IDY, L’UOMO DELLA PIOGGIA

 

 

“Mamma, perché hanno ucciso Idy?” domanda una  bimba a sua madre, mentre porta sul luogo dell’omicidio di Idy Diene, 54 anni, senegalese, una lampada da aggiungere ai tanti mazzi di fiori e cartelli attaccati sul ponte Amerigo Vespucci di Firenze dove ieri, poco prima di mezzogiorno, è stato ucciso con sei colpi di pistola da un italiano di 65 anni, Roberto Pirrone. La madre accarezza la figlia e le spiega che non esiste una risposta possibile a spiegare mai l’uccisione di una persona. Cala il silenzio, come un mantello di sconforto, sulla folla presente sul  posto. La bambina e la madre accendono la candela e la rimettono nella lampada e poi lei, la bimba, si inginocchia sul luogo dove ieri c’era il corpo di Idy, inerme, per terra.

Idy Diene viveva a Firenze da 10 anni ed era molto ben voluto da tutti. Vendeva gli ombrelli nei giorni di pioggia per mantenere la famiglia in Senegal. “Non aveva mai fatto del male a nessuno ed era gentile con tutti”, si legge in uno dei tanti cartelli appesi sul luogo dell’omicidio.  Era sempre sorridente, anche se la vita amara dei migranti e, ancor di più, degli africani presenti a Firenze, non è certo facile.
In quello stesso momento, a pochi metri dal luogo dell’omicidio, molte  persone manifestano la propria  disperazione, l’insicurezza di vivere in una città dove il giorno prima un uomo, armato di pistola, ha  deciso di uccidere un altro uomo, in pieno centro, sotto la luce del sole, come se niente fosse.

Conosco molti dei volti che erano presenti, a centinaia, in questo luogo tanto bello e che oggi appare particolarmente triste, sotto la luce soffusa del sole di fine inverno. Sono volti della città, gente che incontriamo la mattina davanti a un bar, a un negozio, con la sua bancarella di fortuna, ma anche tanti mediatori interculturali, ragazzi della scuola, volontari, operatori del sociale. Volti che poco si distinguono l’uno dall’altro perché l’espressione umana che prevale in ciascuno di essi è la tristezza, l’incredulità e la rabbia.

Perché Idy era come uno di noi, uno che ieri ha lasciato la propria casa per recarsi in un qualche altro luogo della città. Perché lui, come ciascuno di noi, ieri, su quel ponte, ha perso qualcosa di troppo prezioso. Quei colpi scaricati su di lui hanno colpito l’intera città. L’intera comunità di Firenze che ora sembra smarrita, disperata, indifesa. La comunità senegalese di Firenze è numerosa, ma anche molto silenziosa, pacifica, ma non oggi e grida ad alta voce che la politica dell’odio ha armato la mano che ha ucciso Idy ieri. La stessa rabbia già manifestata quando, poco dopo le ore 12:00 del 13 Dicembre del 2011, venivano uccisi in piazza Dalmazia, sempre a Firenze, altri due senegalesi, Samb Modou (cugino di Idy Diene) e Diop Mor, sotto i colpi di una Magnum 357 impugnata da un attivista di CasaPound, Gianluca Casseri, ferendo anche un terzo senegalese, Moustapha Dieng, che rimase gravemente ferito.

Ragazzi e ragazze del Senegal e di tanti altri Paesi africani hanno lanciato un grido di dolore e rabbia anche  per una condizione che loro definiscono come  “di soprusi e umiliazioni” sempre più crescenti in questi ultimi anni, a Firenze. Gridano di dolore e di rabbia perché Roberto Pirrone, l’omicida di Idy, nonotante gli inquirenti escludano il delitto a sfondo razziale, secondo molti, non ha sparato a caso, ma ha sparato ad un “nero” e solo perché “nero”. A niente è servito il tentativo del sindaco  di Firenze, Dario Nardella, di provare a  dialogare con la folla riunita sul ponte Vespucci e sparsa per il lungarno limitrofe. Il sindaco  ha dovuto andare via velocemente, sotto insulti e anche qualche sputo.  “E’ la seconda volta che sparano ai senegalesi a Firenze, che uccidono persone innocenti. Siamo stanchi di essere trattati da animali.”, dice Eduane, un giovane di Dakar.

A poca distanza dal luogo dell’omicidio si riuniscono alcuni ragazzi di CasaPound. La loro presenza rischia di innescare uno scontro pericoloso e la polizia, in assetto anti Somoza blocca la via che dal Ponte Vespucci porta direttamente al Ponte Vecchio, a pochi passi dal Palazzo Comunale.  I senegalesi più anziani e molti italiani presenti sul posto creano una sorta di barriera tra i giovani e la polizia e la situazione si calma soltanto con la presenza dell’Imam di Firenze,  Ezzeddine Elzir, che chiede a tutti i presenti di inginocchiarsi per terra, sulla strada mentre inizia una preghiera in arabo e italiano in suffraggio di Idy. Ezzeddine ricorda alla folla che in quel luogo un uomo è stato ucciso e chiede pace e rispetto: “In questo luogo possiamo soltanto piangere senza far rumore la morte assurda di Idy. In questo luogo dobbiamo rispettare la dignità di una persona che non aveva mai fatto del male a nessuno, che era ben voluto da tutti. Questo è un  luogo di preghiera e di dolore ma deve essere anche un luogo di pace.” Le persone pregano, ciascuno nella sua lingua, nella sua cultura religiosa e si placa la protesta.

Sul marciapiede  una bimba africana e l’altra italiana, tre anni circa ciascuna, si prendono per mano, ridono, giocano, sotto gli sguardi vigili delle loro madri, mentre il  sole tramonta sull’Arno.  E’ ora di pregare in silenzio, ciascuno nel suo credo, ciascuno con il suo proprio dolore, mentre suonano le campane della Basilica di San Frediano in castello, aldilà del Ponte Vespucci.

Katia Fitermann

Fonte: http://www.famigliacristiana.it/articolo/firenze-storia-di-idy-l-uomo-della-pioggia-ucciso-da-un-folle.aspx

Foto RETE

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