“Chi possiede la vera fede, il cristiano, l’ebreo o il musulmano?”, chiede un bambino a Dio.

religioni

Trump ha vinto. Ma se ci chiediamo a quali schemi concettuali sia riconducibile la sua campagna elettorale, intessuta di violenti slogans xenofobi, razzisti e sessisti, mi pare evidente che appartengano al fondamentalismo politico-religioso tipico della Destra repubblicana americana. Presbiteriano è Trump, come l’altro Donald, Reagan. Il suo libro preferito è la Bibbia; «Nessuno può battere la Bibbia». Si può dire che per certi versi il suo trionfo è la rivincita del fondamentalismo religioso-razzista del WASP (= White Anglo-Saxon Protestant), sempre forte tra i Repubblicani. Non a caso il Ku Klux Klan ha cercato di appropriarsi della sua vittoria, così modificando anche il suo slogan più noto: «Make white America great again» (con l’aggiunta di white). Gli schemi concettuali trumpisti sono violentemente oppositivi: tra noi e loro, tra maschio e femmina, tra l’amico e il nemico, tra i birthers (per i quali i diritti civili e politici spettano solo a chi è nato in Usa) e gli immigrati di colore sans papiers (negros, latinos, islamici, cinesi, ecc.), tra americani e stranieri, tra America e resto del mondo («America first»).

Non c’è troppo da meravigliarsi. «Fondamentalismo», come noto, deriva da un termine coniato negli Stati Uniti nel 1919 dalla setta dei neoevangelici radicali della WCFA (= World’s Christian Fundamentals Association). In quest’ottica, i Fundamentals cristiani sono un sistema di dogmi teologico-religiosi ritenuti assolutamente certi e incontrovertibili, che farebbero del cristianesimo, e di quello protestante in primo luogo, la vera fides e la vera religio, a cominciare dall’interpretazione letteralistica della Bibbia e della sua infallibilità. Il che implica il rifiuto della scienza e del darwinismo, la divisione manichea tra Bene e Male e la credenza nell’imminenza dell’Apocalisse. Un modello archetipico dei fondamentalismi politico-religiosi fino ad oggi!

Ma stabilire quale sia la vera religione anche solo all’interno del cristianesimo, per tacere degli altri due monoteismi e delle numerose religioni non cristiane, vista la sua frammentazione in infinite sette, mi pare umanamente impossibile. Basta sfogliare un qualsiasi dizionario delle religioni per perdersi nell’inestricabile dedalo di correnti e sette spesso l’una contro l’altra armata. La vera religio? Una domanda senza risposta. Un enigma insolubile. Solo Dio, se ci fosse, potrebbe scioglierlo.

Ed ecco una deliziosa storiella ebraica. Un giovane, sedutosi per caso in un piccolo caffè accanto ad un anziano signore, e accortosi dopo un po’ che quel signore era Dio in persona, ne approfitta per fargli la domanda delle domande, ossia «chi possegga la vera fede», se il cristiano, l’ebreo o il musulmano. Ovvio: se non lo sa Lui, che sa tutto, chi altri può saperlo? Risposta: «A dirti la verità, figlio mio, non sono religioso, non lo sono mai stato, la religione non m’interessa». Questa storiella, narrata dallo scrittore israeliano Amos Oz nel suo aureo libretto Contro il fanatismo, può essere considerato il filo conduttore del recente libro di Marco Gallizioli, Abitare il nostro tempo complesso. Le scienze umane interrogano le culture e le religioni contemporanee (Cittadella, Assisi, 2016). Da aggiungere che tra «fanatismo» e «fondamentalismo» c’è prossimità, se non sinonimia. Fanatismo deriva infatti dal latino fanum = tempio, voce affine, sembra, a fas= ciò che è lecito, giusto, ammesso dalle leggi divine. Leggi che riguardano la vita pubblica e privata, gli individui e la società, l’etica e la politica.

L’intento di Gallizioli è duplice. 1) Definire il fondamentalismo nei suoi elementi costitutivi, tra cui: a) il dogmatismo dottrinale e la criminalizzazione del dubbio, del pensiero critico, della stessa libertà emozionale e sentimentale; b) la divisione manichea tra giusto e sbagliato, eletti e reprobi, chi sta dentro e chi sta fuori; c) il millenarismo o messianismo, ossia l’idea delirante che sia vicina la fine dei tempi, o il tempo della fine.

