IL MITO DI DEMETRA nella psicoanalisi

Demetra – Foto: web

Consiglio di leggere questo articolo del dott. Biancoli, perchè contiene delle considerazioni molto belle sul significato ed il valore dell’amore materno

 1. Nel “Preambolo e Introduzione” al suo “Das Mutterrecht” (Il Matriarcato) (1861), Bachofen polemizza con gli storici che si interessano solo di fatti, personalita’ ed istituzioni, trascurando la mitologia.

Sostiene che bisogna invece considerare non solo la storia ma anche il mito, se si vuole comprendere l’antichita’.

Il mito e’ l’origine di ogni sviluppo.

La base di tutte le civilta’ e’ la religione.

Lavorando sui miti e sui simboli come documenti, Bachofen fa emergere una chiara e coerente visione del matriarcato come stadio universale della storia dell’umanita’.

Questo stadio dimenticato precedette l’attuale patriarcato e a sua volta segui’ un’anteriore situazione di promiscuita’ sessuale, l’eterismo, che aveva come simbolo la palude e come divinita’ Afrodite.

L’amazzonismo promosse il passaggio al matriarcato, che fondo’ la famiglia con il diritto matrilineare e avvio’ l’agricoltura.

I valori erano dati dall’amore per la madre e per la sorella, la condanna senza appello per il matricidio, la liberta’, l’uguaglianza, la pace.

La divinita’ era Demetra e tra i principali simboli c’erano la predilezione della notte, della luna, della terra, il culto dei morti, le sorelle preferite ai fratelli, l’ultimogenito preferito ai figli maggiori, la sinistra preferita alla destra.

In seguito a lotte terribili, il patriarcato soppianto’ il potere femminile e impose i suoi valori, che Bachofen riteneva superiori: indipendenza individuale, amore per il padre, diritto patrilineare, procreazione spirituale, di cui l’adozione era una esplicitazione.

Cambiarono i simboli: prevalse il giorno sulla notte, il sole sulla luna, il cielo sulla terra, la destra sulla sinistra.

La divinita’ era Apollo, dio della luce e delle belle arti.

Il mito dice che Demetra, Ceres per gli antichi romani, era figlia di Crono e di Rea e sorella di Zeus, che la rese madre di Kore o Persefone.

Madre e figlia erano dee della fertilita’ e della vita del mondo vegetale, che a ogni primavera rinasce e a ogni autunno muore.

Creativa e protettiva, Demetra rappresentava il principio materno della natura che genera e nutre.

Dea della produttivita’, essa portava ricchezza e abbondanza, cibi e frutti vari in grande quantita’ (Burkert, 1979).

Come dea del frumento, Demetra insegnava l’agricoltura e la produzione dei beni materiali agli esseri umani e si prendeva cura del loro benessere fisico-sensuale e affettivo tutelando la stabilita’ della famiglia.

Nella ricostruzione di Bachofen, Demetra pone le norme del diritto agrario e le estende alla famiglia monogamica, diventando in tal modo la Dea della procreazione legittima matrilineare e dell’ordine femminile.

In quanto madre feconda e alimentatrice e origine di ogni bene fisico, la materia e’ sacra.

Questa sacralita’ e’ parte della visione intuitiva (Kerény & Jung, 1940-41) e misterica (Kerény, 1951; Eliade, 1975) a cui potevano accedere i fedeli di Demetra durante le celebrazioni dei misteri della fertilita’ ad Eleusi.

Qui venne eretto un tempio in onore della dea e dedicato al culto della fecondita’ e fertilita’, delle trasformazioni profonde della materia, dei suoi processi nascosti di vita perenne.

Nel sentimento di una civilta’ agricola il culto della generazione e della rinascita era un culto dell’immortalita’ dell’anima.

Questo “stadio cereale-coniugale della vita agraria” verra’ infranto dall’ “imperium” statale maschile.

 

2. La creativita’ demetrica corrisponde a tratti della creativita’ femminile indagabile attraverso la psicoanalisi.

La donna e’ piu’ dell’uomo a contatto con i suoi sentimenti e piu’ capace di assumersi la responsabilita’ di un rapporto affettivo.

L’esperienza del parto, dell’allattamento e del prendersi cura del bambino rende la donna capace di estendere il suo amore da se stessa e dai suoi figli agli altri esseri umani.

