“Rinvenimenti Mitraici ad Orsomarso”, di G. Russo

Scrive Giovanni:

Ti invio alcune mie considerazioni riguardo al rinvenimento della “fontana” di contrada Marina.

Con Pietro abbiamo svolto, come al  solito, un lavoro coordinato a distanza. Ho seguito in diretta (telefonica) le operazioni di scavo e ho avviato subito una ricerca personale i cui risultati sono contenuti nel file che ti allego, certo che ti farà piacere leggere!

Un abbraccio e… buona lettura

Dopo un primo intervento di pulitura del terreno, Domenica 12 febbraio 2017 è stato rinvenuto, in contrada Marina di Orsomarso (CS), un sito archeologico consistente in una costruzione muraria, emergente dal suolo di circa m. 1,50. Il manufatto presenta una pianta rettangolare con i lati lunghi di poco più grandi di quelli corti.

La facciata, ingentilita da un velo di intonaco, si divide in due aree separate tra loro da un cordolo in coccio. L’area superiore, comprende una sorta di tridente: tre blocchi di pietra e malta, disposti a mo’ di merli, alti circa cm. 45, di cui, quello centrale, arrotondato nella sua parte culminante, reca nell’intonaco una sorta di fregio rappresentato da due volute calanti verso il basso.

La copertura, degrada in altezza dal lato della facciata verso quello opposto, dove, la presenza di un arco a tutto sesto formato da piccoli laterizi, denota l’esistenza, al suo interno, di una volta a botte.

Tutto induce a pensare che si tratti di un deposito idrico, alimentato probabilmente da una sorgente rinchiusa all’interno della costruzione. Costruzioni simili, benché di dimensioni più grandi e con meno abbellimenti artistici, sono state osservate anche in Toscana. Queste ultime, infatti, impropriamente indicate con il nome di ghiacciaie, comprendono solitamente un vano con copertura voltata, all’interno del quale è situata una grande vasca rettangolare per la raccolta dell’acqua. Quella in esubero è espulsa dalla costruzione e va ad alimentare un ruscello o una seconda vasca più capiente.

Alla base della facciata si scorge la testa lapidea di un bovide sormontata da due serpi che la mordono all’altezza delle corna, sotto le quali pendono degli abbellimenti di tipo floreale.

Un breve scavo nel terreno che occulta il muso della figura zoomorfa, rivela la presenza di un rettangolo in pietra sormontato da un secondo più piccolo, al centro dei quali compare il foro, da cui un tempo fuoriusciva l’acqua, che doveva garantire l’approvvigionamento idrico dei locali.

Una volta all’esterno, il liquido veniva convogliato in un corto canale ed andava ad alimentare una vasca, che, di forma circolare, situata non davanti alla facciata, come ci aspetteremmo, bensì sulla sua destra, presenta un diametro di circa m. 5. La quantità di detriti che la ricoprono lasciano subito immaginare una sua considerevole profondità.

È importante segnalare che la figura del toro ha avuto da sempre una larga diffusione nel territorio.

Si pensi, ad esempio, alla grotta-riparo del Romito, in comune di Papasidero, dove fu scoperto nel 1961, un graffito risalente al paleolitico superiore, raffigurante un toro (Bos primigenius) o allo statere, la moneta coniata nella zecca della città greco-lucana di Laos, su cui era effigiato il toro androposopo[1].

Il toro era importante in tutte le antiche culture mediterranee e indoeuropee. Si consideri solo che nel 1851, uno scavo all’interno della piramide a gradoni di Saqqara (2750 a.C.), portò alla scoperta del cimitero sotterraneo dei tori Api.

Nell’antichità, infatti, il toro rappresentava la forza creatrice della natura, in particolare del Sole. Non a caso, anticamente, i tori erano spesso raffigurati con il disco solare tra le corna e il toro Api, è confuso con Osiride, il dio della resurrezione dell’anima. Anche a Cipro si venerava il toro, così come in diverse località della Grecia continentale e nell’altopiano anatolico, mentre nei paesi celtici il toro rappresentava uno dei simboli della regalità.

