Del “Padre nostro” corretto, del problema del male e del libero arbitrio



Occorrevano 16 anni di lavoro (dal 2002) dell’apposita commissione di vescovi ed esperti perché la Cei, in seduta plenaria, approvasse la nuova versione italiana dell’originale greco (tradotto poi in latino nella Vulgata) del Padre nostro, dato che la modifica ha riguardato solo 4 parole, «non indurci in tentazione – ne nos inducas in temptationem», sostituite da altre 4 parole, «non abbandonarci alla tentazione» (anzi, per esattezza filologica, le parole sostituite sono solamente due), modifica peraltro già introdotta dalla Cei nella Bibbia del 2008, negli anni del papa teologo Joseph Ratzinger? La questione ricorda, in miniatura, il celebre «Filioque» a suo tempo aggiunto al Simbolo niceno-costantinopolitano (se lo Spirito Santo proceda solo dal Padre, o «anche dal Figlio»), secolare disputa teologica che determinò, come noto, nel 1054, lo Scisma d’Oriente, come lo definirono i papisti, o, al contrario, lo Scisma d’Occidente, come dissero i bizantini contrari al «Filioque». La scomunica degli uni, infatti, cadde sulla testa degli altri, e viceversa. Scisma che a tutt’oggi, dopo circa mille anni, non si è ancora del tutto ricomposto. Per due paroline, fuse in una! (Anche se quelle due paroline mascheravano la lotta tra la Roma dei papi e la nuova Bisanzio dei patriarchi, iniziata sin dal IV sec. d.C., per l’egemonia sull’intera cristianità).

Anche adesso, nel loro piccolo, i gruppi conservatori dentro la Chiesa cattolica non nascondono la loro rabbiosa contrarietà al nuovo Credo. E a papa Francesco (qualche integralista impenitente lo definisce persino l’Anti-Cristo), che già l’anno scorso aveva osservato: «Non è una buona traduzione quella che parla di un Dio che induce in tentazione. Quello che ti induce in tentazione è Satana». Ma allora perché la gerarchia, con la sua schiera di teologi patentati, ha imposto col vecchio Messale romano, non per 16, ma per quasi due mila anni che i fedeli nelle chiese e in privato pregassero un Tentatore più simile a Satana che a Dio, rischiando di confondere Dio con Satana?

Anzi, direi di più: perché Dio stesso ha permesso, a suo danno, tale qui pro quo?

Qui sta il problema, angoscioso per il credente che voglia recitare il Padre nostro senza rinunciare a pensare, nel vano tentativo di conciliare fede e ragione. La nuova versione vuole ovviamente suggerire l’immagine di un Dio non tentatore, cattivo, ma misericordioso, buono. Ma se così fosse, perché Dio dovrebbe abbandonarci alla tentazione, al peccato e al male? Se lo facesse, non sarebbe misericordioso. Perché allora pregare Dio di non farlo? Anche la nuova formula ci insinua purtroppo un dubbio teologico tremendo. Quello stesso dubbio che è insito nelle tormentose domande della teodicea, del rapporto tra Dio e il male: perché il male, che cos’è, donde deriva?

Non da Dio, perché, si dice, Dio è il Sommo Bene, estraneo al Male. Ma allora da chi e da dove? O dall’uomo, che però è creatura di Dio, o da Satana, anch’egli creato da Dio. Ma non dall’uomo, fatto a immagine e somiglianza di Dio, altrimenti anche il male commesso dall’uomo deriverebbe in ultima istanza da Dio; il che contraddice la nozione di Dio Sommo Bene. E non da Satana, «il Principe di questo mondo», il potente Maligno la cui supposta entità e potenza deriva a ch’essa da Dio stesso, che per definizione è origine, Creatore di ogni cosa; a meno che non si voglia fare di Satana un Anti-Dio ab origine, in un dualismo teologico tra il Dio del Bene e il Dio del Male in perenne lotta (ma si cadrebbe nell’«eresia gnostico-manichea»).

