Mercificio

 

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Sotto molti aspetti, l’automobile è stata la merce che ha caratterizzato il 20° secolo. La sua importanza non proveniva dal suo virtuosismo tecnologico o dalla sofisticatezza della catena di montaggio, bensì dalla sua capacità di riflettere e modellare la società. Il modo secondo cui si producevano, si consumavano, si usavano e si regolamentavano le automobili costituiva una finestra sul capitalismo stesso del 20° secolo – uno sguardo d’insieme su come il sociale, il politico e l’economico si intrecciavano ed entravano in collisione.

Adesso, in un periodo caratterizzato dalla finanziarizzazione e dalla globalizzazione, nel quale la “informazione” è la regina, l’idea che una qualche merce possa definire un’epoca potrebbe apparire antiquata. Ma le merci oggi non sono meno importanti, e le relazioni delle persone con queste merci rimangono centrali ai fini della comprensione della società. Se l’automobile è stata fondamentale per comprende l’ultimo secolo, lo smartphone è la merce che definisce la nostra epoca.

Al giorno d’oggi le persone perdono parecchio tempo con i loro telefoni cellulari. Durante il giorno, lo controllano continuamente e se lo tengono sempre vicino al proprio corpo. Ci dormono accanto, lo portano in bagno, e lo guardano mentre camminano, mangiano, studiano, lavorano, mentre aspettano e mentre guidano. Il 20% dei giovani adulti ammette di controllare il proprio telefono perfino mentre fanno sesso.

Qual è il significato del fatto che le persone sembra che abbiano un cellulare in mano o in tasca dovunque vadano, per tutto il giorno? Per capire la nostra presunta dipendenza collettiva dal cellulare, bisogna seguire il consiglio di Harry Braverman ed esaminare «da un lato la macchina, e dall’altro lato le relazioni sociali, e il modo in cui queste due cose si incontrano nella società».

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Il capitale ha bisogno di riprodursi e di generare nuove fonti di profitto nel tempo e nello spazio. Ha bisogno costantemente di creare e rafforzare la separazione fra lavoratori salariati e proprietari di capitale, di aumentare il valore che estrae dai lavoratori, e di colonizzare nuove sfere di vita sociale per creare merci. Il sistema, e le relazioni che lo compongono, è in continuo movimento.

L’espansione e la riproduzione del capitale nella vita quotidiana e la colonizzazione di nuove sfere di vita sociale da parte del capitale non sempre sono evidenti. Pensare sullo smartphone ci aiuta a mettere insieme i pezzi sul perché il dispositivo in sé faciliti e sottenda a nuovo modelli di accumulazione.

L’evoluzione del lavoro negli ultimi trent’anni si è caratterizzata per un certo numero di tendenze – l’allungamento della giornata e della settimana lavorativa. il declino dei salari reali, la riduzione o l’eliminazione dal mercato delle protezioni non-salariali (le pensioni fisse, le norme sulla salute e la sicurezza), la proliferazione del lavoro part-time ed il declino dei sindacati.

Allo stesso tempo, sono cambiate anche le norme in materia di organizzazione del lavoro. Hanno proliferato modelli di lavoro temporaneo e a progetto. Non è più previsto che gli imprenditori assicurino la garanzia del posto di lavoro o degli orari regolari, e i dipendenti non si aspettano più queste cose. Ma il degrado del lavoro non è un dato di fatto. Lo sfruttamento crescente e la pauperizzazione sono tendenze, non risultati inevitabili fissati dalle regole del capitalismo. Sono il risultato di battaglie perdute dai lavoratori e vinte dai capitalisti.

L’uso generalizzato dello smartphone per estendere la giornata lavorativa e per espandere il mercato dei lavori “di merda” è un risultato dovuto alla debolezza sia dei lavoratori che dei movimenti della classe operaia. La coazione e la buona volontà da parte di un numero crescente di lavoratori ad impegnarsi con gli imprenditori per mezzo dei loro cellulari, normalizza e giustifica l’utilizzo degli smartphone in quanto strumento di sfruttamento, e solidifica la disponibilità continua come requisito per poter ricevere un salario.

A prescindere dalla grande recessione, i tassi di profitto aziendale sono aumentati costantemente a partire dalla fine degli anni 1980, e non solo come effetto della capacità del Capitale (e dello Stato) a fare arretrare le conquiste del movimento operaio. L’estensione dei mercati globali si è ampliata ed approfondita, e lo sviluppo di nuove merci è aumentato a ritmo sostenuto.

L’espansione e la riproduzione del Capitale dipende dallo sviluppo di queste nuove merci, molte delle quali emergono dalla spinta incessante del capitale a cercare nuove sfere di vita sociale per il profitto o, come dice l’economista politico Massimo De Angelis, «mettere al lavoro [queste sfere] per le priorità e le urgenze [del capitale]».

Ai fini di questo processo, lo smartphone è centrale. Fornisce un meccanismo fisico per permettere l’accesso costante ai nostri Io digitali ed apre una nuova frontiera quasi inesplorata alla mercificazione.

 

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Gli individui non ricevono salari per creare e mantenere avatar digitali – sono pagati con la soddisfazione di partecipare a rituali, e con la concessione di controllare le loro interazioni sociali. Sono pagati per mezzo della sensazione di fluttuare nella vasta connettività virtuale, anche se i loro dispositivi portatili misurano i loro legami sociali, aiutando le persone ad immaginarsi unite mentre vengono mantenute separate come entità produttrici distinte. La natura volontaria di questi nuovi rituali non fa sì che siano meno importanti, o meno redditizi per il Capitale.