In ogni caso, abbiamo motivo di ritenere che il toro raffigurato nella costruzione muraria di Marina di Orsomarso abbia qualche attinenza con Mitra, antica divinità di origine persiana (1400 a. C. circa) ripresa nel mondo romano.

Rilievo mitraico, III sec. d.C., Roma, Museo Nazionale Romano

Il passaggio avvenne molto probabilmente a seguito della produzione a Pergamo nel II secolo a.C. di raffigurazioni a bassorilievo della Nike che sacrifica il toro (Nike Tauroctona) da parte di scultori greci. Nonostante il culto Mitraico fosse poco diffuso nel mondo greco e più frequentemente confuso con il culto di Apollo-Helios, attraverso queste raffigurazioni il Dio Mitra persiano approdò a Roma. Narra Plutarco che intorno al 67 a.C. i pirati della Cilicia, deportati da Pompeo in Grecia, praticavano riti mitraici[2].

Infatti, mentre per il grecista e filosofo di Rovereto Mario Untersteiner[3] questo schema altamente simbolico sarebbe stato sviluppato dalla scuola di scultori di Pergamo, adattando l’iconografia utilizzata per Alessandro Magno, per lo storico ed archeologo belga Franz Cumont, a cui si ispirano la maggior parte degli studi sul mitraismo del XX secolo, il sacrificio del toro prendeva origine direttamente dalla religione iranica[4].

In ogni caso, tramite le milizie romane il mito del Dio che uccise il toro passò in occidente e dilagò in tutti i territori soggetti al dominio romano. Gli imperatori romani incoraggiarono il Mitraismo, tanto che nel III secolo d.C. solo nell’urbe erano presenti più di 75 statue e 100 iscrizioni mitraiche. I culti di Helios e Mitra iniziarono a fondersi nel Sol Invictus, un appellativo nel quale confluivano diverse divinità del tardo impero romano, adorate durante le feste del solstizio d’inverno, quando il corso del sole comincia a rafforzarsi[5].

Oggi, infatti, si ritiene che la scena del Dio che uccide il Toro abbia un significato astrologico[6]. Secondo il prof. David Ulansey, ad esempio, la tauroctonia[7] rappresenta il controllo di Mitra sulla precessione degli equinozi[8], un fenomeno studiato in maniera scientifica dall’astronomo Ipparco di Nicea poco prima che nascesse il mitraismo e che, probabilmente, aveva incuriosito gli astrologi già da molti secoli, se non da millenni[9].

Secondo la tradizione Mitra sconfisse il Dio Sole, costringendolo a stringere con lui un patto di alleanza. Poi il Dio catturò il Toro e lo condusse in una caverna. Quando quest’ultimo fuggì, il Sole, memore del patto sottoscritto, mandò un corvo messaggero che gli consigliò di ucciderlo. Mitra piantò un coltello nel fianco del Toro. La sua uccisione avvenne affinché dallo spargimento del suo sangue nascesse l’ordine sociale e la sovranità dell’uomo sull’animale.

Dal corpo del Toro, infatti, nascono tutte le piante benefiche per l’uomo, dal midollo il grano, dal sangue la vite. Ma Ahriman, Dio del Male, per contrastare tutta questa elargizione di beni, manda uno scorpione e un serpente. Il primo cerca di ferire i testicoli del toro, il secondo ne beve il sangue. Il Toro, tuttavia, ascende alla Luna, dando origine a tutte le specie animali. La vittoria di Mitra e del Sole è suggellata con un pasto, che nel culto prenderà il nome di Agape (Amore profondo e disinteressato).

