BRIGANTE

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Il brigante è inteso, genericamente, come bandito, persona la cui attività è fuorilegge. Spesso sono stati definiti briganti, in senso dispregiativo, combattenti, partigiani e rivoltosi in determinate situazioni sociali e politiche. I briganti di cui si parla sovente sono quelli del periodo postunitario, che insorsero a causa delle problematiche irrisolte con l’insediamento della monarchia sabauda, a seguito dell’annessione del Regno delle Due Sicilie.

Etimologia

Il termine brigante, seppur derivi dalla parola “brigare” di cui condivise originariamente i significati di “praticare”, “lavorare”, “trovarsi insieme”, ha assunto progressivamente, soprattutto in Francia, la connotazione di “fuorilegge”, che oggi prevale. È nel 1410, che si attesta il lemma francese “brigandage”, ma è solo nel 1829 che viene riscontrato in Italia come neologismo.

Carmine-Crocco-emblema-del-brigantaggio-in-Basilicata

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Ancora oggi in Russia si cantano e si ballano, in opere folkloristiche, le gesta di gruppi di briganti guidati da Stenka Razin, intorno al 1670. Razin e le sue bande armate di contadini e di avventurieri rivendicavano diritti sociali, quali l’eguaglianza e l’abolizione di privilegi.

“Briganti” vennero detti dai francesi anche i componenti dell’armata sanfedista riunita dal cardinale Fabrizio Ruffo che combatterono vittoriosamente contro l’occupazione francese e contro la Repubblica napoletana del 1799 (sostenuta, ma non riconosciuta, dalla stessa Francia). È in tal modo quindi, che, attraverso il francese, la parola “brigante” giunge in Italia poiché “con tal nome erano comunemente chiamati nell’anno 1809 coloro che nelle varie nostre province si sollevarono”.

Sono stati quindi spesso definiti briganti, in senso dispregiativo, non unicamente dei ‘delinquenti’, ma i combattenti e rivoltosi in determinate situazioni sociali e politiche e per brigantaggio poi si è teso a definire non solo una forma di banditismo caratterizzata da azioni violente a scopo di rapina ed estorsione, ma anche azioni che hanno avuto, in altre circostanze, risvolti insurrezionalisti a sfondo politico e sociale. In Italia spesso ci si riferisce a persone raggruppatisi nel Mezzogiorno per contrapporsi contro le truppe che portarono al compimento il processo di unificazione del Regno d’Italia dei Savoia. L’uso del termine “brigante” assimilato a “bandito” è stato anche impiegato contro i partigiani della Resistenza dalle forze d’occupazione naziste.

Sono stati, in definitiva nel tempo, spesso definiti briganti, in senso dispregiativo, non solo persone ‘dedicate’ alla criminalità, ma altresì combattenti e rivoltosi in determinate situazioni sociali e politiche. Nella storiografia sono definiti “briganti” i movimenti di Taiping, un gruppo di rivoltosi orientali, attivo dalla seconda metà dell’Ottocento.

Storia

Nell’Italia del 700-800 da Como alla Calabria i cittadini italiani si trasferivano, non dimenticando di salutare le persone a loro care e lasciare un testamento.

In quel periodo le strade erano pericolose per via dei briganti che in Italia non mancavano di certo, fin quando in seguito, il brigantaggio fu definito un fenomeno ed estinto dallo Stato Unitario. Enzo Ciconte racconta che nel 1559, dopo la fine delle guerre d’Italia, rimane un enorme numero di persone capaci di combattere ma non più abituate a lavorare i campi, molti di questi divennero bande di fuori legge.

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Ma questo non avvenne solo nell’Italia del Sud, bensì anche nel Veneto del 600, dove i soldati stipendiati da una misera paga, si prestarono ad atti di brigantaggio.

Il numero più elevato del brigantaggio ricade sulla Calabria del 500 dove la vita dei poveri e dei contadini porta a ad un accumulo di rancore che conduce il sollevamento della popolazione, al quale partecipano anche i monaci, e la irrefrenabile violenza nei confronti dei signori locali.

Alcuni briganti per svolgere ciò che desideravano, si servirono delle ostilità delle signorie locali come faceva anche l’abruzzese Marco Sciarra chiamato Flagellum Dei, il nemico numero uno dello Stato della Chiesa. Non mancarono anche altri briganti che si fecero difensori dei Nobili, come il ciociaro Francesco Marocco soprannominato Tartaglia che si prestò al servizio di Paolo Giordano Orsini.

Oppure Pietro Mancino che rendendosi a favore dei francesi e del Pontefice, risultò fastidioso al Regno di Napoli.

Secondo quanto scrive Ciconte, in quel periodo pur di estirpare il brigantaggio si era propensi a ricorrere ad ogni mezzo, infatti era comune trovare sui cigli delle strade i corpi morti dei briganti o parti di essi, delle brutali scene al quale tutti credevano che quel modo di fare fosse stato un esempio per chi avesse notato i resti, questo durò fino alla vigilia dell’Unità d’Italia.

