VERBICARO – Spunti di storia (Seconda parte)

Chiesa di S. Maria ad Nives –

 

Nella platea citata, nel breve cenno sulle origini del paese, più semplicemente, ma con maggiore senso della realtà storica in rapporto alla sua configurazione topografica, si legge:

«Sulle prime Verbicaro fu castello; l’estensione sua principiava dal palazzo antico baronale verso il Piano e si estendeva sino; a Bonifanti ed era circondato tutto di grossi ed alti muri, in dove vi erano varie petriere e saettere con tre portoni di entrata, che si serravano la sera e si aveva come un castello ed a tal fine il palazzo antico Baronale conserva ancora il nome di Castello»

Nella parte sottana, continua l’autore della platea, verso la contrada tuttora denominata “Pampanara”, esisteva “una grossa pietra concavata, in cui per tradizione si dice che ivi si faceva la polvere”, ossia un grosso mortaio di pietra, che serviva per lavorare la polvere(5).

Quel grosso mortaio di pietra, certamente molto, posteriore rispetto alle origini del castello, venne distrutto verso la fine del 1800, per far luogo alla costruzione della chiesetta della Madonna del Carmine.

In effetti, la particolare configurazione topografica del vecchio borgo, arroccato a strapiombo su uno sperone roccioso, che si leva nel settore collinare preappenninico, fortificato da massicci muraglioni, dei quali resistono ancora delle tracce, con prospettiva verso ponente, lungo la valle, che porta dall’Abatemarco, naturale sentiero di accesso dal litorale tirrenico, nella regione dell’entroterra, rivela chiaramente la sua origine castrense.

L’origine di Verbicaro come “castello” potrebbe indirettamente essere suffragata dal “Bios” di S. Nilo, dal quale si apprende che la regione mercuriense in quell’epoca, nel X secolo, era costellata di castelli a difesa della zona dalle incursioni piratesche.

Bonifanti

La conformazione urbanistica del primo centro storico, caratterizzata da un agglomerato di modeste ed anguste casupole inespressive, costruite in parte a strapiombo sulla roccia, addossate l’una all’altra, salvo le necessarie intercapedini dei supporti e delle viuzze oscure, strette, tortuose, ripide o a gradinate, fa ritenere che il paese sia sorto, a ridosso del castrum, castello, in epoca medioevale barbarica, quando le ragioni sociali di una difesa collettiva da possibili aggressori, prevalevano sulle altre ragioni di comodo privato.

Anche il nome del paese è di origine incerta per le varianti etimologiche, da Vernicario, così denominato per la chiarezza dell’aria, “a vernante aere dictum”, come afferma il Battio e, con lui, il Fiore, a Bervicaro e Berbicaro, in dialetto Vrivicaru, che potrebbe significare etimologicamente luogo di pastori, dal latino “berbicarius”, pecoraio, secondo l’ipotesi recente del Rohlfs, o per la derivazione etimologica dal latino “vervex”, pecora, secondo il Pagano, il quale aggiunge: «né ciò può disconvenire al luogo, ove Verbicaro è fondato, perché è tra i monti» (6).

Ma già in documenti del 1600 compare l’attuale denominazione di Verbicaro, come nel protocollo del notaro Paterno del 1629 e, per citare un altro documento tra i più notevoli, nella bolla papale del 10 giugno 1623, “Ad perpetuarci memoriam”, con la quale il pontefice Urbano VIII proclamava altare privilegiato “in perpetuum” l’altare della chiesa parrocchiale di S. Maria del Piano.

Fontana vecchia

Pertanto, se non è possibile precisare la circostanza e la data di fondazione del paese, per la mancanza di fonti storiche, relative, si può ritenere con fondamento di accettabile probabilità che il primo nucleo abitato sia sorto in funzione difensiva, quando, in epoca medioevale, le popolazioni rivierasche, per scampare alla malaria ed alla violenza delle frequenti incursioni piratesche e dei Saraceni, che si susseguirono per lungo tempo durante il precario periodo bizantino, erano costrette a ritirarsi nel retroterra, in luoghi alti ed impervi, più sicuri e più adatti alla difesa, meno facilmente raggiungibili dalla parte del mare, e che successivamente, essendosi il borgo sviluppato ed allargato, abbia assunto la fisionomia del comune rurale. Prima o dopo la fondazione del “castello, con tutta probabilità, un gruppo di monaci basiliani s’insediarono alle pendici dello sperone e vi fondarono, il monastero “trium puerorum” dei tre fanciulli, dal quale derivò la dominazione della contrada “Bonifanti”. (Boni infantes)(8).

La denominazione di Verbicaro potrebbe, essere derivata, con fondatezza di ragione, secondo l’ipotesi etimologica del Rohlfs e del Pagano, dai luoghi, dove il borgo sorse, brulli, impervi e selvosi, abitati e frequentati da pastori.

I primi abitanti, perciò, dovettero essere i militi addetti alla difesa del castrum, i profughi delle contrade rivierasche e qualche famiglia di contadini e di pastori, che avevano interessi nelle vicinanze.