La tenerezza e la pieta’ materne promuovono pace e fratellanza.

La teoria della societa’ matriarcale di Bachofen presenta un grande valore psicologico, a prescindere dalle questioni relative alla sua attendibilita’ sul piano storico.

Il fatto che la madre ami i suoi figli incondizionatamente, cioe’ solo perche’ sono i suoi figli, e non per le loro qualita’ e i loro meriti, pone il principio di uguaglianza tra gli esseri umani.

Tutti siamo figli della natura, della Madre Terra, e tutti godiamo di un diritto naturale al nutrimento, alla vita e al benessere.

Qui sta il fondamento emotivo dell’umanesimo, del giusnaturalismo, dell’illuminismo, dei grandi ideali delle moderne democrazie (Fromm, 1955).

Secondo Fromm (1956), l’amore materno presenta due aspetti: quello di tutte le cure necessarie perche’ il bambino viva e cresca e quello di infondergli l’amore per la vita, il senso che la vita e’ bella, la gioia di vivere.

I due aspetti corrispondono rispettivamente ai biblici “latte” e “miele”.

Molte le madri che sono in grado di dare il “latte”, poche quelle che oltre al “latte” sanno dare anche il “miele”, perche’ solo una donna felice puo’ dare anche il “miele”, cioe’ contagiare il bambino colla sua felicita’ e colla sua biofilia.

Un fattore importante che sostiene l’amore materno e’ il bisogno umano di trascendenza, cioe’ di superamento della condizione passiva di creatura “gettata” nel mondo.

L’essere umano puo’ assumere un ruolo di creatore in vari modi, uno dei quali e’ l’amore per i propri figli.

La madre trascende se stessa nell’amore per il proprio bambino.

Il compito materno piu’ difficile sta nell’accettare e nel favorire che il figlio crescendo si separi e autonomamente viva la propria vita.

La creativita’ materna fa di una persona due persone, la madre da una si fa due, non solo in senso fisico ma anche psicologico.

Una completa capacita’ di dare comporta che la madre ami il figlio o la figlia anche mentre egli o ella si separa da lei, poiche’ lei sopratutto desidera la felicita’ della sua creatura.

Desiderare la crescita del figlio o della figlia e’ il tratto piu’ specifico e creativo dell’amore materno in senso pieno e compiuto, che viene caratterizzato dall’assenza di possessivita’ e dalla prevalenza del dare sul ricevere.

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L’esperienza di essere amato dalla madre e’ un’esperienza di beatitudine e sicurezza dovuta al solo fatto di esistere.

Non occorre fare nulla per meritare l’amore materno, che non e’ una conquista ma un dono, una grazia (Fromm, 1956).

Il piu’ profondo bisogno dell’essere umano che viene alla luce e’ questo di essere amato nella gioia che da’ la sua crescita giorno dopo giorno.

L’amore attiva interiormente sia chi ama sia chi e’ amato.

L’amore materno non possessivo e biofilo predispone i figli alla capacita’ di amare.

L’aspirazione a un amore materno incondizionato accompagna l’essere umano nel corso della sua vita e trova espressioni simboliche nella poesia e nell’arte, nella religione e negli ideali politici e sociali.

L’attesa di una figura materna protettiva puo’ essere piu’ o meno intensa; puo’ presentarsi come stato di bisogno, richiesta passiva, attaccamento simbiotico.

In questi casi non si sviluppa la capacita’ di amare ma permane invece la fissazione alla madre, che riguarda uomini e donne, e’ pregenitale, e la sua eventuale coloritura sessuale e’ una conseguenza successiva e non una causa (Fromm, 1964).

Avviene che non solo i bambini ma anche gli adulti, di fronte alla complessita’ e alla difficolta’ di vivere, aspirino a una figura che come Demetra produce, nutre e protegge e ad un tempo governa e stabilisce le norme secondo cui vivere.

Gli individui in questa condizione desiderano essere accuditi e restare privi di responsabilita’, rinunciando allo sviluppo pieno delle loro potenzialita’ di esseri umani.

Essi non sentono in se stessi la fonte dell’energia necessaria alla loro vita e pongono al loro esterno l’origine di ogni bene.

