Rasputin, il monaco che aveva ammaliato la zarina Aleksandra Fëdorovna,

Grigorij Rasputin

 

A poco più di un secolo dalla sua morte – in un contesto sociale e politico che sembra invece lontano anni luce da quello attuale – la figura di Grigorij Rasputin (1869-1916) esercita grande fascino in tutti coloro che sono interessati alla storia della Russia zarista.La vita e la morte di questo monaco e mistico nato nell’aspra terra siberiana sono infatti strettamente collegate alla storia dei Romanov, la famiglia imperiale sterminata nel 1918 dopo la presa del potere dei bolscevichi.

Rasputin con la zarina, una governante, le figlie e il figlio

Rasputin riuscì a esercitare un’influenza così forte sullo Zar Nicola II, e soprattutto sulla Zarina Aleksandra Fëdorovna, da divenire totalmente inviso all’aristocrazia russa, e poi anche alle alte gerarchie ecclesiastiche e alla stampa.

Caricatura di Rasputin e della coppia imperiale

Certo, nonostante il misticismo professato, non era uno stinco di santo: probabilmente faceva parte della setta religiosa dei Chlysty, che terminavano i loro riti religiosi con un’orgia collettiva.

Rasputin accoglie nella sua casa di San Pietroburgo i suoi molti ammiratori

Ma come non è accertata la sua affiliazione alla setta, allo stesso modo la sua reputazione di personaggio dissoluto pare sia stata ampiamente esagerata dai suoi nemici. Probabilmente, più che per la sua passione per le giovani donne, i suoi detrattori lo odiavano per i suoi negativi giudizi su politici e aristocratici corrotti e infedeli. Giudizi tenuti in grande considerazione dalla zarina, che l’intera corte considerava plagiata dall’ormai potente monaco.

 

Lo zar, che in un primo tempo si fidava molto di Rasputin, non trovò in seguito il coraggio di liberarsi di lui, proprio per non contrariare la moglie. Aleksandra Fëdorovna, principessa di origini tedesche, pochissimo amata dal popolo e dalla corte russa (in particolare dopo lo scoppio della prima guerra mondiale) era una donna profondamente religiosa, che trovò un grande sostegno nel monaco siberiano. La famiglia di Nicola II, che l’aveva voluta sposare nonostante la contrarietà dei suoi genitori, le era ostile e sicuramente la incolpava di aver generato un unico maschio, arrivato dopo quattro figlie femmine, e per giunta malato.

Aleksej Nikolaevič

Lo zarevic Aleksej Nikolaevič soffriva di una malattia che all’epoca aveva un esito quasi sempre fatale, l’emofilia, trasmessagli peraltro proprio dalla madre. Ogni più leggera caduta, o un piccolo taglio potevano risultare fatali al giovane principe, l’unico erede al trono. Aleksandra viveva sempre come sul filo di un rasoio, finché non incontrò Rasputin, l’unico tra tanti medici, guaritori e spiritisti consultati, che pareva in grado di guarire Aleksej anche quando le sue condizioni sembravano disperate, grazie alla forza delle sue preghiere.

Non esiste una spiegazione certa per i risultati ottenuti dal monaco con lo zarevic: quasi tutti lo ritenevano un ciarlatano che usava l’ipnosi, oppure segrete erbe tibetane, o forse il “magnetismo” teorizzato da Anton Mesmer, ma forse gli bastò semplicemente sospendere l’assunzione di aspirina (fluidificante del sangue). Come fece però a guarire il bambino a distanza, nel 1912, quando lui era stato convinto dal primo ministro a tornarsene in Siberia con un congruo risarcimento (pari a oltre due milioni di euro attuali), e la famiglia imperiale si trovava isolata in una tenuta di caccia, rimane un assoluto mistero.

Nicola II con il figlio Aleksej

 

Rasputin quindi, in seguito a questa guarigione a distanza quasi “miracolosa”, accrebbe il suo ascendente sui reali russi, inimicandosi ancor di più gli aristocratici e l’opinione pubblica, che tra l’altro lo accusavano di essere in combutta con i tedeschi, dopo che il monaco si era opposto in tutti i modi all’ingresso della Russia nella prima guerra mondiale.

Rasputin con la moglie e una delle figlie

 

Dopo due tentativi di assassinio non riusciti, Rasputin acquisì fama di immortale, e le circostanze che portarono alla sua morte dimostrano che avesse veramente una tempra dura…

Feliks Jusupov

Tra i tanti nemici di Rasputin c’era il principe Feliks Jusupov, che era sposato con una nipote di Nicola II, la principessa Irina. Jusupuv organizzò una congiura ai danni del monaco, insieme al Granduca Dmitrij Pavlovič, al deputato Vladimir Puriškevič e a qualche altro personaggio di più scarso rilievo.

