TUTTI I SANTI GIORNI di P. Virzì

 

Paolo Virzì ritorna al cinema dopo due film molto acclamati da critica e pubblico come La

prima cosa bella e Tutta la vita davanti, commedie corali dal sapore agrodolce che nutrivano l’ambizione di mettere in scena vicende piuttosto rappresentative della condizione socio-politica del Paese.

In questo Tutti i santi giorni, però, il regista labronico ha scelto di intraprendere una strada relativamente nuova, raccontando una storia molto più intima, raccolta, concentrandosi sulla storia d’amore dei due protagonisti.

Il film è infatti tratto dal romanzo La generazione di Simone Lenzi, scrittore ma sopratutto leader della band indie Virginiana Miller. Si narra della relazione tra Guido (l’attore Luca Marinelli, visto in La solitudine dei numeri primi e L’ultimo terrestre) e Antonia (la cantante Thony, al primo ruolo cinematografico), un legame molto particolare basato su quel particolare fenomeno che si definisce generalmente coincidenza degli opposti.

Guido infatti è un ragazzo di grande cultura, esperto latinista, che conosce a memoria tutti i santi e martiri proto cristiani, ma è sopratutto l’uomo perfetto per ogni donna: gentile, premuroso, amorevole e dedito per quanto mai opprimente e sempre comprensivo. Ma, su ogni cosa, profondamente innamorato di Antonia. Lei invece è, come già detto, tutto il contrario: non particolarmente dotta, scontrosa e permalosa, dal passato ribelle e punk, il suo imborghesimento dovuto al fidanzamento di 6 anni con Guido è solamente superficiale.

La coppia è ossessionata dalla necessità di avere un figlio, sia perché l’orologio biologico di Antonia inizia a ticchettare freneticamente, sia perché si tratterebbe di un consolidamento del loro rapporto, che il toscano vorrebbe invece coronare col matrimonio. Si assiste quindi all’estenuante e dolorosa odissea dei due tra visite mediche, ospedali, ginecologi, guru alternativi e fautori della fecondazione assistita.

Il film di Virzì è, come ammesso da lui stesso, una sorta di esperimento personale: abbandonare l’abituale costruzione narrativa ampia e polifonica per soffermarsi sulla storia privata di due personaggi qualunque dei nostri tempi.

Per fare ciò il regista si appropria di alcune soluzioni stilistiche del cinema indipendente americano (la fotografia molto calda, gli attori alle prime armi, storie minimali e prive di grandi scossoni, il tratteggio della vita di periferia), producendo una pellicola che fa esalare una sana boccata d’aria al cinema italiano, pur non essendo del tutto riuscita.

Il punto di forza di Tutti i santi giorni, e ciò che più fa leva sullo spettatore, è proprio la descrizione dei protagonisti tratteggiata con molta delicatezza, levità e tenerezza. Al netto di alcuni comportamenti piuttosto stereotipici e prevedibili affibbiati ad Antonia, è la chimica e la grande intesa tra i due a conquistare la scena.

Merito anche dei due interpreti molto freschi , in particolar modo Marinelli (la scommessa su Thony è infatti riuscita solo in parte, ma non si può fargliene una colpa, vista l’inesperienza), che riescono a rendere vivi e credibili due personaggi che altrimenti sarebbero potuti sembrare delle macchiette.

Purtroppo non si può dire altrimenti di personaggi e situazioni di contorno, i quali sono troppo spesso usati per strappare facili risate, piuttosto che per definire meglio i protagonisti; pessima ad esempio la breve scene dedicata ai metodi alternativi di concepimento, ma anche certe banalità ridanciane riguardo a una certa scena musicale indipendente.

La scelta poi di concentrarsi su una piccola storia e sulla caratterizzazione della coppia lascia il fianco scoperto a una sceneggiatura non calibrata alla perfezione che in alcuni momenti gira a vuoto, con istanti di noia o ripetizioni superflue. Dettagli, forse, che però impediscono all’opera di Virzì di essere più di un film carino e divertente, nonostante ci fossero tutte le premesse per realizzare un piccolo cult.

Fonte: spettacoli.blogosfere.it

Foto:cineblog.it

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