Torna alla luce evangelario greco-bizantino dell’XI secolo realizzato in Calabria

Un prezioso evangelario greco-bizantino dell’XI secolo, realizzato in Calabria, di cui si erano perse le tracce, è rispuntato di recente dagli scaffali della Biblioteca Apostolica Vaticana. Il ritrovamento si deve a Domenico Condito, laureando in medicina e studioso di storia per passione, originario di Stalettì (Catanzaro), località poco distante da Scolacium, oggi sito archeologico dell’antico centro costiero che dette i natali al politico, letterato e storico calabrese Cassiodoro. Quest’ultimo fu un funzionario di primo piano del governo del re ostrogoto Teodorico il Grande (493-526) e fondatore, nei pressi della sua città, del Monasterium Vivariense, convento che includeva un centro di studi sulla Bibbia e una biblioteca preposta alla conservazione della letteratura classica greca e latina; un polo culturale che contribuì a gettare ponti fra romani e goti, fra cultura greca e cultura latina, cultura classico-pagana e cultura cristiana. Secondo la ricostruzione proposta da Condito, che di Stalettì è stato anche Assessore alla Cultura, il manoscritto ritrovato a Roma sarebbe stato realizzato da monaci italo-greci proprio presso il monastero di Cassiodoro, che essi fecero rifiorire dopo la fase di declino e abbandono che seguì alla morte del fondatore. Gli esiti della ricerca di Condito sono stati esposti nel suo lungo articolo “L’Evangelario della Conciliazione: ritrovamento e vicende postunitarie del codice greco-bizantino donato da Achille Fazzari a Pio X” pubblicato nel 2017 su Vivarium Scyllacense, rivista dell’Istituto di Studi su Cassiodoro e il Medioevo in Calabria con sede a Squillace. Lo studio è stato presentato anche nel corso del convegno scientifico su “Cassiodoro: tra il periodo tardo-antico e il medioevo”, organizzato a Catanzaro nel marzo 2017 dall’Istituto Teologico Calabro, e al XXXI Salone Internazionale del Libro di Torino nello stand istituzionale della Regione Calabria.

Dallo scritto di Condito, che fornisce la prima descrizione assoluta del codice, con immagini inedite, riemerge anche una pagina dimenticata della storia d’Italia, riferibile a un momento del periodo postunitario in cui la “conciliazione” fra lo Stato e la Chiesa era ancora un problema irrisolto. Lo scopritore dell’Evangelario ha voluto infatti definire il manoscritto col nome evocativo di Evangelario della Conciliazione, per il ruolo “pacificatore” da esso svolto, avendo favorito l’incontro fra l’ex combattente garibaldino calabrese Achille Fazzari e Papa Pio X.


San Luca seduto allo scriptorium © Biblioteca Apostolica Vaticana

Il manoscritto riemerse dall’oblio della storia la prima volta nel 1908, in un’Italia postunitaria ancora divisa dalla questione romana. A ritrovarlo in Calabria, in circostanze ancora ignote, era stato l’ex garibaldino Achille Fazzari, intimo amico e consigliere dell’Eroe dei due Mondi, nonché noto per le imprese patriottiche e l’impegno politico che nel 1875 lo vide diventare membro della Camera dei Deputati nella XVI Legislatura del Regno d’Italia. Una figura dal carattere vulcanico che si cimentò con successo anche nel campo imprenditoriale, mentre in quello culturale, nonostante fosse privo di una istruzione superiore, fu un appassionato collezionista di libri e oggetti d’arte. A lungo protagonista del dibattito politico, fu un vivace sostenitore della conciliazione fra le due sponde del Tevere. Grande proprietario terriero, a Fazzari appartenne anche l’area ubicata a Copanello di Stalettì dove persistono ancora i resti della Chiesa di San Martino da taluni considerata il cuore del Monasterium Vivariense fondato da Cassiodoro insieme all’eremo noto come Monasterium Castellense.