Santa Maria della neve

Sulla punta più alta dello sperone, a strapiombo della parete rocciosa rivolta a nord-ovest, in una posizione dominante, sulla sottostante contrada “Pampanara” e sulla vallata, che di lì sì dispiega e si dilunga in pendìo verso l’Abatemarco ed il mare, si erge ancora una chiesetta, architettonicamente semplice e modesta, ma, perciò, graziosa, dedicata a S. Maria ad Nives. Opera di maestranze locali, a pianta rettangolare e ad unica navata, non esprime alcuna particolarità stilistica, ma costituisce il più antico monumento storico del paese.

Dalla platea citata si rileva che “la cappella suddetta è la prima chiesa antica, che ab immemorabili, fu edificata in Verbicaro, della cui erezione non vi è memoria, In detta cappella non vi è altro se non anche della pittura e la seguente iscrizione: Hoc opus f.f. D. Domenico de Donato da Miljto 1400″.

La chiesetta, che, per la sua piccola ampiezza, doveva servire ad un nucleo di abitanti numericamente piuttosto ristretto, costruita in posizione preminente sulla cima del massiccio roccioso, quasi ad esprimere il sentimento di religiosa fiducia nell’alta protezione della Madonna, alla quale era stata dedicata.

Santa Maria della neve

Si deve ritenere che gli affreschi, dei quali fa cenno la platea, che risalgono al 1400, abbiano decorato la chiesetta parecchio tempo dopo l’epoca della sua costruzione, quando il paese aveva ormai raggiunto un certo sviluppo, ma prima che venisse costruita la chiesa parrocchiale con nuovi criteri di architettura e di ampiezza.

Gli affreschi, che dovevano certamente essere ancora visibili al tempo dell’autore della platea, sia pure deteriorati e deturpati, furono successivamente coperti da uno strato di calcina e sono riemersi soltanto di recente, in seguito ad alcuni occasionali lavori di ripulitura della chiesa. In pannelli rettangolari lungo le pareti laterali e su quella frontale, ai lati del piccolo altare, gli affreschi hanno riacquistato luce e freschezza di colori dopo un primo restauro effettuato ad opera della Sovrintendenza alle belle arti.

Bonifanti

Con l’occasione la Sovrintendenza, riconoscendo il valore storico ed artistico della chiesa, ha provveduto ad una sua sommaria sistemazione con il rifacimento del tetto, ma con la riserva di effettuare altri lavori di consolidamento, di risarcimento e di restauri, per il riassetto completo dell’edificio.

La chiesetta, che è il più antico monumento del paese, modesta nella sua sobrietà architettonica ad una navata, ma piacevole per la sua posizione alpestre, in cima alla roccia, da dove si domina l’ampio paesaggio vallivo tra Verbicaro e Grisolia, si raggiunge attraverso un dedalo di viuzze strette ed, infine, per un’angusta e breve gradinata, ricavata sul fianco della stessa roccia, dove il pendìo è meno ripido. La posizione dominante e l’asprezza del luogo le conferiscono le caratteristiche di un piccolo santuario mariano, dove la Madonna con il Bambino è rappresentata da una piccola statua lignea, di antica fattura artigianale

 

Fonte: Giovanni Cava, “Verbicaro”, Fasano Editore.

Foto RETE

 

 NOTE

1 G. Barrio – De antiquitate et situ Calabriae, Roma 1571; trad. it. Di E. A. Mancuso, Cosenza 1979; G. Marafioti – Croniche et antichità dì Calabria – A. Forni editore; G. Fiore – Della Calabria illustrata A. Forni editore.

2 Marafioti – op. cit.

3 G. Fiore – op. cit.

4 Plinio – Naturalis historia – ed. Aldina, 1535.

5 Platea della chiesa parrocchiale e cappelle filiali, cit. nell’introd.. Sulle porte di entrata ,il giorno dell’Ascensione, per vecchia consuetudine, un sacerdote apponeva solennemente una crocetta di cera.

Il mortaio per la lavorazione delle polveri si deve ritenere che sia stato ricavato quando entrarono in uso le armi da fuoco, cioè in epoca posteriore alla costruzione del “castello”, fornito di petriere e di saettiere, che erano i mezzi di difesa del periodo dell’alto medioevo.

Si ritiene che il paese sia sorto come borgo fortificato, come altri nello stesso periodo (v. a tal proposito: J. Plesner – Vita sociale del Castello, in A. Saitta – Antologia della critica storica, voi. I, Bari, 1957) Bios di S. Nilo.

6 G. Rohlfs – Dizionario onomastico e toponomastico della Calabria Longo editore, Ravenna; L. Pagano – manoscritto, cit. nell’intr.

7 Regesto vaticano per la Calabria, a cura di F. Russo, Voi. VI, Roma.

8 O. Campagna – La regione mercuriense nella storia delle comunità costiere da Bonifati a Palinuro – Cosenza, 1982 – (v. anche relativa bibl. D. Martire; La Calabria sacra e profana – 1878 – Cosenza).

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