Braverman ha detto che «il capitalista trova nel carattere infinitamente malleabile del lavoro umano la risorsa essenziale per l’espansione del suo capitale». Gli ultimi trent’anni di innovazioni dimostrano la verità di quest’affermazione, ed il cellulare è emerso come uno dei meccanismi primari per attivare, connettere e canalizzare la malleabilità del lavoro umano.

Lo smartphone assicura che una parte sempre maggiore della nostra vita da svegli sia dedicata alla produzione. Cancella il confine fra lavoro e tempo libero. Ora gli imprenditori hanno accesso quasi illimitato ai loro dipendenti, e in misura sempre maggiore anche conservare un lavoro precario e mal pagato dipende dalla abilità di rimanere sempre disponibili e pronto a lavorare. Allo stesso tempo, gli smartphone offrono alle persone accesso mobile costante ai beni comuni digitali e alla loro nebulosa etica della connettività, ma solo in cambio delle loro identità digitali.

Lo smartphone rende confuso il confine fra produzione e consumo, fra sociale ed economico, fra il pre-capitalista ed il capitalista, garantendo che, a prescindere dal fatto che uno usi il proprio telefono per lavoro o per svago. il risultato sia sempre più lo stesso – il profitto per i capitalisti.

L’arrivo dello smartphone significa il momento Debordiano in cui la merce ha portato a termine la sua «colonizzazione della vita sociale»? È vero che non solo la nostra relazione con le merci è più facile da vedere, ma anche che «le merci sono tutto quel che c’è da vedere?»

Potrebbe sembrare che stia calcando la mano. L’accesso ai social network e la connettività digitale per mezzo dei telefono cellulari ha indubbiamente degli elementi liberatori. Lo smartphone può contribuire alla lotta contro l’anomia e a promuovere un senso di consapevolezza ambientale, mentre allo stesso tempo rende più facile alle persone costruire e mantenere rapporti reali.

Una connessione condivisa attraverso avatar digitali può anche alimentare resistenze nei confronti delle esistenti gerarchie di potere, i cui meccanismi interni isolano e riducono al silenzio gli individui. È impossibile immaginare le proteste scoppiate a Ferguson e la brutalità della polizia senza gli smartphone e i social media. E, in ultima analisi, la maggioranza delle persone non è ancora costretta ad usare lo smartphone per lavorare, e certamente non viene loro richiesto che mettano in scena un loro avatar per mezzo della tecnologia. La maggioranza potrebbe gettare a mare il proprio telefono anche domani, se volesse.

Ma non vogliono. La gente ama i loro dispositivi portatili. Comunicare soprattutto per mezzo degli smartphone sta rapidamente diventando una norma accettata, e sono sempre più i rituali che stanno diventando tecnologicamente mediati. La connessione costante alle reti e le informazioni che traiamo dal cyberspazio, sta diventando centrale ai fini dell’identità. È questo il motivo per il quale è in atto una speculazione labirintica.

Forse, come suggerisce Ken Hills, esperto di tecnologia e media, è solo un’altra maniera di «evitare il Vuoto e la mancanza di senso dell’esistenza?» Oppure, come ha recentemente pensato Roxane Gay, insegnante e scrittrice, la nostra capacità di manipolare i nostri avatar digitali costituisce un balsamo per il nostro profondo senso di impotenza di fronte all’ingiustizia e all’odio?

O ancora – come si chiede Amber Case, guru tecnologico – ci stiamo trasformando tutti in cyborg?

Probabilmente no – ma ciò dipende da come si definisce cyborg. Se un cyborg è un essere umano che usa un pezzo di tecnologia o una macchina per ripristinare funzioni perdute o per aumentare capacità e conoscenza, allora è da tempo che le persone sono cyborg, e usare uno smartphone non è diverso dall’uso di una protesi, dal guidare un’automobile, o dal lavorare ad una catena di montaggio.

Se si definisce cyborg una società come quella in cui le relazioni umane sono mediate e modellate dalla tecnologia, allora la nostra società risponde sicuramente a tali criteri, e i nostri cellulari svolgono un ruolo centrale in tutto questo. Ma il nostro relazionarci e i nostri rituali è da tempo che sono mediati dalla tecnologia. L’affermarsi di centri urbani di massa – centri di connettività e di innovazione – non sarebbe stato possibile senza le ferrovie e le automobili.

Macchinari, tecnologia, reti, e informazioni non dirigono o organizzano la società – le persone, lo fanno. Siamo noi che facciamo cose e le usiamo secondo quella che è la rete esistente di relazioni sociali, economiche, politiche e quello che è l’equilibrio di potere.

Lo smartphone, e la forma in cui modella e riflette le relazioni sociali esistenti, non è più metafisico di quanto lo fosse il Ford Ranger che un tempo veniva sputata fuori dalla catena di montaggio ad Edison, New Jersey. Lo smartphone è tanto una macchina quanto una merce. La sua produzione è una mappa del potere, della logistica, e dello sfruttamento globali. Il suo utilizzo dà forma e riflette lo scontro perenne fra l’azione totalizzante del capitale e la resistenza da parte del resto di tutti noi.

Allo stato attuale, la necessità da parte dei capitalisti di sfruttare e mercificare viene rafforzata dal modo in cui gli smartphone vengono prodotti e consumati, ma i profitti del capitale non sono mai sicuri e inattaccabili. Devono essere rinnovati e difesi ad ogni passo. Noi abbiamo il potere di contestare il profitto del capitale, e dovremmo farlo. Forse, lungo la strada i nostri telefoni ci potranno servire.


di Nicole M. Aschoff
Pubblicato sulla rivista Jacobin,

Fonte: http://www.sinistrainrete.info/societa/8107-nicole-m-aschoff-la-societa-dello-smartphone.html

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