Il manoscritto, proveniente dunque dal comprensorio cassiodoreo detto Scyllacense (dal nome della città greco-romana di  Skylletion/Scolacium) e oggi ripartito fra i Comuni di Stalettì, Borgia e Squillace, era erroneamente conosciuto come “l’evangelario da Achille Fazzari regalato al Monastero di Monte Cassino”, mentre in realtà a Monte Cassino fu solo di passaggio essendo destinato a Papa Pio X. Contenente un tetraevangelo, si presenta ornato con fregi e figure, fra cui particolarmente pregevoli sono le raffigurazioni a pagina intera degli evangelisti Marco e Luca con i rispettivi simboli, il leone e il toro. Ogni evangelista vi compare seduto nello scriptorium, davanti a un leggio, con accanto gli strumenti di lavoro del miniaturista.

Vangelo di Luca, fregio dell‘incipit © Biblioteca Apostolica Vaticana

Rimasto per un breve periodo a Monte Cassino, dove fu oggetto di studio da parte dell’abate Ambrogio Maria Amelli che la prima volta ebbe modo di vederlo in Calabria e lo definì “cimelio bizantino cassiodoriano”, il manoscritto avrebbe presto visto intrecciare il proprio destino col dibattito intorno alla riconciliazione fra il Re e il Papa, tema caro sia a Fazzari sia ad Amelli che del pontefice era amico personale e collaboratore. Certo è che Papa Pio X manifestò grande interesse per l’Evangelario, il che suggerì ai due di chiedergli un’udienza privata. L’incontro ebbe luogo il 7 luglio 1908, quando Achille Fazzari, accompagnato da Amelli e dal figlio Spartaco, entrò nei Palazzi Apostolici e incontrò Pio X, recandogli in dono l’Evangelario e cogliendo anche l’occasione per trattare col Pontefice la questione della Conciliazione. Era questo un tema al quale Fazzari teneva molto sebbene in precedenza si fosse strenuamente battuto contro il potere temporale dei papi: la nuova presa di posizione fu dettata, come egli stesso scrisse a mons. Bernardo De Riso, Arcivescovo di Catanzaro, “nell’interesse supremo dell’Italia e pel consolidamento stabile della sua unità”.


S. Marco in una delle miniature dell’Evangelario calabrese, XI sec. © Biblioteca Apostolica Vaticana

Negli anni ’70 del ‘900 risulta che il manoscritto sia stato ispezionato da mons. Paul Canart, celebre bizantinista e massimo conoscitore dei manoscritti greci della Vaticana. Esaminandone la scrittura, lo studioso concluse che l’Evangelario è scritto in uno stile affine a quello di Reggio, intendendosi per tale una scrittura la cui storia è interamente legata alla grecità calabra, anche nelle sue diramazioni sicule. Usata in ambito monastico per la composizione di testi liturgici e a soggetto sacro, questa scrittura è una evoluzione della minuscola rossanese, con una grafia a contrasto modulare tra lettere larghe e lettere strette. L’Evangelario presenta tuttavia una caratteristica abbastanza rara per i manoscritti realizzati in questo stile, ossia l’impiego del rosso “vermiglio” invece del rosso “carminio” nella colorazione di fregi e ornamenti, mentre per il testo è stata utilizzata la mina scura tipica dello stile di Reggio. Elemento che, secondo Condito, potrebbe farne ipotizzare la composizione in un centro di produzione decentrato rispetto alla zona tradizionale dello “stile di Reggio”, ossia l’estremità meridionale della Calabria e il nord della Sicilia.

Considerato irreperibile, il codice è stato a lungo cercato presso la biblioteca di Monte Cassino e anche in Francia, alla Bibliothèque Nationale di Parigi, mentre invece si trovava alla Apostolica Vaticana catalogato come Codice Vat. gr. 2330. Riemerso grazie a Condito, è oggi in attesa di studi specifici da parte di storici e filologi. Intanto la scoperta ha permesso alla Calabria di riappropriarsi di un pezzo della propria memoria storica e culturale.

Di Alessandro Novoli

Fonte: http://www.famedisud.it/riscoperta-di-un-evangelario-greco-bizantino-dellxi-secolo-realizzato-in-calabria/

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