2) Rintracciarne le cause, riconducibili alla drammatica complessità del tempo presente (globalismo, crisi, velocità dei processi tecnologici e culturali, ingiustizie sociali, migrazioni, spaesamento, onde la sensazione di svuotamento e smarrimento dell’individuo); in una parola, mancanza di senso di un presente illimitato, inestricabile, caotico, senza passato e senza futuro, senza ricordo e senza speranza. Onde la via di fuga dal presente, in un mondo lontano, utopico, inesistente, spesso tradizionalistico e arcaico, semplificato, più facilmente interpretabile e controllabile. Un presente talvolta cambiato sì, come nel Califfato dell’Isis, ma stravolto in peggio!

Belle le pagine in cui l’autore, sulla scia della psicanalista francese Monique Selz, analizza la «perdita di pudore» dell’uomo d’oggi, intendendo per «pudore» lo spazio privato e interiore delle proprie e delle altrui scelte, opinioni, libertà, intimità e affettività, messo a serio rischio dai nuovi media, dai social-network, dai riti e dai dogmi della nuova religione pagana del Dio-Web. Se il confine, il limite tra il mio spazio interiore e il tuo scompare, scompare sia l’«io» sia il «tu». L’identità svuotata, rivoltata, spettrale, sopprime anche la diversità e l’alterità. Ognuno è massificato, serializzato. Né uomo né cittadino. Né persona. Ma maschera senza volto. Vuota esibizione di chi può assumere tutte le maschere. Uno, nessuno, centomila. Vedi il mazzo di fiori recapitato in classe all’innamorata, o il viaggiatore in treno che parla a voce alta al cellulare. Mi mostro, dunque sono? Ma che cosa sono? Niente: pura trasparenza e omologazione.

Non ci sono facili vie d’uscita. Gallizioli passa in rassegna alcuni «scorci e prospettive di pensiero» di autori contemporanei, tra cui la via del «compromesso» ragionevole di Amos Oz, la «lotta contro il pensiero ortodossista», teocon e antilaico di Martha Nussbaum, l’«imparare a guardare con gli occhi del nemico» di David Grossmann, l’esercitarsi a criticare i dogmi e a «pensare il non-pensato», per non trasformarlo in «impensabile» di Mohammed Arkoun, e, soprattutto, l’appello a «guardare la religione con gli occhi dei bambini». I quali, come nel libro omonimo del giornalista televisivo Gualtiero Peirce, alla richiesta di disegnare Dio in un foglio bianco, rispondono: «Il Signore è grande e non si può disegnare, perché nel foglio non ci sta».

Collimano con quest’idea le tesi più «scandalose» e paradossali del pensiero teologico classico. Il credente non fondamentalista infatti dice: «Adoro, quia ignoro, credo perché ignoro» (Niccolò Cusano). Oppure: «di Dio so quel che non so, perché Egli è l’ineffabile» (Plotino). Oppure ancora: «Se lo hai compreso, Dio non è così; se invece è così, non lo hai compreso. Perché dunque vuoi parlare di ciò che non hai potuto comprendere?» (Agostino).

La migliore risposta del credente è dunque il silenzio (anche se purtroppo questi autori sulla fede non hanno poi mai smesso di parlare e pontificare). E al silenzio affida il credente Gallizioli la sua esperienza di fede. Allo studioso invece l’attraversamento dei confini delle diverse scienze umane, l’interdisciplinarità e l’interculturalità, l’audacia trasgressiva e persino eretica del ricercatore, nel tentativo di dare risposte plausibili, aperte, seppur sempre relative, discutibili e rivedibili, alle grandi questioni del nostro tempo. Come è quella del fondamentalismo.

di Michele Martelli

Fonte: http://temi.repubblica.it/micromega-online/%E2%80%9Cdio-non-e-religioso%E2%80%9D-sul-fondamentalismo/

Foto RETE

 

Ti potrebbero interessare:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Close