Vladimir Puriškevič

 

Il piano consisteva nell’attirare Rasputin nel palazzo di Jusupov, con la scusa di presentarlo alla principessa Irina (che invece si trovava in Crimea). Il 29 dicembre del 1916, ormai a tarda notte, Feliks portò il monaco nel suo palazzo e lo fece accomodare in un locale seminterrato, dove gli offrì tè e pasticcini farciti al cianuro. Rasputin poi chiese del vino dolce, anche quello già preparato con il cianuro, ma ancora alla 2.30 non sembrava soffrire di nessun sintomo di avvelenamento, anzi chiedeva al principe di suonare e cantare per lui.

Il seminterrato dove fu ucciso Rasputin

 

Jusupov allora decise di consultarsi con gli altri cospiratori, che aspettavano al piano di sopra. Pavlovič gli diede la sua rivoltella, che il principe usò per sparare un colpo in pieno petto a Rasputin: il monaco cadde a terra, con grande sollievo di Jusupov.

Dopo che tutti i congiurati ebbero constatato la morte di Rasputin, salirono al piano di sopra per festeggiare. Poi, dopo aver inscenato un ritorno del monaco a casa, con qualcuno che indossava il suo cappello e cappotto, Jusopov tornò a controllare il cadavere. Se il principe avesse sofferto di cuore sarebbe morto all’istante: Rasputin improvvisamente aprì gli occhi, tentò di assalire Jusupov, ma poi preferì lanciarsi verso le scale per fuggire via da quel palazzo. Allertato da quel trambusto, Puriškevič scese e sparò diversi colpi al monaco, che si accasciò sulla neve (ma morì solo una ventina di minuti dopo).

Dmitrij Pavlovič

Secondo le memorie di Jusupov, Puriškevič sparò quattro colpi, due dei quali andarono a segno, uno ai reni e uno in testa. Secondo alcune teorie però fu il Granduca Dmitrij Pavlovič a sparare i colpi mortali a Rasputin, perché lui più di ogni altro aveva dei buoni motivi per odiarlo: aveva mandato all’aria il suo matrimonio con la granduchessa Olga, divulgando le voci sulla sua relazione omosessuale con il principe Jusupov

Comunque siano andate veramente le cose, e quasi certamente non lo sapremo mai, i congiurati poi avvolsero il corpo di Rasputin nella sua pelliccia e lo gettarono nel fiume Malaya Nevka. Era l’alba del 30 dicembre 1916.

Il corpo di Rasputin, recuperato dal fiume ghiacciato

Intanto, due poliziotti che avevano udito gli spari si erano avvicinati al palazzo di Jusupov, e Puriškevič raccontò quanto successo, raccomandandosi di non rivelare nulla. Uno dei due invece fece il suo rapporto, e l’indomani mattina iniziarono le indagini. Jusupov scrisse una lettera alla zarina, protestando la sua innocenza; Puriškevič lasciò la città quella sera stessa, e fece bene, perché il principe e il granduca furono messi agli arresti domiciliari. Il corpo di Rasputin fu ritrovato il 1° gennaio, sotto il ghiaccio che ricopriva il fiume. L’autopsia stabilì che il monaco era morto per il colpo ricevuto in fronte, e sparato da una distanza ravvicinata; non c’erano tracce di cianuro nello stomaco, né di acqua nei polmoni, segno evidente che Rasputin era già morto quando fu gettato nel fiume

 

I due principali congiurati non furono processati, e se la cavarono abbastanza bene: finirono in esilio e così si salvarono la vita, che avrebbero sicuramente perso se fossero rimasti in Russia dopo la Rivoluzione d’Ottobre.

Ancora oggi permangono dubbi sul reale svolgimento degli eventi in quella gelida notte di fine 1916: le indagini furono svolte in modo frettoloso e nessuno si prese la briga di misurare il calibro dei proiettili, né di andare a fondo sulle vere motivazioni dei congiurati:

Patriottismo, gelosie, altezzoso disprezzo? O c’era dell’altro?

Qualcuno ha ipotizzato che dietro alla congiura ci fosse la mano dei servizi segreti britannici, che volevano scongiurare la possibilità di una pace separata tra Russia e Germania, auspicata da Rasputin, così ascoltato dalla zarina e quindi anche da Nicola II. Gli storici però sono piuttosto scettici, perché non esiste alcun riscontro verificabile.

Alla fine quindi, le numerose contraddizioni dei congiurati, la sparizione di molti documenti, le indagini incomplete hanno contribuito a trasformare la violenta morte di Rasputin in un episodio diviso tra storia e leggenda. Così come lo è tutta la sua vita: un racconto che si basa molto spesso su dicerie, malignità e pochi fatti documentati.

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