La Calabria, da un lato vive una realtà drammatica, dall’altro è dominata da silenzi interessati, da fastidiosi conformismi

 

Prendo dalla pagina Facebook del prof. Vito Teti queste riflessioni a commento di una  nota di Angelo Sposato, segretario regionale della CGIL della Calabria.

Possono offrire materia su cui ragionare  pensando al futuro della Calabria.

 

La Calabria, da un lato vive una realtà drammatica (spopolamento, abbandono delle aree interne e anche dei grossi centri urbani, onnipresenza della criminalità, disoccupazione altissima, fuga dei giovani, pessima qualità dei servizi e dell’assistenza sanitaria, ultimo posto per lettura, biblioteche ecc.); dall’altro è dominata da silenzi interessati, da fastidiosi conformismi, da proclami autoassolutori, da autoreferenzialità localistiche, da autocompiacimenti identitari retorici e da strapaesi. Gli ultimi, i giovani, le associazioni dal basso resistono in isolamento, ignorati e dimenticati. In questo contesto, che certo presenta anche positività (ci mancherebbe altro!), e che ha origini antiche e recenti, responsabilità nazionali e locali, il segnale che giunge dal mondo sindacale è una buona notizia: in controtendenza con un pensiero dominante e omologato, e ricorda che, come dice Saviano, oggi è fondamentale e doveroso dire da che parte si sta, con chi, per fare cosa, con quale etica e con riferimento a quale storia e a quali ceti sociali. Il tempo della “scelta” come all’epoca della Resistenza non finisce mai. La citazione che Angelo Sposato dedica ai miei lavori mi fa certo “piacere”, anche se penso che questo è il momento in cui bisogna abbandonare tentazioni narcisistiche e ogni vocazione all’isolamento. La Calabria ha bisogno di ascolto, di decostruire le immagini negative esterne e anche tanti pessimi autostereotipi, di affermare, con convinzione, con “persuasione” e non “rettorica”, le proprie positività e le sue mille bellezze e risorse, ma questo non può avvenire nascondendo sotto il tappeto le devastazioni compiute dai ceti dirigenti negli ultimi quarant’anni (almeno). Suona davvero strano – e l’ho detto lealmente e argomentando a chi, garbatamente, mi invitava ad Africo (luogo che amo e che frequento da decenni e su cui ho scritto) – a “convocare” e “promuovere” incontri, a dare e a ricevere patente di legittimità, possa essere un ceto dirigente politico (PD di “governo” soprattutto) che ha contribuito, non poco, alla rovina della Calabria e alla distruzione di una bellissima ed esaltante storia della sinistra calabrese (dalle occupazioni della terra al Sessantotto, dalle lotte bracciantili a quelle contro le mafie, dalla fatica contadina al sacrificio degli emigrati). Servono, certo, nuovi racconti – senza dimenticare le storie antiche e le memorie del passato e ricordando che le immagini negative sono spesso quelle che noi creiamo con le nostre azioni o con i nostri errori. La colpa non può essere data sempre agli altri e la realtà, a volte, è più cruda delle immagini. Servono, allora, buoni esempi, buone pratiche, una coerenza tra ciò che si dice e ciò che si fa. E serve – non me ne voglia nessuno anche perché non ho candidati da proporre e io non mi candido a nulla se non all’amore per questa terra “bella e amara”, tra “sottoterra” e “cielo” (come dice un grande padre Pino Stancari) – un nuovo (non amo il nuovismo, ma nemmeno credo all’eterna giovinezza) ceto dirigente, politico e intellettuale, un’apertura alla società, ai paesi, ai giovani, a quanti sono stati tenuti lontani (col ricatto, con le promesse, con la clientela) dalle scelte di chi ha soltanto gestito potere. Bisogna scegliere: l’intellettuale di qualsiasi tendenza sia (intellettuale termine “fluido”, non esistendo più né l’intellettuale organico né l’utile idiota) pur non rinunciando all’impegno sociale e civile, pur dovendo mantenere un rapporto critico e serrato con le istituzioni, il mondo politico, sindacale ecc. – non può farsi convocare dal Potere, di nessun colore, deve cercare e inventare spazi di dialogo e di progetto, fare analisi e avanzare proposte, essere in campo non tre giorni all’anno, ma l’intera vita, deve essere sempre corsaro, straniero in patria, all’opposizione, non deve fare parte del gregge e del branco, deve includere e non escludere, aggregare e non separare, creare comunità e non alimentare contrasti, distinguere e non confondere, fare seguire, eticamente, fatti coerenti alle tante parole, deve essere lucidamente critico e anche “solitario” e cercare i compagni di strada e di un nuovo cammino tra le persone che soffrono, gli ultimi, i derelitti, gli abbandonati, quelli che resistono. Si cambi, davvero, in maniera profonda, radicale, decisiva. Per queste ragioni, che rompe un desolante conformismo, per altre su cui non posso soffermarmi, sento di dire un grazie al segretario regionale della CGIL calabrese. Spero che questa mia “condivisione” non mi crei “nemici” (io comunque non ne ho) e mi risparmi da illazioni, pettegolezzi e chiacchiere (da cui mi terrò lontano). Buon lavoro alla CGIL e si faccia promotrice, con tutte le forze politiche, sociali, culturali, di un Grande Patto per il Lavoro, la Cultura, la Legalità, la Ricostruzione di una comunità normale, vivibile e abitabile. Anche il mondo sindacale (che negli ultimi tempi e non solo in Calabria ha dimenticato spesso di essere il punto di riferimento degli ultimi: giovani, disoccupati, pensionati, ceti poveri e precari) continui, assieme a tutti gli altri, in maniera inclusiva, anche con tante realizzabili piccole utopie quotidiane, a esigere una presenza costante là dove la gente soffre e attende risposte, nella direzione che sembra voler intraprendere.

Vito Teti

Fonte: dalla pagina fb dell’autore

Foto RETE

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