La passione di Cristo e le sofferenze individuali

Vattienti di Nocera Terinese

 

Nella fenomenologia religiosa folklorica, il momento centrale è costituito dalla Settimana Santa, nella quale la passione e la morte di Cristo vengono rivissute anche attraverso modalità culturali specifiche; nei riti religiosi popolari la sofferenza di Cristo viene assunta come paradigma capace di conferire significato e riscatto alle sofferenze individuali. Si attua un processo di identificazione tra i singoli sofferenti e la figura del sofferente, tra i perseguitati e gli oppressi e il Perseguitato e l’Oppresso.

Questa identificazione viene attuata in una precisa dimensione teatrale in cui particolari gesti servono a comporre in un’unità dialettica le sofferenze dello sfondo storico-esistenziale e la sofferenza salvifica del Cristo, per cui nello spazio teatrale religioso si ricapitola radicalmente l’esperienza del santo. In alcuni paesi del Mezzogiorno la processione liturgica del Cristo viene ad incontrarsi, secondo scadenze rituali, con gruppi di «flagellanti» che, con il «cardo» (forma rotonda di sughero su cui sono stati applicati tredici frammenti di vetro), si percuotono a sangue le gambe. Tutti i tentativi da parte delle autorità ecclesiastiche d’interrompere questa manifestazione — perché «arcaica» e «barbara» — hanno incontrato la più dura opposizione delle popolazioni tenacemente attaccate a tale rito.

Vattienti di Nocera Terinese

Ogni anno, nel giorno di Sabato Santo a Nocera Tirinese, si svolge, come in tutti gli altri paesi, una processione del Cristo morto. Una grande statua della Madonna che sorregge il figlio morto viene fatta uscire dalla chiesa e, lentamente, percorre l’intero paese. Portano la statua e la seguono immediatamente dopo i membri di una confraternita, vestiti di bianco, con il capo cinto da una corona di erba spinosa. La statua, durante il suo pellegrinaggio, si ferma davanti a edicole sacre, agl’ingressi delle chiese all’interno delle quali sono stati allestiti i «sepolcri», «ornati», oltre che con fiori e candele, con piatti o vasi di grano germogliato, simbolo di resurrezione collegato all’antico culto di Adone. Quasi l’intero paese segue la processione, cantando canti tradizionali o liturgici, mentre la banda esegue brani del repertorio bandistico tradizionale.

Improvvisamente la gente si scosta; tutti guardano verso un punto da dove arrivano, velocissimi, due uomini, scalzi, vestiti in maniera inconsueta. Uno è vestito di nero, con calzoni corti o mutande, il capo cinto da una corona di spine; l’altro è in rosso, con i fianchi cinti da un panno e in mano una croce pure rossa. L’uomo in nero avanza e si tira dietro l’altro, a lui attaccato con una corda. Quando giungono davanti alla statua della Madonna, l’uomo in nero si ferma, costringendo così la processione a fermarsi, e con il sughero nel quale sono infilati 13 pezzi di vetro si percuote le cosce e le gambe facendo sgorgare abbondante sangue. Per far affluire il sangue, la parte, prima di essere percossa, viene strofinata con un ruvido tappo. Alla fine dell’operazione, compiuta da diversi flagellanti in differenti momenti della processione, sulle gambe sanguinanti viene versato vino misto ad aceto con la duplice funzione di disinfettare e di impedire un’immediata rimarginazione della ferita. Poi, la processione riprende il suo lento snodarsi, interrotta di tanto in tanto dall’arrivo di nuovi flagellanti, il cui rito viene eseguito con un misto di partecipazione e curiosità da tutti i fedeli. La flagellazione, infatti, non costituisce un episodio isolato e marginale del rito del Venerdì Santo a Nocera, ma è un dato costante che si rinnova ogni anno e che viene considerato essenziale da parte della comunità che ha reagito violentemente quando, anni fa, le autorità ecclesiastiche tentarono inutilmente di proibire il rito.

L’aspetto più clamoroso, la flagellazione, è un momento di un rituale articolato in precise fasi, ugualmente istituzionalizzate a livello culturale. L’inizio del rito ha luogo nei diversi domicili dei flagellanti, che hanno deciso di divenire tali per voto, anche se in alcuni di essi ha agito come fattore concomitante la tradizione familiare. In casa, dopo aver indossato l’abito rituale e fatto indossare l’altro abito all’accompagnatore, «l’ecce homo», il flagellante si lava le cosce e le gambe con un decotto di rosmarino che ha la precisa funzione di far affluire il sangue in quei punti dove si percuoterà con il cardo e di rendere parzialmente insensibile quella parte del corpo. Prima di uscire e di compiere la parte culminante del rito, il falgellante beve assieme ai propri familiari.

Oggi il numero dei flagellanti non è molto elevato; nel 1970 erano in tutto 13, ma sarebbe errato immaginare un lento processo di scomparsa del rito, in quanto in questi ultimi anni il numero dei protagonisti di esso è andato progressivamente aumentando e si è avuto anche il tentativo di esportare il rito in altri paesi.

Alcuni noceresi, che si erano autoeletti flagellanti e risiedono per ragioni di lavoro nelle città del Nord Italia, si sono trovati spesso nell’impossibilità di ritornare al proprio paese per il Venerdì Santo e qualcuno di essi, non potendo flagellarsi a Nocera, ha deciso di versare il proprio sangue a un ospedale di Milano, divenendo così donatore.

Ogni sette anni, a Guardia Sanframondi, nel Sannio, si svolgono i riti penitenziali in onore dell’Assunta. La parte culminante di tali riti consiste in una flagellazione collettiva alla quale partecipano centinaia di battenti, col volto ricoperto e sulla cui identità si mantiene rigorosamente il segreto.

È significativa la coincidenza, anche se densa di problemi interpretativi, tra i diversi riti del sangue, che presentano tutti un rapporto tra gli appartenenti alle classi subalterne e una figura di vincitore (o vincitrice) della morte.

Fonte: UN VILLAGGIO NELLA MEMORIA, di L.M. Lombardi Satriani e M. Meligrana – Gangemi

Foto RETE

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