Questo aspetto della fissazione alla madre pone una dipendenza “ricettiva” (Fromm, 1947), orale, affettiva e fisica, da una figura materna che, come Demetra, come l’ambiente naturale, come la materia vivente, genera, produce, procura, offre beni per il sostentamento dei figli.

Il latte materno, prodotto dal corpo della madre, e’ il prototipo di ogni bene prodotto dal corpo della terra.

 

3. A volte i sogni ci offrono un senso profondo ed anche inquietante della produttivita’ fisica della donna.

Un uomo di 34 anni riferisce questo sogno:

“La donna con cui vivo ha fatto il letto. Lo ha fatto anche nel senso che lei ha fatto le lenzuola, le coperte, i materassi, il cotone, la lana, il legno…”.

Simbolo centrale del sogno e’ la produttivita’ fisica della donna.

Qui la donna non e’ solo accuditiva, non si limita a fare il letto, ma genera direttamente i materiali di cui e’ composto il letto, come se lei fosse la terra che produce alberi e cotone, fosse l’animale che da’ la lana, fosse un laboratorio vivente che tesse lenzuola e coperte, e che lavora il legno.

C’e’ una implicita ammirazione per la donna.

La domanda che si impone e’: perche’ il sognatore le attribuisce tali sovrumane facolta’?

Rispondono altri suoi sogni a contenuto erotico, nei quali lei ad un certo punto si trasforma improvvisamente, pero’ come se fosse del tutto naturale, in sua madre.

Il paziente e’ un ingegnere che si e’ laureato con fatica e molto tardi perche’ temeva inconsciamente la fine degli studi, con le responsabilita’ professionali e gli impegni affettivi che ne conseguivano.

Rimase orfano di padre a dodici anni.

In casa con la madre viveva una zia nubile.

La famiglia era benestante; il patrimonio veniva amministrato dalla madre, che era dotata di capacita’ organizzative e di spirito d’iniziativa.

La morte del padre non cambio’ il modo di vivere della famiglia, che era deciso dalla madre, mentre la zia, che le obbediva, si limitava a svolgere in casa lavori femminili e domestici.

Il paziente e’ sempre stato coccolato e viziato dalle due donne, specialmente dalla zia che con lui era dolce e arrendevole.

Anche la madre era affettuosa, lo accudiva con molta cura e gli risolveva i problemi pratici, pero’ intrudeva nei suoi rapporti con i coetanei, rendendogli difficile coltivare amicizie.

Egli apprese in casa ad essere seduttivo con le donne e cosi’ gli fu facile collezionare brevi e superficiali vicende affettive con varie ragazze, che la madre permetteva purche’ restassero non impegnative.

Una volta che lui si innamoro’ veramente, la madre intervenne con giudizi pesanti sulla ragazza, da cui poi fu lasciato.

All’Universita’ incontro’ la sua attuale donna, una persona molto decisa e molto battagliera, e quindi per certi aspetti simile alla madre.

Forse per questo se ne innamoro’, proiettando poi via via sulla ragazza i suoi vissuti verso sua madre, cosi’ da arrivare col tempo a provare lo stesso sentimento di fondo verso le due donne.

La ragazza non si lascio’ dissuadere dagli interventi distruttivi della madre del paziente, sopporto’ le angoscie e i conflitti di lui, lo aiuto’ dopo la laurea a trovare un lavoro in un’altra citta’ e ando’ a vivere con lui.

Il paziente e’ molto intelligente e creativo sul lavoro, pero’ e’ ansioso e sente il bisogno che qualcuno lo rassicuri e lo diriga; la sua fantasia, la sua affabilita’ e la sua eleganza piacciono alle donne e alla sua convivente, che lo vuole possedere approfittando della sua passivita’ e della sua oralita’ disarmata.

Dall’inizio della convivenza lui non si sente piu’ innamorato, ma non osa andarsene, perche’ e’ dipendente da lei, la teme e teme di andare a vivere da solo.

L’unica opposizione che gli riesce e’ quella di rimandare il matrimonio, pero’ nemmeno cio’ e’ dovuto interamente alla sua energia perche’ si sente appoggiato dalla madre.

Inoltre, la sua incapacita’ di amare gli fa nutrire riserve e dubbi sulla sua partner e lo porta a fantasticare su donne piu’ belle e piu’ giovani che in futuro potrebbe avere.

