DI EMIGRANTI, NOMADI, ESTRANEI Of Immigrants, Outsiders and Outcasts

saverio-1971

 

La Seconda Guerra Mondiale ha lasciato l’Europa distrutta, cinquanta milioni di morti, intere città rase al suolo, dappertutto povertà e disperazione. Si aprirono le porte verso le Americhe e così cominciò un altro esodo, la marcia di una nuova generazione di nomadi verso l’altra sponda dell’Atlantico. Erano viaggi incerti, colmi di paura e di speranza. Non posso non ammirare l’enorme coraggio della generazione di mio padre, di tutti coloro che si avviarono verso l’ignoto. Forse era il coraggio che solo una crisi devastante, fame e disperazione, possono dare alla luce.

La maggior parte erano uomini nel mezzo del cammin della propria vita, soli, avendo lasciato indietro la famiglia, provenienti dal Sud Italia, quasi analfabeti che parlavano poco o niente l’italiano, provenienti da zone rurali, piccoli paesi ancora nell’era pre-industriale con politica arcaica, feudale (io ricordo l’ultima generazione dei “Patruni”, baroni di potere politico ed economico basato sul possesso dei terreni, secondo il modello dei feudatari medievali). Gli emigranti si avviavano verso un mondo completamente diverso, dinanzi al quale erano completamente impreparati. Arrivavano nelle moderne città industriali senza nessuna accoglienza, soli, senza casa, senza soldi, senza lavoro, senza esperienza nei lavori offerti dalla società industrializzata. Erano come bambini che non sapevano neanche parlare.

Solitamente, dopo un po’ di anni, l’emigrante “chiamava” la famiglia. Così fece anche mio padre nei primi anni Cinquanta, quando ci “chiamò” e la nostra famiglia si trasferì da Malito, in provincia di Cosenza, a Windsor, nella regione dell’Ontario, in Canada. La cosa più importante per gli emigranti era comprare una casa. Ricordo ancora quella vecchia canzone “Casetta in Canadà… luogo di felicità”. La casa si cercava sempre vicino alla chiesa italiana e là intorno si formavano le comunità italo-canadesi, in cui il prete era il punto di riferimento più importante. La chiesa e la comunità davano a noi immigrati un senso di sicurezza che non avevamo nella società allargata. Durante la guerra l’Italia era stata nemica e, mentre lo stato canadese ufficialmente permetteva l’emigrazione, nel tutto non eravamo ben visti.

C’era molto più lavoro in Canada che in Italia, ma, naturalmente, erano lavori umili, mal pagati e, spesso, era lavoro saltuario. Fortunati coloro che lavoravano in fabbriche. Non conoscendo la lingua e non avendo esperienze lavorative non potevano fare altro in un mondo industrializzato. Io, per esempio, ho fatto quasi quaranta tipi di lavoro, cominciando a dodici anni come pinboy nei bowling, ho lavorato in campagna zappando, raccogliendo frutta, pomodori, tabacco e altre cose. Ho venduto una varietà di prodotti porta a porta, ho lavorato nelle viscere della terra in una miniera d’oro, ho lavorato in fabbriche, ho lavato automobili, lavato piatti e bagni in ristoranti, ho lavorato in mercati, ho fatto il muratore, ho lavorato nelle miniere di sale. Noi ragazzi lavoravamo di sera, di sabato e poi durante tutta l’estate per aiutare la famiglia e poter continuare a studiare.

Nella metà degli anni Sessanta, dopo la laurea, lasciai la cittadina di Windsor e mi spostai a Toronto per continuare i miei studi: il Master all’Università di Toronto, il Ph.D. in Filosofia all’Università di Waterloo e la Scuola di Psicoterapia. In quegli anni ero molto impegnato nella formazione: insegnavo all’Università di York e, da filosofo e psicoterapeuta, mi accingevo a ricondurre il mondo della psiche alla dimensione esistenziale, alla sua matrice originaria, la filosofia, nel contesto educativo e non più clinico, come proposto da Socrate e Platone nel loro approccio maieutico. Così nel 1971, presso l’Università di York a Toronto, iniziai a praticare la filosofia maieutica, oggi definita “consulenza filosofica” , che ebbe inizio in Europa nel 1981 con il filosofo Gerd Achenbach.

