Viaggio nelle parole: BISACCIA

bisaccia

Peras imposuit Iuppiter nobis duas:

propriis repletam vitiis post tergum dedit,

alienis ante pectus suspendit gravem.

Hac re videre nostra mala non possumus;

alii simul delinquunt, censores sumus.

Fedro  “Fabulae”  – Libro IV, 10  “De vitiis hominum”

In italiano

Giove ci ha imposto sulle spalle due bisacce:

ha messo quella piena dei propri vizi dietro le spalle,

e appesa davanti al petto quella pesante dei vizi altrui.

A causa di ciò non siamo in grado di vedere i nostri difetti;

mentre non appena gli altri sbagliano, facciamo i censori.

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Ma la bisaccia è anche altro.

È un francescano con la faccia da contadino, il passo appesantito dagli anni, una lattina per l’olio. E  la bisaccia. Bussa con discrezione alle porte del paese: “San Francesco!”.

Le donne, quando lo vedono, lo chiamano; lui regala una figurina e riceve quel che la pietà umana e la miseria consentono: fichi secchi, pane, olio, formaggio, raramente monete. Ringrazia, dà una benedizione e riprende il cammino.

Era verso mezzogiorno, ed era seduto sulle scale vicino alla Fontana del 26. Avevo meno di dieci anni. Quell’uomo con la barba bianca ed il saio m’intimoriva. Mi fermai a guardarlo da lontano.

Mi  chiamò e mi fece sedere al suo fianco. Stava mangiando dei fichi da una hjetta. Ne ruppe  metà e me la diede. Era di fichi processotti tostati al forno.

Non ho mangiato mai più  in vita mia fichi così buoni.

Ed è mio padre.

Partiva la mattina presto, prima di fare giorno. Mangiava qualcosa, beveva qualche bicchiere, si preparava l’occorrente, sistemava nella bisaccia l’essenziale, caricava tutto sull’asino, e via.

Tornava la sera quando già era buio. Stanco e con l’asino carico del raccolto di stagione.

Nella bisaccia gli ortaggi più delicati.

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