Problema gigantesco, insolubile, già presente nei Vangeli, e nella preghiera del Padre nostro che Gesù insegna ai suoi discepoli (Mt 6, 9-13), la prima e forse più importante preghiera dei cristiani di ogni setta e di ogni latitudine. A nulla vale, a me pare, cambiare la traduzione italiana di un versetto. «È Satana, non Dio, che ti induce in tentazione», dice papa Francesco: ma Satana non è forse creatura di Dio? Dunque Satana, cioè il Male, non era già ab aeterno in Dio stesso, il suo «lato oscuro, sinistro», o sua «possibilità» ontologica, come qualcuno ha ipotizzato? «Non abbandonarci alla tentazione» (nuovo testo della Cei); «Non lasciarci cadere in tentazione» (nuovo testo dell’episcopato francese); «Non esporci alla tentazione» (versione liturgica usuale della Chiesa valdese): in ogni caso non è sempre Dio il Soggetto (ir)responsabile che ci abbandona, ci lascia cadere o ci espone alla tentazione? Se Dio ci proteggesse, non vi cadremmo. Ma allora perché non ci protegge? Ma se lo fa, dove finisce il libero arbitrio, la nostra libera decisione per il bene o per il male, la nostra autonomia etica, la colpa o innocenza, il merito o il demerito per le nostre scelte e azioni?

La seconda parte, immutata, del versetto in questione è: «ma liberaci dal male – sed libera nos a malo», «dal Male», «dal Maligno» (da malum = male, Male, o malus = Maligno), che ripropone in altra forma la stessa questione. Il male rimane pervicacemente radicato nel mondo e nell’uomo: se Dio vuole e può, perché non ce ne libera (Epicuro docet)? Ma se ce ne libera, ci priva della nostra autonomia, ci riduce a ebeti santini, strumentali robot del bene. Diversamente, in modo diretto o indiretto, anche Dio è co-implicato nel male, non ne esce facilmente innocente. Lo scrittore ebreo Elie Wiesel, nel suo dramma Il processo di Shamgorod, ambientato nella Polonia del Seicento, ma col pensiero dell’autore simbolicamente rivolto ai lager nazisti, inscena un processo-farsa contro Dio, imputato per i feroci pogrom antisemiti allora in atto in quel paese: a giustificare Dio interviene Satana in persona travestito da avvocato difensore. Gesù stesso sulla croce grida disperato a gran voce, ma senza risposta: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mt 27, 46).

Il tutto mi sembra sintetizzato nel precedente versetto del Padre nostro: «Sia fatta la tua volontà (Fiat voluntas tua), come in cielo così in terra». Dunque nell’aldilà e nell’al di qua, sempre e ovunque, nel mondo reale e nell’immaginario sovra-mondo (quindi anche la mitica ribellione di Satana a Dio), tutto ciò che accade, nel bene e nel male, accade (deve accadere, non può non accadere) perché Dio lo vuole: questa è la preghiera del devoto. Dunque l’autonoma volontà etica dell’uomo scompare, schiacciata da quella onnipotente di Dio, causa prima di ogni cosa, buona o cattiva che sia o che tale a noi sembri: «tutto è scritto lassù, nel Cielo», è il ritornello di Jacques il fatalista di Diderot, ma è anche un versetto della Bibbia (1Mac 3, 60).

Ma scritto dove, e che cosa? Il Cielo non esiste (l’astronomia lo ha abolito), e i Testi sacri sono stati storicamente scritti, riscritti, letti e interpretati da uomini (profeti, sacerdoti, papi, imam, califfi, teocrati e teologi), in modi contraddittori e quasi sempre a fini di potere. Non sappiamo se Dio esiste o non esiste, nessuno può stabilirlo, ma se esiste è inconoscibile, così come la sua volontà. Un «mistero» inestricabile, ineffabile, anche per il credente. Superfluo ricordare quante e quali atrocità siano state perpetrate nella storia (assassinii, stragi, crociate, Inquisizione, guerre giuste … fino ad Auschwitz e al Novecento, ai due Bush e allo jihadismo) nel nome di Dio. Con l’ipocrita ignobile pretesto che Deus vultGott mit unsGod bless AmericaAllah akbar.

Non posso che concludere con le accorate parole di Lucrezio: «Tantum religio potuit suadere malorum – A tanti misfatti poté indurre la religione» (De rerum natura, libro I, v. 101). La religione, si intende, come instrumentum regni, non come legittima scelta soggettiva di chi ha fede, il quale niente vuole imporre, a nessuno vuole imporsi.

Di Michele Martelli 

Fonte: http://temi.repubblica.it/micromega-online/il-nuovo-padre-nostro-e-il-problema-del-male/

Foto RETE

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