Per tornare al manufatto di Marina di Orsomarso, potrebbe sembrare strano che un animale come il toro, trait-d’union tra la natura umana e quella divina, così utile nella realtà quotidiana della civiltà agricola, sia qui effigiato solo con i segni della testa e delle corna anziché con l’intero corpo.

Il fatto è che la rappresentazione di una sola parte dell’animale corrisponde all’offerta di un’immagine simbolica che segue una specie di “norma di rappresentazione” basata su credenze, a noi ancora quasi interamente ignote, che agiscono come regola di elaborazione di un sistema artistico e religioso che fa sì che l’espressione animalesca si riduca a un mitogramma. L’animale, difatti, non è né figurato né simbolizzato, ma riprodotto nelle sue fattezze più celebrative. Esso rappresenta il “Signore degli animali” e, pertanto, assurge al ruolo di simbolo, ben considerando che attiene strettamente al mondo del sacro e persino del divino come dispensatore di vita e di benessere.

La testa lapidea del toro, che si fa ammirare per i suoi due enormi occhi a mandorla, è abbellita con due piccoli serti di fiori, una sorta di lacinie pendule[10], che scendono dalle corna, al di sopra delle quali due serpentelli addentano la testa taurina.

Considerando tutte le caratteristiche artistiche della testa del toro, che sembra essere collocata nella parte bassa della facciata perché possa meglio indicare la cannella dalla quale sgorga l’acqua, possiamo tentare di interpretare la simbologia che sta alla base della raffigurazione e così sintetizzare: dal toro sgorga acqua di vita, i serpenti bevono il suo sangue trasformandosi essi stessi in germogli e fiori.

Giovanni Russo

NOTE

[1] Così denominato, in quanto recante un volto di uomo. Tra le figure mitologiche più frequentemente rappresentate nell’antichità, essa è legata al mito di Acheloo, il dio dell’omonimo fiume greco, oggi chiamato Aspropotamo. Tra le antiche raffigurazioni, oltre al toro con volto umano, si trova anche una figura umana con testa taurina.

[2] «I pirati… in Olimpo compirono dei sacrifici estranei al rito e praticarono culti misterici, dei quali quello di Mitra, rivelato per la prima volta da loro, si è conservato fino ai nostri giorni». Plutarco, Vita di Pompeo, XXIV, 7, Classici Utet, vol. VII, Torino 1998, p. 601.

[3] Mario Untersteiner, La fisiologia del mito, Bocca, Milano 1946.

[4] Cfr. Franz Cumont, Textes et monuments figurés relatifs aux mystères de Mithra (1896-99).

[5] Un tempio, dedicato a queste divinità sorgeva a Roma sul luogo dove oggi si trova la Basilica di San Silvestro, al quale, difatti, la Chiesa assegna la festa liturgica dell’ultimo giorno dell’anno. Cfr. Franco Cardini, Il sole nella notte della storia, in Luoghi dell’Infinito, Mensile di itinerari, arte e cultura, anno XX, dicembre 2016, p. 38.

[6] La tradizionale interpretazione del mitraismo è stata rivista dopo un primo congresso sul mitraismo nel 1971 ad opera di diversi studiosi. Ad esempio: “…there has emerged a new consensus, that the tauroctony symbolizes Mithraic doctrine that is essentially astral,” scrive Alan C. Bowen, recensendo David Ulansey, The Origins of the Mithraic Mysteries: Cosmology and Salvation in the Ancient World in Isis 82.2 (June 1991), p. 359.

[7] Tauroctonia è definita l’uccisione rituale di un toro nella religione mitraica greco-romana. Il dio Mitra è definito, infatti, tauroctono, dal greco ταυροκτόνος, letteralmente uccisore del toro). Una sua rappresentazione, secondo un identico schema iconografico, era affrescata al centro di ogni Mitreo, il tempio dedicato a tale divinità. Taurobolio, invece, era definito il rito di sacrificare un toro nel quadro del culto della Grande Madre.

