Gli abiti parlano

Gli abiti “parlano” e rivelano molte cose. Non servono solo a coprirci.
Ci dicono il senso del bello di un’epoca. Ma raccontano anche cose più intime, più profonde. Mostrano in che considerazione viene tenuto il corpo, quale rapporto abbiamo con esso. Rivelano scampoli di morale e, più in generale, qualcosa sui valori del tempo.

Questa foto ci ricorda un po’ la morale vittoriana, quella che si diffuse in Inghilterra tra la fine dell’Ottocento ed i primi del Novecento.

La donna veniva considerata proprietà del marito. Godeva di pochissimi diritti: non poteva votare, citare qualcuno in giudizio, possedere proprietà, avere un conto corrente. L’istruzione non era necessaria. L’unica professione che le era consentita era quella di insegnante.
Era “l’angelo del focolare”, ma un angelo senza ali. Compiti principali: fare figli e badare alle faccende domestiche.
L’abbigliamento doveva essere severo. Niente trucco, mostrare poca pelle, capi intimi semplici ed essenziali.
Di questi signori nella foto vediamo solo il volto e le mani. Il corpo è scomparso. Il corpo non è un valore.

Questa morale, accigliata e rigorosa in campo sessuale, era molto più tollerante e di manica larga in campo sociale.

Siamo nel periodo coloniale. Gli europei, assieme agli statunitensi, si ritengono i padroni del mondo. Africani ed asiatici devono servire ad accrescere la loro ricchezza. Sono solo sudditi, bestie da soma. Il loro territorio non è loro. Nella Conferenza di Berlino del 1884/85 le potenze europee si mettono attorno ad un tavolo e dicono: questo è tuo, questo è mio, quello è suo…

Gli operai non hanno diritti, vivono in condizioni disperate. La giornata di lavoro va dalle 10 alle 12 ore al giorno. La durata media della loro vita è di 40 anni.

Ci vorranno due guerre, anni ed anni di lotte e molto sangue versato affinché la dignità, il diritto e la civiltà possano entrare in fabbrica e sedersi al fianco di un operaio.

Un ringraziamento a Giovanni Candia, questa foto è sua.

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