Sull’anima e il “ fare anima”

 

La nozione di anima ha avuto, nella cultura occidentale, soprattutto tre significati.

  1. Quello più tradizionale e più diffuso, filosofico e religioso insieme, come identità spirituale del soggetto, di ogni soggetto.
  2. Quello psicoanalitico di vissuto psichico nutrito di simboli e di miti, che costituisce la vita interiore e l’immaginario di ciascuno.
  3. Quello psico-esistenziale di coltivazione di sé per costruirsi come soggetto-persona con una propria vita interiore: vista come progetto di sé e propria gerarchia di valori.

La prima via è quella di Platone, poi del cristianesimo (e delle altre religioni monoteistiche, ma anche dell’induismo) e dello spiritualismo filosofico moderno (da Cartesio in poi). La seconda è quella psicoanalitica di Jung e dei suoi seguaci fino a Hillman. La terza è quella più pedagogica connessa alla cura-di-sé e alla ricerca di senso da dare alla propria esistenza personale, teorizzata a partire dai romantici e cresciuta nel Novecento (come hanno fatto Lukàcs o la Zambrano con le loro riflessioni).

Platone nel V secolo a.C. rese l’anima una sostanza, come spirito separato e opposto al corpo-materia. Così inaugurò una nuova concezione del soggetto e della sua vita interiore tesa tra istinti, passioni e ragione, ma in cui è la ragione il suo aspetto più proprio e più alto. Inoltre l’anima come spirito è immortale. E queste sue teorie sono esposte in due dialoghi assai celebri: il Fedro e il Fedone. Così la vera natura dell’uomo è spirituale e eterna. Il cristianesimo riprese questa concezione e la rese istituzionale nel suo Credo e nella sua riflessione antropologico-teologica facendola risalire all’atto della creazione al “soffio di Dio” sull’uomo-di-fango per dargli l’anima. Nel Seicento con lo spiritualismo di Cartesio tale opposizione tra corpo e anima fu rilanciata con la concezione delle due sostanze che costituiscono il reale: la res extensa (materia) e la res cogitans (lo spirito). L’uomo vive tra queste due realtà ma deve seguire la più nobile e la più sua (lo spirito visto come anima). E i vari spiritualismi fino a quelli di oggi hanno seguito questa concezione dualistica del reale, con posizioni anche più teologicamente più innovative.

Nel Novecento la nozione di anima è stata assunta anche dalla psicoanalisi, quella di Jung, seguace sì di Freud ma anche suo critico e elaboratore di un pensiero assai diverso da quello del maestro. L’anima qui è legata al vissuto psicologico dei soggetti. Non è sostanza ma forma della vita interiore tramata di esperienze ideali anche arcaiche ma che sviluppano la vita psichica, con simboli e miti i quali agiscono in noi per via inconscia e a livello collettivo, poiché sono presenti in tutti e che la cultura stessa ha coltivato (nelle fiabe: ad esempio), ma che agiscono anche nei nostri sogni. Con figure esemplari quali il Puer o il Senex o la Madre e il femminile etc.

Sempre nel Novecento c’è stato però anche un altro fronte di teorizzazione significativo della nozione di anima, più esistenziale e personale, legato alla formazione del soggetto che sviluppa nell’io un sé (ovvero un’identità personale di strutture psico vitali che determinano la personalità del soggetto stesso). Tale nozione è più strettamente pedagogica e fissa l’anima non come un dato (=costitutivo) bensì come un compito da tener vivo individualmente, attraverso la formazione di sé. L’anima è qui interiorità coltivata attraverso le forme della cultura di cui ogni io può e deve farsi sintesi attiva e per tutto il corso della vita. I due autori sopra citati (Lukàcs e Zambrano) la tematizzano in questo senso e ne sviluppano le potenzialità e le forme che può assumere, connesse a vari ideali di vita tra i quali scegliere il più proprio. Lukàcs in L’anima e le forme fissa l’anima come “fatto etico” proprio di ciascuno e a cui ciascuno deve dare-forma, in sé e per sé ora per via religiosa, ora per via artistica, ora per via politica etc.; vie che ordinano il nostro esistere e gli danno senso (come valore e come compito). La Zambrano invece fa dell’anima il legame tra ragione e vita che costruisce “sapere vissuto” e “vita interiore”, con un ruolo di “sfida” (ma è compito) e che proprio la poesia ci rappresenta in modo esemplare.

Nella riflessione che qui ci riguarda è il terzo significato dell’anima che bisogna tener fermo. Quell’anima che è la forma che diamo alla nostra coscienza e alla nostra soggettività, che elaboriamo tra cura-di-sé e “esercizi spirituali”, collegati alla cultura che deve nutrirci e dar vita alla nostra interiorità. Sempre. E che dobbiamo rendere sempre più alta e più fine. Così si realizza quel “fare anima” teorizzato soprattutto da Hillman. Principio che egli riprende da alcuni poeti romantici inglesi (Blake e Keats), ma che ci indica come la più propria realizzazione dell’umanità di ciascun uomo. Quindi, il suo compito essenziale in quanto persona, che si lega all’immaginario. Fa parlare a noi “cose, eventi, attimi”. Rilegge i sogni e le loro figure e gli “ordini nuovi” dati alla vita attraverso di essi. E dove ci parlano anche e proprio gli archetipi.

 

Franco Cambi

Foto RETE

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