VELENI ENI, dalla Lucania alla Calabria

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«Iam non ha nessun tipo di problema, è la popolazione che ha il problema… il problema degli odori: ormai esce su tutti gli impianti… delle vostre acque». Antonio Curcio, legale rappresentante della Ecosistem – ditta lametina che lavora nel settore rifiuti – si confronta al telefono con Vincenzo Lisandrelli, il manager che gestisce per conto dell’Eni i rifiuti liquidi prodotti nel Centro Oli di Viggiano. Si tratta di uno dei passaggi più importanti del filone dell’inchiesta “Tempa rossa” – lo scandalo che ha portato alle dimissioni l’ex ministro Federica Guidi – che tocca la Calabria. Che, questa volta, non è al centro di mazzette e corruzione ma è stata raggiunta da un traffico di rifiuti: vantaggiosissimo per le tasche di imprenditori e manager del colosso energico, molto pericoloso per i cittadini e per l’ambiente. La Iam (sta per Iniziative ambientali meridionali) gestisce il depuratore di Gioia Tauro, un impianto che – scrive la Procura di Potenza – non era in grado di trattare i rifiuti pericolosi che giungevano dalla Basilicata. Per questo motivo Giuseppe Fragomeni, amministratore delegato della ditta ed ex dirigente della Regione, è indagato. Il trucco, secondo i magistrati, era semplice quanto rischioso: bastava modificare il codice dei rifiuti, facendo finta che fossero normali reflui, e recapitarli a impianti “regolari”, in giro per l’Italia. In Calabria, due di essi non erano autorizzati a gestire scarti pericolosi, eppure lo hanno fatto. È successo a Gioia Tauro (con la Iam, appunto) e Bisignano, nel depuratore della Consuleco (il cui legale rappresentante, Vincenzo Morise, è indagato al pari di Fragomeni). Curcio ribadisce che il problema c’è: «Allora, ti dico la verità… il problema della… del cattivo odore c’è su tutti gli impianti. Ora è peggiorato con il caldo, quindi dobbiamo vederci un attimino perché qualcosa si riesce a fare, ma dobbiamo farlo… lì a Viggiano, dobbiamo vedere un attimino di poter fare qualcosa lì su… su Viggiano. Cioè dobbiamo dare lì qualcosa, qualche trattamento, qualche prodotto da poter mettere affinchè… viaggiamo un attimo tranquilli per tutta l’estate». Il problema è quello di «viaggiare tranquilli»: nessuno sembra preoccuparsi dell’ambiente e delle conseguenze di quei trattamenti. Sparito il cattivo odore, spariranno anche i problemi con i cittadini.

MIGLIAIA DI TONNELLATE Ma l’odore non è l’unico problema che emerge dalle carte dell’inchiesta. L’immane mole di rifiuti liquidi prodotta nel Centro Oli ha bisogno di essere smaltita. A questo scopo, scrivono i magistrati, «Eni ha posto in essere una vera e propria organizzazione, che seppur inquadrata amministrativamente dai due contratti stipulati rispettivamente con i Raggruppamenti Temporanei d’Imprese Ireos e Ecosistem, di fatto è finalizzata al traffico illecito dei rifiuti». La Procura indaga su due anni, il 2013 e il 2014, nel corso dei quali migliaia di tonnellate di rifiuti pericolosi sono arrivate nei due impianti calabresi che non avevano i mezzi per trattarle. Si tratta di 28mila tonnellate giunte a Gioia Tauro e circa 3.200 iniettate nel depuratore (e nell’ambiente) a Bisignano. In entrambi i casi, il consulente nominato dagli uffici giudiziari ha evidenziato che «i rifiuti liquidi provenienti dalle due vasche (del Centro Oli, ndr) dovevano essere caratterizzati con i codici CER 19 02 04 (miscugli di rifiuti contenenti almeno un rifiuto pericoloso) e 13 05 08 (miscugli di rifiuti delle camere a sabbia e dei prodotti di separazione acqua/olio), entrambi pericolosi». Il codice assegnato, invece, era decisamente tranquillizzante e riservato agli scarti non pericolosi.

GLI ALTRI IMPIANTI Ci sono altri due impianti calabresi nell’inchiesta lucana. Entrambi, però, sono autorizzati a gestire i reflui in arrivo dalla Basilicata. Si tratta dei depuratori di San Pietro Lametino, gestito dalla Econet, e Crotone, di proprietà del gruppo Vrenna.

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MILIONI DI EURO IN BALLO La regola aurea è accumulare denaro senza tenere conto delle conseguenze per l’ambiente. È l’ingiusto profitto uno degli aspetti dell’inchiesta che, ancora, passa per la Calabria. E tocca la solita Ecosistem. Questa tranche investigativa è collegata ovviamente agli aspetti economici legati al ciclo dei rifiuti programmato dall’Eni nell’ambito della filiera che include Gioia Tauro e Bisignano. «A fronte dell’ingente movimentazione e smaltimento di rifiuti – scrivono i magistrati –, si produceva un consistente ritorno economico per tutte le parti in causa, concretizzatosi sostanzialmente in un sostanziale risparmio per la committente Eni e in un ingiusto guadagno per gli impianti di smaltimento che, grazie alla “pilotata” e più favorevole classificazione del rifiuto, avevano potuto trattare il rifiuto celando, sotto una parvenza di legalità, un vero e proprio traffico illecito». Soldi per tutti, dal produttore (di rifiuti) a chi li smaltiva senza disporre di impianti adatti. La Ecosistem è una delle capofila nel sistema dei trasporti che ha permesso a Eni di risparmiare milioni di euro. La società, infatti, ha versato tra il 2013 e il 2014 – per smaltire i rifiuti classificati come “non pericolosi” – 21 milioni a Ireos e 11,4 milioni alle imprese del raggruppamento guidato da Ecosistem. Senza il “trucco” sulla classificazione dei rifiuti, secondo l’accusa Eni avrebbe speso tra 10 e 37 milioni in più (le cifre sono calcolate richiedendo preventivi ad altre società del settore).

INDAGATI CALABRESI Sono sei i calabresi indagati nello scandalo del Centro Oli di Viggiano. Si tratta degli amministratori della Ecosistem Salvatore Mazzotta, 43 anni, residente a Montepaone; Rocco Antonio Aversa, 53 anni, residente a Lamezia Terme; Antonio Curcio, 49 anni, residente a Lamezia Terme; di Giuseppe Fragomeni, 73 anni, e Maria Rosa Bertucci, 57 anni, rispettivamente amministratore unico e responsabile tecnico della Iam; e di Vincenzo Morise, 69 anni, amministratore unico della Consuleco.

Pablo Petrasso
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 Fonte: http://www.corrieredellacalabria.it/index.php/cronaca/item/44863-scandalo-eni,-i-veleni-lucani-nei-depuratori-calabresi
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