DA LETTA A RENZI: PIÙ FORZA AI MERCATI

letta e renz
Sarebbe così bello se il destino del governo d’Italia fosse nelle mani e nelle disposizioni della Divina Provvidenza: probabilmente ci salverebbe dall’arrivo di Renzi al posto di Enrico Letta. Ma immischiare domeniddio in questo mercato della politica e in questa politica del mercato è quanto meno una bestemmia. Lo dico da agnostico che è affascinato dalla ricerca di dio, come effetto trascendente l’umano e persino l’esistente.
Invece il governo italiano è da almeno due presidenti del Consiglio nelle mani complete dei banchieri di Bruxelles e viene nominato direttamente dalle intese tra il Quirinale e Mario Draghi. Non c’è nessuno scoop scandalistico in tutto questo: dovrebbero essere tutti a conoscenza del fatto che l’epicentro, il fulcro dell’economia del Vecchio Continente si poggia sulla direzione di Barroso e del governatore della Banca Centrale Europea e che tutti gli esecutivi dei paesi dell’Unione sono, chi più e chi meno, emanazione delle direttive di quella che viene definita la Troika e che è tristemente nota al popolo greco.
Dunque, le sorti del governo non sono, come vorrebbe anche solo metaforicamente significare Letta, nelle mani dell’Onnipotente, ma sono nelle mani ancora una volta di chi ha aveva già messo a governare il fenomeno indotto della crisi una persona come Mario Monti. Tecnici, politici, politici e tecnici. La distinzione è una sottigliezza da aula giudiziaria, una finezza da avvocato. Ormai il politico è un piazzista che gira per il Medio Oriente e cerca di svendere per esempio Alitalia allo sceicco che offre di più.
Da un altro versante, la decadenza della politica italiana, il ruolo sempre meno centrale del Parlamento, la mancanza di una vera opposizione sociale nel Paese e nelle istituzioni repubblicane, determina un dominio pressoché incontrastato del versante merceologico, del dominio del capitale e quindi lo scontro tra i poli economici è sempre più accelerato.
Possiamo definire ancora una volta il quadro complessivo della crisi come un fenomeno tutt’altro che passeggero o in dirittura d’arrivo. Siamo nel bel mezzo di una ristrutturazione delle dinamiche del mercato e del capitalismo su tutti i suoi fronti e siamo davanti ad un’offensiva pressoché totale contro il mondo del lavoro, contro i diritti più elementari dei lavoratori. La disoccupazione, la precarietà avanzano senza sosta, la produzione industriale italiana cala, secondo i dati dell’Istat, del 3% nel 2013 e quindi, se ne deduce, che si comprime la struttura stessa del salario, si aumenta il ricorso agli ammortizzatori sociali e alle delocalizzazioni. Quando questo non può essere messo in pratica uno di questi piani strategici di taglio del costo della produzione, allora si interviene oltre le regole stabilite dalle parti in causa: Electrolux, ma anche la ex Fiat ora Fca sono l’esempio più lampante della normale assenza di qualunque scrupolo anche meramente tecnico nel trattare la mano d’opera dei lavoratori e delle lavoratrici.
Il sindacato diventa un elemento esterno, quasi avulso dal contesto e le lotte operaie e degli altri comparti lavorativi sembrano così lontane fra loro da non riuscire a produrre nessun fenomeno di opposizione di massa.
Il condizionamento dettato dalla miseria sociale che dilaga porta alla deriva populista e all’incontro della rabbia con forze che inneggiano all’aiuto alle piccole imprese da un lato e alla sovversione dei princìpi democratici dall’altro.
Regna una gran confusione e i confini ideologici, politici, sociali, quindi anche culturali sono completamente saltati e non hanno più alcun valore i messaggi di invito all’unità della lotta, di ricomposizione di un fronte progressista che incarni le necessità dei più deboli e rivendichi politicamente per loro nelle dovute sedi istituzionali politiche di riforma e di ristrutturazione della distribuzione della ricchezza in loro favore.
Invece i governi si dedicano, in nome dell’austerità e della quanto prima riacquisibilità di una stabilità economica e di un benessere impossibile per tutti, a favorire la defiscalizzazione e detassazione dei profitti e dei capitali, vertendo ancora una volta il disegno di recupero delle risorse dalle tasche di chi non riesce davvero a sbarcare alcun lunario…
La crisi del governo guidato da Enrico Letta non poggia su una legge elettorale, ma poggia sulla necessità dei mercati di mettere alla guida dell’esecutivo un nome alla moda e una figura che genera una sorta di pacificazione sociale come quella di Matteo Renzi. Il vincitore fiorentino delle primarie nazionali del PD, il neo segretario di un partito centrista che qualche nostalgico dell’anticomunismo si ostina pervicacemente a definire “di sinistra”.
Renzi è l’uomo nuovo della nuova stagione di controllo dei mercati sulla politica italiana che deve convincere la popolazione a darsi al sacrificio ancora una volta, a mettersi sull’ara del giudizio divino. Peccato che il giudizio divino non c’entri nulla, come dicevo all’inizio e peccato che ancora una volta molti cittadini scambieranno lucciole per lanterne. Per poi accorgersi che il brillare della lucciola dura una notte soltanto… Ma, del resto, la lanterna della sinistra è ancora lontana da potersi intravedere.
La speranza suscitata da Alexis Tsipras ha innescato un motore aggregante certamente positivo. Ora dal centro di Roma questa amalgama di diverse tensioni, emozioni, culture, impostazioni ideologiche e di tattica e prospettiva deve trovare presto una sintesi per affrontare il cammino proprio in quella Europa che è dominata dai potentati economici che siedono anche nel Gruppo Bielderberg e in altre associazioni di controllo consensuale delle dinamiche capitalistiche mondiali.
Una sinistra come quella di Syriza fa e deve fare paura a questi signori. Costruirla anche in Italia deve essere la nostra immediata, giusta e sacrosanta ambizione. Se vogliamo, possiamo spuntarla.
Marco Sferini |

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