Il colle di Palecastro di Tortora

Le tombe lucane (sale 3-4) che occupano tutto il IV secolo sono caratterizzate da una varietà di tipologie e di riti funerari

 

Il colle di Palecastro si erge alla confluenza del fiume Noce con la Fiumarella di Tortora. E’ caratterizzato da un pianoro sommitale pianeggiante e presenta pareti scoscese e ben difendibili. Fin dal XVI sec., la cinta muraria, che si svolge per 1 km circa, ha attirato l’attenzione degli studiosi locali. Lo stesso Barrio, nel De Antiquitate et situ Calabriae, del 1571, descrive le fortificazioni del Palecastro. Ma solo nel 1990 è iniziata l’esplorazione sistematica e scientifica dell’area, a cura della Soprintendenza per i Beni Archeologici. La zona racchiude in sé tutte le caratteristiche tipiche di un insediamento ben protetto e difendibile. Il colle, attraverso una stretta sella, è collegato ai terrazzi sabbiosi di Rosaneto e S.Brancato adagiati sulle ultime propaggini dell’Appennino calabro- lucano.

Le fasi di occupazione documentate sul pianoro sono essenzialmente tre: una frequentazione di epoca arcaica, un centro fortificato di tipo lucano ed infine la fase romana relativa alla città di Blanda Julia. Relativamente al primo periodo, gli scavi, condotti nel sito, hanno consentito di recuperare informazioni relative alla presenza di popolazioni enotrie a partire dal VI sec. a.C.; è ipotizzabile, pertanto, la presenza di un insediamento indigeno sul pianoro appunto in epoca arcaica. Sono stati infatti rinvenuti un orlo di coppa ionica B2, ceramica ad impasto, ceramiche a v.n., ceramica con decorazione geometrica di tipo enotrio, databili appunto, tra la fine del VI ed il V sec. a.C. Non trascurabile la presenza di una parte di mura in opera poligonale ubicata nel settore sud della città e nonostante non vi siano dati certi per una cronologia precisa, la muratura induce a pensar ad una collocazione cronologica tra il VI ed il V sec. a.C. Al centro fortificato lucano, infatti, sono riconducibili i resti di una cinta muraria difensiva da sempre a vista, che gli studiosi attribuiscono alla città lucana di Blanda, conquistata dai Romani nel 214 a.C., come ci riferisce lo storico Livio. La singolarità della cinta è determinata dal fatto che le mura assecondano il pendio e la conformazione naturale del terreno, anche in quei tratti in cui, per l’andamento, il terreno risulta comunque inaccessibile.

Tomba

La tecnica costruttiva principale delle mura è in blocchi rettangolari ben lavorati anche se gli archeologi hanno notato almeno tre tipi differenti di interventi. Interessante la presenza di sette torri di avvistamento, dalla pianta semicircolare, dislocate nei punti di sporgenza della roccia. Non sono stati individuati al momento gli accessi che, comunque, gli studiosi ipotizzano nel settore settentrionale, nella sella di collegamento con S.Brancato e l’entroterra. Relativamente all’insediamento lucano, è possibile precisare che gli scavi hanno parzialmente esplorato gli strati ellenistici per cui le informazioni a disposizione sono davvero esigue. In ogni caso la superficie compresa dalle mura, e che occupa quasi cinque ettari di terreno, mostra la presenza abbondante di frammenti ceramici ascrivibili al III-IV sec. a.C. quindi riconducibili all’oppidum lucano di Blanda. Ed è ancora all’abitato fortificato che sono riconducibili le sepolture la cui presenza è stata appurata nei pressi dei terrazzi circostanti. Testimonianze raccolte sul luogo, riferiscono che numerose sono le tombe andate distrutte nel corso di lavori edili ed agricoli di vario tipo ma che i resti sparsi sul terreno riconducono ad una cronologia compresa tra il IV ed il III sec. a.C. Relativamente alla Blanda Julia romana, le indagini recenti hanno portato alla luce un complesso monumentale della prima età imperiale. Gli archeologi hanno interpretato le strutture come il Foro ed il centro religioso della colonia di Blanda. Gli edifici individuati sono stati interpretati come tempietti su podio di tipo italico- romano, diffusi in Italia centrale ma non comuni in area magno-greca. Denominati A-B-C- presentano un’apertura ad est. I primi due presentano caratteristiche piuttosto simili; sul terzo, mal conservato e rimaneggiato, non è possibile, al momento, fornire molte informazioni. Le costruzioni presentano murature in opera cementizia e i muri esterni recano tracce di intonaco rosso. La datazione delle strutture potrebbe essere compresa tra la seconda metà del I sec. a.C. e la metà del II sec. d.C. L’edificio C, potrebbe inoltre essere in fase con il piccolo piazzale quadrato delimitato a nord da una fila di sette vani – forse tabernae – di forma quadrata, aperti sulla piazza mentre ad est, un’analoga fila di ambienti è però preceduta da porticato. Il lato meridionale presenta un porticato lungo e stretto che si affaccia anch’esso sul piazzale.

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Ed è proprio lungo questo braccio meridionale che, nel 1970, venne scoperta la base di statua con l’iscrizione onoraria del duoviro quinquennale M.Arrius Clymenus magistrato cittadino, benemerito per elargizioni concesse a varie categorie di cittadini, che avvalora la tesi dell’area pubblica di questo complesso monumentale; la base potrebbe essere datata alla metà del II sec. d.C. Molto interessante la presenza di una vasta domus individuata nel 1997 che presenta, però, un orientamento diverso rispetto alle strutture del Foro. Nella tarda antichità, dalla fine del IV sec. fino al 743 a.C., la città di Blanda fu sede vescovile- diocesi Blandana-, importante punto di riferimento lungo la litoranea del Tirreno, di cui però non disponiamo di molta documentazione.

 

Fonte: atlante.beniculturalicalabria.it

Foto RETE

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