[8] La direzione terra-sole, durante l’anno solare, interseca la volta celeste in un punto diverso della fascia delle costellazioni dello zodiaco. Il punto di intersezione, corrispondente ad una determinata data (per esempio all’equinozio di primavera), varia leggermente di anno in anno e ciò si dice, appunto, precessione degli equinozi. All’incirca ogni duemila anni l’equinozio passa da una costellazione ad un’altra, che poi è quella che la precede nello zodiaco. Nell’antichità durante l’equinozio di primavera il sole si trovava nella costellazione del toro. Successivamente è passata a quella dell’Ariete e, all’epoca di Cristo, si trovava in quella dei Pesci. Oggi stiamo per entrare nell’era dell’Acquario.

[9] Cfr. David Ulansey, I Misteri di Mithra, ed. Mediterraneo, Roma, 2001 (traduzione del testo del 1991).

[10] Nel mondo classico, soprattutto in quello etrusco, si solevano abbellire i tori con nastri rossi e fiori di campo. Cfr. Gianfranco Bracci Marco e Parlanti, I segreti della via etrusca, Itaca, Castel Bolognese 2015, p. 9.

Bibliografia

  1. Stefano Arcella, I misteri del sole. Il culto di Mithra nell’Italia antica, Napoli 2002.
  2. Walter Burkert, Antichi culti misterici, Laterza, Roma-Bari, 1987; ristampa 1991.
  3. Franco Cardini, Il sole nella notte della storia, in Luoghi dell’Infinito, Mensile di itinerari, arte e cultura, anno XX, dicembre 2016.
  4. Franz Cumont, Le religioni orientali nel paganesimo romano, Laterza, Bari, 1913; riedizione 1967; nuova edizione Libreria romana (I libri del Graal), Roma, 1990.
  5. Franz Cumont, Textes et monuments figurés relatifs aux mystères de Mithra, Vol. I 1896, Vol. II 1899.
  6. Fritz Graf, I culti misterici in (a cura di) Salvatore Settis, I Greci: storia, cultura, arte, società, Einaudi, Torino, 1997.
  7. John Hinnels (a cura di), Mithraic Studies. Proceedings of the First International Congress of Mithraic Studies, Manchester University Press, Manchester 1975.
  8. Ruggero Iorio, Mitra. Il mito della forza invincibile, Marsilio, Venezia, 1998.
  9. Reinhold Merkelbach, Mitra, ECIG, Genova, 1988; II edizione, 1998.
  10. Ilaria Neri, Mithra petrogenito. Origine iconografica e aspetti cultuali della nascita dalla pietra, in Ostraka IX, 1, (2000).
  11. Carlo Pavia, Guida dei Mitrei di Roma Antica, Gangemi, Roma 1999.
  12. Plutarco, Vita di Pompeo, XXIV, 7, Classici UTET, vol. VII, Torino 1998.
  13. Alexander von Prónay, Mitra: un antico culto misterico tra religione e astrologia (1991).
  14. David Ulansey, I Misteri di Mithra, ed. Mediterraneo, Roma, 2001 (traduzione di un testo del 1991).
  15. Mario Untersteiner, La fisiologia del mito, Bocca, Milano 1946.

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One Reply to ““Rinvenimenti Mitraici ad Orsomarso”, di G. Russo”

  1. Francesco Limongi ha detto:

    Bello questo ritrovamento! Sicuramente da proteggere e preservare.
    Nonostante ciò alcune domande sembrano lecite:
    Il culto mitraico non lo si ritrova quasi più dopo il VI secolo d.c. … Significa che quella è una fontana premedievale? Se è così bisognerebbe avvertire subito la soprintensenza poiché archeologicamente sarebbe eccezionale.
    Ma questi decori si ritrovano in Italia anche dopo il XVI-XVIII secolo ispirandosi proprio al naturalismo ed al classicismo dell’impero romano.
    Ulteriori scavi sono quindi d’obbligo per un’identifacazione certa.

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