Per queste ragioni non mi interessai molto alla comunità italiana, ma le cose cambiarono drasticamente durante gli Settanta, quando, avendo preso coscienza delle gravi problematiche dei miei connazionali, decisi di riavvicinarmi.

Toronto, la città più grande del Canada, contava già in quei tempi circa mezzo milione di emigranti italiani. Era stata un’invasione più che un’emigrazione. La comunità era più popolata di molte città d’Italia, tanto da creare una nuova lingua: l’ “Italiese”. Sentivo una signora dire ai suoi bambini: “Guacciativi quannu crossati u strittu ca ve pigliano i carri(Guardatevi, fate attenzione, quando attraversate la strada – u strittu – perché vi investono le auto. Traduzione “italiese” di: Watch out when you cross the street that the cars will run you down). Le parole inglesi venivano italianizzate a secondo del dialetto d’origine.

Gli emigranti avevano lasciato la propria terra con una sola intenzione: migliorare la loro situazione economica e nient’altro. Era una questione di soldi e soltanto di soldi. Non potevano sapere che si trattava di una migrazione dal Medioevo al mondo Moderno, dall’Era Agraria all’Era Industriale, da un’etica e da una politica feudale ad una società aliena, tanto diversa da non poter essere compresa.

Paradossalmente le origini di questo strano mondo risalgono a Cosenza. Francis Bacon, uno dei padri fondatori del mondo moderno, dichiara Bernardino Telesio “il primo degli uomini moderni” o come preferisco tradurre “il primo della nuova stirpe di uomini”. L’Era Moderna, Industriale, ha una nuova concezione del mondo, una nuova concezione dell’Uomo e del suo posto nel cosmo. Dall’inizio, cinquecento anni fa, si vede un nuovo modo di affrontare i problemi della nostra esistenza, dai grandi interrogativi della vita alle cose di tutti i giorni. Telesio e Bacone avevano affermato che la funzione della scienza, che include la tecnologia, non è soltanto di conoscere il mondo ma di prenderne dominio. Per l’uomo medievale il mondo apparteneva a Dio non all’uomo: noi siamo di “passaggio” sulla terra. Mentre la nuova Era evolve, diventa sempre più chiaro che il nuovo Uomo prende possesso del mondo e ne conquista il centro, mentre Dio viene esiliato nelle periferie.

Col tempo, poi, arriva Nietzsche che annuncia: “Dio è morto”. La questione non è se Dio esiste oppure no, si riferisce piuttosto al fatto che Dio è sparito dal nostro mondo, dalla nostra vita. La Scienza è diventata la nuova fonte di Verità: non più la religione e la chiesa, non la fede e la preghiera, ma la nostra industria e la nostra tecnologia sono la fonte del nostro benessere. Una volta si lavorava per vivere, ora si vive per lavorare e, mentre il vecchio Dio si spegne, emerge un nuovo Dio: il Dio denaro. Quando l’Era Industriale raggiunge la sua perfezione, cioè è completa, finita, il lavoro viene svolto dalle macchine e l’Uomo, che con la sua industria ha preso possesso del mondo, subisce una nuova metamorfosi: emerge l’Uomo Consumatore (di nuovo appare la “lupa” di Dante).

Gli emigranti non erano coscienti di questo processo, ma la dolorosa, devastante, metamorfosi era avviata e penetrava tutti gli strati della vita, nonostante il notevole miglioramento della situazione economica. Gli italiani, infatti, erano grandi lavoratori, cosa riconosciuta da tutti. La prosperità era evidente e meritata ma erano lontani dal trovare quel senso di Casa. (Continua)

 

Saverio M. Pagliuso, Ph.D.

Filosofo Maieutico

Psicoterapeuta

Consulente Filosofico

 

www.saverius.org

[email protected]

 

 

Didascalia foto:

 

Toronto – Saverio M. Pagliuso e un suo compagno di lavoro costruiscono un muro ciclopico

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