Ora pero’ non si azzarda a tradirla con altre, anche se ci pensa.

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Demetra e Metanira

La fissazione incestuosa del paziente gli impedisce di raggiungere uno stato adulto sul piano degli affetti, cosi’ che egli sente il bisogno di essere amato ma non quello di amare.

Il bisogno di ricevere e la mancanza di fede nelle proprie risorse interne lo rendono succubo della figura femminile, sentita quale dispensatrice di ogni bene e sicurezza.

Come gia’ nei confronti di sua madre, egli prova infantile ammirazione e timore per la sua donna e vive una inferiorita’ fisica ed emotiva insieme, con rancori non espressi direttamente.

Vorrebbe lasciarla, ma teme che sia lei a stancarsi di lui e ad andarsene.

Cosi’ non riesce ne’ a staccarsi da lei ne’ ad amarla.

Bloccato in uno stato di sentimenti infantili, non sa assumersi le sue responsabilita’.

Per lui, spezzare il legame simbiotico significa rinunciare all’avvolgimento caldo, all’abbraccio tenero che lo tengono prigioniero, mentre il suo processo di individuazione richiederebbe un passo di liberta’ e di autonomia, con il pagare sul piano dei vantaggi materiali l’affrancamento e con l’affrontare la paura della solitudine e dell’abbandono.

 

4. Dopo quattro mesi di analisi, una donna di 23 anni porta questo sogno:

“Mia madre sta facendo la pasta. La pasta le esce gia’ fatta dalle mani, specialmente dalle dita”.

Qui il corpo materno produce cibo direttamente, come gia’ un tempo produsse latte, ed e’ la fonte del cibo, senza mediazioni.

Da quel che la paziente associa, sembra anche che il corpo della madre non si esaurisca o non si diminuisca in seguito a questa sua operazione, come fosse una matrice di alimento, un imperituro organismo funzionante.

Perche’ la sognatrice vede sua madre trasformarsi in pasta?

Si sente in rapporto a lei negli stessi termini in cui si sentiva quando era ancora lattante, cioe’ di totale dipendenza?

Per certi aspetti, pare di si’.

La paziente ha interrotto gli studi all’eta’ di 17 anni e successivamente ha svolto diversi lavori occasionali alternati a periodi di disoccupazione.

E’ fidanzata da quattro anni con un ragazzo piu’ giovane di lei di due anni.

Prima dell’attuale fidanzato aveva avuto alcune altre esperienze sempre con ragazzi piu’ giovani e sempre interrotte da lei.

Mentre il fratello maggiore di sei anni si e’ laureato in architettura e vive in un’altra citta’, dove ha trovato un lavoro, la paziente vive in casa coi genitori.

Il padre e’ funzionario di banca, la madre casalinga.

Entrambi sono colti e leggono molto.

Lui trascorre il poco tempo libero leggendo libri, e’ piuttosto freddo e distaccato anche quando si interessa dei figli, dei quali si e’ sempre preoccupato in termini intellettuali e secondo principi educativi da lui ritenuti aperti e progressisti, riassunti nella frequente domanda posta ad ogni eta’ ai suoi figli: “cosa ne pensi?”.

La paziente commentera’: perche’ non mi chiedeva mai cosa sentivo?

Quel che la paziente sentiva era paura: paura del buio, paura di fare brutti sogni, paura degli insegnanti, altre paure indefinite, senza preciso oggetto, piu’ o meno intense, talora improvvise e brevi, talaltra annunciate da un’aura di inquietudine e poi persistenti, vaghe e cangianti.

Nell’adolescenza soffri’ di ipocondrie e di dismorfofobie.

Non si sentiva libera di fare o anche solo di pensare nulla senza riferirlo a sua madre, anche se questa era spesso brusca e spazientita con lei.

La figlia pensava di avere un buon dialogo con la madre, ma il dialogo presuppone due persone distinte, mentre la figlia non era distinta dalla madre ma confluiva in lei.

A 19 anni sogno’ che sua madre, per aiutarla, le toglieva la verginita’, non ricorda se col pene.

Uno dei primi sogni portati in analisi fu di una donna non piu’ giovane che volava e aveva occhi azzurri e magnetici; lei si sentiva attratta come se non ci fosse piu’ la forza di gravita’ e tutto il suo corpo volesse sollevarsi da terra.

