La denuncia del procuratore: «Se lo Stato è assente, la ‘ndrangheta vince»

Giuseppe Borrelli, il magistrato che ha coordinato l'operazione "Plinius" a Scalea

Giuseppe Borrelli, il magistrato che ha coordinato l’operazione “Plinius” a Scalea

 

Il caso Catanzaro , con solo sei giudici nella sezione indagini preliminari e soltanto cinque pm antimafia, non è degno di un Paese civile. A dirlo a “l’Espresso” è il magistrato Giuseppe Borrelli, arrivato a Napoli per ricoprire il ruolo di procuratore aggiunto dopo l’esperienza calabrese segnata da successi nella lotta ai clan.  Il periodo di Borrelli nella procura antimafia del capoluogo calabrese sarà infatti ricordato per i risultati ottenuti e le batoste inflitte alle cosche e a molti colletti bianchi.

«Sono andato via non perché mi sia arreso, ma per tornare nella mia città, Napoli. Ma posso dirle che già intravedevo il mutamento di quelle condizioni eccezionali che avevano permesso alla distrettuale antimafia di Catanzaro e all’ufficio gip di produrre ottimi risultati. Per sconfiggere  la ‘ndrangheta, che non è invincibile, sono necessarie scelte drastiche», osserva Borrelli che nel periodo calabrese ha subito anche tentativi di delegittimazione da personaggi che poi sono finiti nella rete degli investigatori per complicità con i boss.

«Se lo Stato è assente, la ‘ndrangheta vince. Per questo è necessario assicurare continuità alle indagini. Non è possibile pensare che cinque sostituti procuratori possano fare il lavoro di dieci. Capisco anche le scelte dei colleghi che dopo un certo periodo decidono di andarsene. Ma bisogna assicurare che quei posti vengano occupati al più presto. Per questo credo però che vadano cambiate le piante organiche. A Catanzaro siamo andati via in quattro e sono arrivati solo in due. E parliamo di una distrettuale antimafia con inchieste delicatissime e in un territorio rovente del punto di vista criminale», prosegue il procuratore che dà atto al capo della procura calabrese Vincenzo Lombardo dell’ottimo lavoro svolto, riconosciuto anche dalle ispezioni ministeriali.

Insomma, la voglia di sacrificarsi c’è, mancano le forze. «Degli organici dovrebbero occuparsene al ministero della Giustizia, è una questione che potrebbe potenziare molto la lotta alle cosche. È anche vero che si è persa un’occasione quando è stata fatta la riorganizzazione dei vari tribunali del distretto, si doveva pensare a dare più forza alla procura e al tribunale di Catanzaro. Così non è stato. Si è seguito un principio ragionieristico. Senza considerare che per istruire un processo di mafia sono necessari tempi più lunghi, maggiori energie e risorse. Dico che bisognerebbe guardare alla qualità dei procedimenti in capo a un ufficio e non solo alla quantità».

Se la carenza di organico in procura è grave, la mancanza di un numero adeguato di giudici per le indagini preliminari, che esaminano le richieste di arresto dei mafiosi e non solo, «è intollerabile», secondo il magistrato. «Sarebbe necessario aumentare il numero previsto nelle piante organiche e prevedere dei meccanismi di incentivazione per chi sceglie certe procure, così da coprire all’istante i posti vacanti. Non è possibile che ogni bollettino dei trasferimenti del Csm faccia cadere nella disperazione gli uffici giudiziari. Un esempio: il processo conosciuto con il nome Genesi (primo grande processo contro le cosche di Vibo Valentia, che ricade sotto il distretto di Catanzaro) è durato 17 anni. Sì ha capito bene, quasi vent’anni per processare la ‘ndrangheta perché i giudici cambiavano in continuazione e ogni volta bisognava cominciare da capo». Alla faccia dell’antimafia dei fatti.

Fonte: http://espresso.repubblica.it/attualita/2014/07/03/news/antimafia-a-catanzaro-situazione-intollerabile-1.172133?ref=fbpe

Foto: web

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