangelo s. Michele, luogo molto ricercato dagli amanti del silenzio e della pace. Egli si recò là per vivere solitario e partecipare abbondantemente delle grazie del ciclo. Aveva deciso di sottoporre l’anima e il corpo alla legge di Dio, non permettendo in nessun modo alla sua mente di applicarsi a cose vili e basse ma solamente alla contemplazione divina.

Con rigorosa disciplina sottomise la carne, allo spirito domandola con un aspro tenore di vita, cosicché l’abituò a prendere il cibo necessario qualche volta il secondo giorno, qualche altra volta il terzo giorno e qualcun’altra volta il quinto giorno e questo ancora tanto scarso e parco che bastava appena a sopravvivere; si nutriva senza mai desiderare cose delicate e gustose astenendosi sempre dal bere vino e dal mangiare vivanda cotta ma cibandosi soltanto di ciò  che gli si presentava davanti. Affliggeva il suo corpo stando sveglio tutta la notte a recitare salmi in piedi o a pregare in ginocchio.

Questo era l’ordine in cui passava la giornata: dall’alba fino all’ora terza scriveva velocemente ed elegantemente con caratteri minuti affinchè potesse ogni giorno riempire un quinterno. Fino all’ora sesta stava fermo davanti alla Croce recitando salmi e ponendosi per mille volte in ginocchio. Dall’ora sesta all’ora nona stava seduto leggendo e contemplando la Legge Divina. Dopo l’ora nona, usciva un poco a camminare cantando Inni e indirizzandoli a Dio come odoroso incenso. Al tramonto del sole si ritirava per mangiare.

ORSOMARSO - Eremo di san Nilo con la grande pietra

ORSOMARSO – Eremo di san Nilo con la grande pietra


La sua mensa era una grande pietra sulla quale si vedeva apparecchiato soltanto un pezzo di vaso rotto che gli serviva da scodella: né vi compariva altra vivanda se non che pane e acqua ovvero un solo legume cotto, e nel tempo dell’autunno soltanto qualche frutto. Più volte si nutrì poi solo di bacche selvatiche amare, raccolte con le proprie mani. Nello spazio di venti giorni fece per ben tre volte una astinenza tale che in tutto quel tempo prese cibo soltanto due volte. Visse undici mesi senza mai bere, nutrendosi soltanto di sera di un poco di pane duro.

Passava tutto il periodo della Quaresima senza assaggiare niente altro che il pane consacrato nel Sacrificio della Messa secondo l’uso dei Greci. Trascorreva la notte in diversi esercizi con un ordine non meno rigoroso rispetto a quello del giorno.

Concedeva al sonno un’ora soltanto e il resto della notte lo impiegava nel leggere il Salterio e nel cantare Inni accompagnandosi con cinquanta genuflessioni. Il suo abito era un sacco tessuto con peli di capra, vale a dire rutto un cilicio. La sua cintura era una corda, né mai, se non in capo dell’anno, la scioglieva. Andava a capo scoperto e camminava a piedi nudi. Non aveva nessun tipo di letto, non possedeva una cassa, né una cassetta, né una cesta, né una bisaccia, né tanto meno un calamaio, sebbene scrivesse molto. Servendosi di un comune pezzo di tavola e di un ripostiglio, dove tenere la penna e l’inchiostro, compose una grande quantità di libri.

 San_Nicodemo_-_Ritratto_San_Nilo


San Nicodemo,ritratto San Nilo


All’inizio della sua esperienza di vita eremitica ebbe molto da combattere con gli spiriti maligni, i quali, affinchè abbandonandola, se ne ritornasse al Convento, ora chiamandolo timido e traditore de’ suoi fratelli, poiché li aveva lasciati, ora tentandolo con le lusinghe della lode e della ambizione, lo travagliavano a tal punto che il santo monaco, confuso di mente, sembrava, a causa della violenza dei pensieri, divenuto sì tumido e grosso da non poter entrare nella sua spelonca.

Allora l’accorto medico di se stesso, valendosi dell’antidoto dell’umiltà, pigliata la veste di cilicio che gli doveva servire per l’anno seguente, scendeva in mezzo alla strada, dove c’era un grande albero, la sospendeva ai suoi rami e fingeva che quello fosse il b. Fantino o un altro de’ padri del monastero. Fatta dunque all’albero una profonda riverenza, stava là fermo in piedi e immaginava d’essere esaminato da quel tale e che gli rispondesse, rendendogli ragione della sua vita solitaria; fingeva poi di trovarsi convinto e che il b. Fantino e gli altri monaci lo riprendessero e burlassero dicendo: “Ecco l’uomo ritirato; ecco l’abitatore dell’Eremo, oh come astutamente, per sottrarsi all’ubbidienza altrui sceglie di non comandare a nessuno! Vedete con quale pretesto fogge la soggezione dai chiostri e cerca la libertà per le campagne aperte! Certamente la sua vita è perfetta perché non né ha testimoni né termini di paragone! ” e rivolgeva poi molti improperi a se medesimo.

Posti in foga i nemici diabolici con tali stratagemmi ritornava dentro la spelonca come in una prigione a sopportare con pazienza ogni avversità, considerando il detto dell’Apostolo s. Paolo: “Meglio è per me il morire, anziché rimanere privo della mia gloria”.

Spesse volte, mentre applicava tutto se stesso davanti al suo altare a recitare i salmi e a pregare, gli sopraggiungeva un pensiero di questo genere: “Alza gli occhi e guarda nel Santuario che forse vi scorgerai un angelo o una fiamma di fuoco o lo Spirito Santo”. Egli allora, con gli occhi chiusi e con atti di penitenza e di mortificazione, offendeva il suo corpo a tal punto che a guisa d’acqua fluente ne scorreva per terra il sudore.

Il Diavolo fremendo contro di lui di crudelissimo sdegno si ingegnava persino di togliergli la vita. E una notte, mentre era occupato nei divini uffici cantando e pregando e vegliava in ginocchio dentro una piccola spelonca che aveva scavato con le sue mani, gli apparve l’empio nemico in forma di Etiope con un grosso bastone in mano col quale gli percosse violentemente il capo distendendolo a terra mezzo morto. Rinvenuto dopo un’ora, Nilo conobbe dall’effetto subito la grandissima rabbia e invidia del Diavolo; il dolore che soffriva era molto acuto e abbastanza esteso il gonfiore e il livido che quella tremenda percossa gli aveva dipinto sull’occhio sinistro e su gran parte del viso; inoltre, gli aveva intorpidito un braccio in modo tale che non poteva stare in piedi o svolgere alcuna pratica religiosa. Visse in quello stato un anno intero sopportando continui dolori e disagi né volle essere mai curato.

La copertina del libro

La copertina del libro


Fonte: A. Sitongia – S. Ferrari, BRANI DELLA VITA DI SAN NILO,  Ferrari editore

Foto Rete

Ti potrebbero interessare:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Close