Gli occhi della madre non sono azzurri, ma la paziente, dopo quasi tre anni di analisi, si sta rendendo conto che la incantano, anche se solo ora le appaiono spesso cattivi, con una luce maligna e ammaliante insieme.

Lei e il suo fidanzato si dovrebbero sposare e le loro due famiglie hanno gia’ comprato una casa a tale scopo, ma lei vive nell’angoscia del matrimonio e tormenta in mille modi il fidanzato.

Quando si pensa nella nuova casa viene colta da un senso di nostalgia struggente, si rifugia nella sua stanza, si sdraia sul letto e guarda una ad una tutte le cose che sono li’, mobili, soprammobili, quadri, libri, si aggrappa a loro con lo sguardo, disperatamente, piangendo.

Sente che non puo’ ancora vincere la forza che la lega alla sua famiglia, in particolare alla madre, della cui presenza fisica quotidiana ha bisogno.

Dipende da sua madre tanto che certi giorni non riesce nemmeno a farsi il letto da sola.

Piu’ si lascia andare alla sua passivita’ piu’ resta ipnotizzata dalla voce di sua madre.

La ode dalla sua stanza, anche con la porta chiusa.

Ora pero’, pur dentro al suo mondo assorto, e’ come piu’ vigile e nel suo ascolto a volte si attiva uno spirito di osservazione che si muove all’interno delle percezioni: la madre cammina, sbatte le porte, percuote stoviglie, trema la casa al suo passo; la paura e’ corale, gli oggetti sentono quello che sente lei.

Ancora scruta il volto materno e ne e’ catturata per la mimica e per il gioco espressivo delle sottili rughe che accompagna il parlare, pero’ un filo di consapevolezza percorre i suoi stati di fascinazione e li scopre vissuti dentro l’atmosfera magica che sa creare sua madre, seduttiva un po’ con tutti.

Quel modo di manifestarsi e di presentare le cose fatte da lei o i suoi pensieri sanno tenere l’attenzione delle persone e hanno il potere di soggiogare la figlia, che pero’ ormai si puo’ permettere di sognare apertamente, anche se nel terrore notturno, la madre come strega, o la madre che ricorre a streghe per fare o per togliere malocchi.

Viene chiarendosi il significato della fuoriuscita di pasta dal corpo della madre: si tratta di una produzione magica resa possibile sia da taluni tratti istrionici della madre sia sopratutto dalla passivita’ e dalla dipendenza simbiotica della figlia.

 

5. Entrambi i pazienti sono molto fissati in senso preedipico alla figura materna.

La loro e’ una “incestuous symbiosis”, che nella seconda paziente raggiunge un livello piu’ grave che nel primo.

“What is meant by ‘symbiosis’? There are various degrees of symbiosis, but they all have in common one element: the symbiotically attachet person is part and parcel of the ‘host’ person to whom he is attached. He cannot live without that person, and if the relationship is threatened he feels extremely anxious and frightened” (Fromm, 1964, p. 231).

 

Trittolemo tra Demetra e Kore

L’attaccamento preedipico eè molto piu’ intenso di quello edipico che Freud basava sul desiderio sessuale dei figli per il genitore di sesso opposto.

La fissazione incestuosa simbiotica comporta il desiderio estremo di essere amato come un bambino piccolo, addirittura ancora lattante, o perfino, nei casi piu’ gravi, di rientrare nel ventre della madre, portando il rifiuto di ogni indipendenza da lei fino all’indistinzione.

In un tale legame la paura della madre, poiche’ ci si trova completamente in sua merce’, raggiunge livelli di terrore paralizzante la cui esperienza puo’ essere resa solo dai sogni, dai miti, dalle opere d’arte e dai simboli che incontriamo nella storia delle religioni.

Fromm (1964) nota che Freud aveva considerato anche la fase preedipica, pur pensando che questa era molto piu’ importante per la donna che per l’uomo, e ne cita il seguente passo: “Our insight into this pre-Oedipus phase in the little girl’s development comes to us as a surprise, comparable in another field with the effect of the discovery of the Minoan-Mycenaean civilization behind that of Greece” (Freud, 1931, p. 226).