Ma ciò non fece cambiare idea ai briganti del sud, i quali riuniti in bande si spacciarono per esercito di liberazione, ad esempio in Abruzzo i briganti combatterono al fianco dei Sanfedisti per rimandare ai Borbone il regno che avevano perso con i Francesi. Ciconte scrive che a Itri il brigante Michele Pezza soprannominato Fra Diavolo, durante il breve ritorno dei Borbone a Napoli mantiene il grado di colonnello, ottiene poi una pensione e la nomina di Duca di Cassano, tornati i francesi lo impiccarono.

Murat notò che i Borbone e gli Inglesi si servivano dei briganti e decise di non accettare più quella situazione, concedendo carta bianca al generale Charles-Antoine Manhès che decise di fare una guerra di sterminio.

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Lo stesso evento avvenne quando giunsero i piemontesi, che volendo comandare più di prima, accesero un rancore nella popolazione del sud, un altro motivo che provocò disprezzo nel Mezzogiorno fu il fatto che i piemontesi vollero unificare l’Italia, ma i giovani borbonici non avevano intenzione di andare sotto la bandiera dei Savoia.

Così i boschi divennero pieni di briganti, i giovani si rifugiarono in essi perché non volevano divenire soldati piemontesi, decidendo la vita da brigante, altri come ufficiali borbonici ritornarono in paese e trovarono lavoro nell’esercito piemontese, mentre l’esercito garibaldino venne sciolto.

Secondo Ciconte il brigantaggio della provincia di Reggio Calabria, Puglia, Abruzzo, Basilicata, non sono stati dovuti a gesta camorristiche, nemmeno in Campania dove il brigantaggio comprendeva la Terra di Lavoro e dei Principati, ad eccezione della città di Napoli che è il centro della camorra.

Lettere dei briganti

I briganti non si limitarono ad scrive lettere di richiesta e di minaccia, alcune lettere sono presenti nel saggio “Piemontisi, Briganti e Maccaroni” di Ludovico Greco .

Lettera riferita al sindaco di Balsorano;

Signor Sindaco. Alla vista della suddetta si alzi la voce del vostro augusto, sovrano, e si togliono le bandiere di Savoi, e si alzano quelle di Francesco Borboni se non altrimenti il paese sarà dato saco e fuoco e pronte di trovare duemila razioni di pane e formaggio, pronti nella mia venuta in Balsorana. 30 giugno 1861. (Tenente generale in capo Chiavone)

Lettera riferita ad un certo don Francesco;

Carissimo don Francesco, al momento mi dovete mandare la somma di Ducati due mila (2000), senza mancare un giorno i quali dovete ancora a mio padre e suo compagno Coppa. Dovete mandarli metà d’oro e metà d’argento e mandare anche due botti e vi raccomando di mandarli subito, seno vi mando all’elemosina. Senò vorrei morire disgraziato e lo giuro davanti a Dio. Infine, poche parole e fatti assai. Allora se conosce il nome del generale. (Carmine Crocco Donatelli)

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Lettere dei sequestrati

Alcune lettere scritte dai sequestrati, le seguenti lettere sarebbero state pubblicate anche nel periodico trimestrale “Vicum” nel 2000.

Mia cara moglie …sono recapitato nelle mani dei briganti, pretendono da me ducati seimila se non mi mandate detta somma verrà la mia testa da voi. Vi raccomando massima secretezza, e non fare muovere la Guardia o altra forza del Paese perché vedendo uomini di forza potrò essere ucciso…

Cari genitori Vi prego di mandarmi al più presto possibile la somma di dotati Ventimila se volete rivedermi nella paterna casa. Io soffro i più grandi disaggi, dormo sul nudo suolo, stiamo eternamente digiuni… Mandate dunque il denaro se non volete che sia mutilato di un orecchio…

[…]

Settembre-1863-un-bersagliere-mostra-il-cadavere-del-brigante-Nicola-Napolitano-dopo-la-fucilazione

Briganti e partigiani

L’identificazione di un determinato gruppo di combattenti o partigiani con termini quali brigante o bandito dipende in buona parte dal punto di vista della potenza che, detenendo il monopolio della forza e della legge, s’impone sul territorio interessato dalla ribellione, con l’obiettivo di screditarla ed isolarla dal suo tessuto sociale. Quando i libri di storia sono scritti dai vincitori, questi possono assumere questo punto di vista nei confronti dei vinti, a giustifica dell’opera di repressione nei loro confronti. In queste circostanze, i testi della storia ufficiale possono differire dai fatti come oggettivamente avvenuti, risultando fonti poco attendibili.

Alcuni di questi briganti guadagnarono in alcuni casi fama e appoggio dalla popolazione assumendo, nella cultura contadina e nella letteratura, un carattere a volte leggendario, come ad esempio avvenne nel caso dei cangaçeiros, che per circa 70 anni agirono nel Nordest del Brasile.

Infine, ulteriore esempio di quanto controverso possa essere l’uso di termini come “brigante” e “bandito” è il fatto che i partigiani della Resistenza venivano comunemente definiti banditi dalle forze d’occupazione naziste e come tali trattati.

Son stati definiti “briganti” anche i praedones della Roma repubblicana, sebbene tale parola, data la propria forte valenza storica, non appaia appropriata per quel contesto.

Fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Brigante

Foto web

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Il testo andrebbe rivisto nella forma e nel contenuto.

Ho preferito però lasciarlo così come l’ho trovato.

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