Queste righe sono cosi’ commentate da Fromm (1964, p. 225):

“In this last sentence Freud recognized, more implicitly than explicitly, that the attachment to mother (…) can be compared with the matriarchal features of pre-Hellenic culture. But he did not follow up this thought”.

Dunque anche Freud sembra scorgere una sorta di parallelo simbolico tra fase preedipica e matriarcato.

In entrambe le situazioni il ruolo della madre e la dipendenza dei figli sono massimi, ma, mentre l’attaccamento del bambino piccolo alla madre appartiene ad un processo naturale di sviluppo, il potere matriarcale sui figli adulti e’ un fatto di civilta’, che va considerato nei suoi aspetti positivi e nei suoi aspetti negativi.

Anche nel mito di Demetra noi troviamo simbolizzati questi aspetti.

La Dea genera e produce, pervade la natura tutta nei suoi processi di permanente rinascita, pone un ordine creativo nei gruppi civili per il bene di tutti gli esseri umani, di tutti i figli.

Il lato positivo del mito matriarcale di Demetra sta in un umanesimo elementare, di base, che non solo abbraccia, scalda e nutre ogni essere umano, ma anche pone norme di vita sociale fondate piu’ sul rispetto che sul dominio.

Ma quando Demetra, come canta Omero nel suo “Inno a Demetra”, si addolora e si adira per il rapimento della figlia Persefone, prigioniera nell’Ade, e diventa “Demeter Erinys” (Kere’ny, 1951), su tutte le creature cala lo sgomento e lo sconforto.

Demetra diventa furiosa e incurante dei buoni rapporti tra gli esseri umani, e si rifiuta di suscitare nella natura i suoi processi generativi, di infondere il verde nell’erba, nelle gemme e nelle foglie, di aprirsi nella fragranza dei fiori e di porgersi nei sapori dei frutti maturi.

Allora uomini e dei si disorientano, non sanno piu’ cosa fare, si disperano e supplicano la Dea Madre di tornare sia alle sue funzioni di vivificare, vitalizzare e approvvigionare, sia a quelle di provvedere all’ordine e all’armonia degli assetti umani.

Se Demetra si ritira dal mondo, gli esseri umani a cui lei si dedica non sono in grado di fare da soli, non sono diventati adulti e autonomi, tali da prendere in mano la loro situazione e produrre con le proprie forze quel che la loro Grande Madre elargiva.

Se l’amore materno e’ un dono e una grazia, il potere femminile puo’ portare alla dipendenza.

Il limite del matriarcato e’ la fissazione incestuosa dei figli, con la conseguenza di uno sviluppo incompleto e di una mancanza di individuazione.

 

6. Il naturalismo del mito di Demetra ha in se’ una visione biofila delle trasformazioni di vita e morte.

Kere’ny crede che madre e figlia siano una sola e medesima figura, la quale presenta un lato “nero” nella relazione con l’oltretomba.

Il tempo dell’anno durante il quale Persefone e’ tenuta nell’Ade e’ la stagione della natura improduttiva, dei semi che restano sottoterra e del dolore materno di Demetra che non da’ frutti.

Ma i processi vitali continuano sotto la terra.

I misteri eleusini iniziavano i fedeli all’ “abisso del seme” che deve morire per rinascere ed entrare nell’infinito della vita sovraindividuale (Kere’ny & Jung, 1940-41).

Tutti i processi di passaggio vicendevole e di scambio tra materia organica e materia inorganica parlano alla fantasia umana e suscitano diverse passioni.

La nascita e lo sviluppo della complessita’ nella complessita’, il palpito vitale, la pulsazione di energie che spingono all’espansione e alla moltiplicazione delle forme e delle manifestazioni destano stupore e meraviglia e ispirano visioni biofile; oppure, al contrario, possono incantare e ipnotizzare le innumeri vie che conducono alla morte: soffocamenti, putrefazioni, decomposizioni, lacerazioni, amputazioni, spezzettamenti, disintegrazioni.

Biofilia e necrofilia si contrastano all’interno dell’individuo e contribuiscono a rafforzare rispettivamente i tratti produttivi e quelli non produttivi della sua struttura di carattere.

La persona completamente biofila e quella completamente necrofila costituiscono ipotesi estreme (Fromm, 1964, 1973).

Biofilia e necrofilia svolgono un ruolo importante nel determinare il tipo di fissazione incestuosa.

Se prevalgono i sentimenti teneri e festosi dell’amore per la vita, la passione incestuosa e’ calda ed affezionata e l’individuo puo’ essere svegliato dalla forza della ragione propria al principio paterno.

Il patriarcato infatti presenta gli aspetti positivi della razionalita’, del senso della disciplina e dell’individualismo, insieme agli aspetti negativi del dominio, della gerarchia e dell’ineguaglianza (Bachofen, 1861, Fromm, 1935, 1955).

D’altra parte, se prevalgono in modo deciso le passioni necrofile, si puo’ giungere al caso estremo di un sentimento incestuoso freddo (Fromm, 1973), di una relazione maligna con la morte, che porta a patologie serie.

Secondo Fromm, il ventre materno e’ come la terra che sostiene e nutre ogni cosa, piante, animali, esseri umani, e a cui ogni cosa ritorna nella morte.

La Madre Terra si apre, partorisce e da’ la vita, mentre allo stesso tempo si chiude nell’abbraccio finale della tomba.

L’aspetto di morte della madre puo’ sostenere una certa fascinazione ed attrazione “as iron is drawn to a magnet” (Fromm, 1973, p. 329), cioe’ in termini freddi e necrofili.

Il sogno della seconda paziente in cui lei si sente attratta, e sul punto di sollevarsi da terra, dagli occhi di una donna che sta volando sopra di lei (quale che sia la lettura del volo: volano sia le streghe che i pensieri e sentimenti liberi e creativi) propone un contenuto non molto lontano da questa ipotesi estrema di Fromm.

Fortunatamente la freddezza dei genitori della paziente non e’ propriamente metallica e la necrofilia materna e’ contrastata da una certa vivacita’ intellettuale e da una certa produttivita’.

Queste qualita’ della madre pero’ la figlia non riesce a svilupparle, a causa della sua paura di vivere che la riempie di odio, le fa volgere le spalle al futuro e le fa sentire il fascino del passato e il richiamo sia del seno che del grembo materni.

 

7. Riportare dei casi clinici al mito di Demetra, come ad altri miti, puo’ non essere solo un esercizio intellettuale.

Molto dipende da come lasciamo che il mito ci parli nel linguaggio universale dei simboli e ci susciti una comprensione piu’ figurata e piu’ sfaccettata, con piu’ immagini, della situazione di dipendenza e aspettativa in cui si trova l’analizzando.

Trovare consonanze tra sogni e mito e’ gia’ un uso clinico del mito, che aiuta l’analista ad ascoltare la totalita’ umana del paziente, l’essere umano universale che in lui e’ rimosso per effetto dei “filtri” sociali (Fromm, 1960) che selezionano i contenuti psichici ammessi alla coscienza.

La rimozione e’ un meccanismo di difesa che puo’ provocare reazioni creative dei contenuti resi inconsci, come quella di cercare la via dei simboli per parlare enigmaticamente alla coscienza.

Il mito apre una finestra sull’inconscio, a patto che noi lo lasciamo parlare nella sua lingua specifica, senza volerlo catturare in una interpretazione.

Il nostro ascolto dovrebbe essere come un “prendere e bere la pura acqua della sorgente” (Kere’ny & Jung, 1940-41).

Kere’nyi prosegue affermando che “c’e’ ancora molto che separa la bocca dall’orlo del calice”.

L’avvicinarsi dell’orlo del calice alla bocca e’ un fatto di ascolto, poiche’ “il paragone piu’ appropriato e’ quello della musica”.

Ora, anche l’analisi di un paziente e’ un fatto di ascolto, e come c’e’ un “aspetto immaginifico-significativo- musicale” nella mitologia esso c’e’ anche nel rapporto psicoanalitico.

Anche i sogni aprono finestre sull’inconscio.

La veduta dalla finestra del sogno puo’ rimandare alla veduta dalla finestra del mito, con arricchimento reciproco, senza mai esaurire il dipinto vivente della totalita’ umana.

di ROMANO BIANCOLI

Da  psicologia-psicoterapia.it/articoli-psicoterapia/biancoli-psicoanalisi-neo-freudiana.html

Foto: RETE

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