QUELLI CHE… negli anni ’70

Un gol di Riva

Un gol di Riva

Quarant’anni indietro per consumare meno e vivere meglio

In una scena di Marrakech Express, uno dei protagonisti dice: “siamo l’ultima generazione ad aver visto la tv in bianco e nero”.

Io sono di quelli. Cioè, non sono Diego Abatantuono bensì uno dei ragazzi cresciuti in un’epoca in cui tutto era in bianco e nero, la televisione, i giornali, la moda, le città: gli anni settanta. Ma, oltre ai pantaloni a zampa di elefante, tra le meraviglie di quel periodo vi era la quotidiana sensazione di essere ad un passo dall’apocalisse. O la terza guerra mondiale, pronta ad esplodere per uno sventolio di mutandine femminili sul Muro di Berlino; o la fine improvvisa del petrolio o l’arrivo dei marziani vestiti da Rockets. Paure serie e ben fondate. All’epoca c’erano terroristi seri: i brigatisti, i palestinesi, i molucchesi, che avevano un nome da Star Trek e non si capiva perché ce l’avessero con noi.

Questa premessa non per indulgere nella nostalgia del quarantenne, genere letterario piuttosto consunto oltre che imbarazzante, collegato a calvizie precoce e pancia prominente, bensì per fare un esperimento mentale. Ovvero. Negli anni settanta la famiglia media italiana era definitivamente uscita dalla povertà ma non aveva ancora raggiunto gli attuali ed insostenibili livelli di consumo. Se non sobria per volontà, lo era per mancanza di possibilità.

Certo, sarebbe bello tornare alla vita bucolica ma a parte il fatto che non tutti possono permettersi una fattoria con annessi servi della gleba, per motivi economici, se non etici, possiamo scegliere di consumare meno senza essere costretti a mungere la vacca alle quattro del mattino per fare colazione. Gli anni settanta possono essere allora il punto di equilibrato tra le nostre esigenze e quelle sociali ed ambientali.

Limitiamoci ad una regressione allo stadio infantile del consumismo. Immaginiamo di tornare al livello di consumi esistenti il 2 gennaio 1977. Perché questa data? Ecologista sì, masochista no. Il primo gennaio vennero inaugurate le trasmissioni a colori della Rai e vorrei almeno vedere le partite a colori.

Per cominciare, facciamo sparire da casa tutti gli elettrodomestici inventati nel corso degli ultimi trent’anni. Non si tratta poi di gran cosa. A parte la televisione, la grattuggiera elettrica e la lavatrice erano già stati inventati. Il frigorifero dovrà essere del tipo più semplice possibile, alto la metà di oggi, con una sola maniglia, senza defrost e con un piccolo scomparto dove ci sarà posto per un ghiacciolo. Niente surgelatori da macelleria, niente condizionatori, niente televisori al plasma, no cellulari, computer, ipad, ipod, playstation. Vi concedo l’aspirapolvere ma non la lavapiatti. Il televisore deve essere unico per tutta la casa, massimo 21 pollici e senza telecomando. Nessun pericolo di conflitto tra i componenti della famiglia, perché l’apparecchio dovrà avere solo due canali. Nel 1977 non c’era scelta. Rai1 e Rai2. Punkt. Ignoro i particolari tecnici ma chiamate un buon antennista (non il presidente del Milan) per chiedergli di oscurare tutti i canali tranne due, da scegliere a caso. Se l’antennista vi lascerà solo Telemaria e I programmi dell’accesso, la vostra esperienza anni settanta sarà più ricca.

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Probabilmente la rinuncia più gravosa sarà lo sport in televisione. A quei tempi le partite si vedevano in novanta secondi in formato surreale. Tanto duravano i servizi di 90° minuto con gli sbalorditivi commenti di Tonino Carino da Ascoli, Giorgio Bubba da Genova e Luigi Necco da Napoli. Vi è un solo modo per tornare a quell’epoca. Andare allo stadio. Armatevi di pazienza, di bottigliette di cognac per le partite invernali e di un passamontagna per non farvi riconoscere dalla DIGOS.

Svaghi. Negli anni settanta i divertimenti erano poco variati. Il sabato sera a cena con gli amici, la domenica a pranzo con i parenti, il bar, la partitella di calcio (il calcetto non era ancora stato inventato) il mercoledì sera al circolo dei contusi, eccetera…. beh, proprio come adesso. I bambini, naturalmente, vanno mandati a giocare all’oratorio, nell’ultimo campo di calcio gratuito della città. A casa sono proibiti playstation, wii ed internet. Si gioca a carte, a Monopoli e a Subbuteo.

I consumi alimentari devono tornare ai genuini sapori dell’epoca quando i fosfati erano di prima scelta. Niente bio, diet, light. Basta con le pappe reali, le salsicce di soya, i gamberetti vietnamiti, kiwi, papaya e avogado. Si mangia solo italiano. Quarant’anni fa il sushi si chiamava pesce crudo ed evocava l’epidemia di colera a Napoli del 1973; l’hamburgher si chiamava polpetta; la cucina cinese entrava nella vasta categoria delle cose di cui non volevamo sapere nulla; l’acqua minerale non esisteva e si ravvivava l’acqua di rubinetto con l’idrolitina.

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Ci si muoveva con auto minuscole. Chi ha più di quarant’anni ricorderà con affetto (e residuali attacchi di sciatica) i lunghissimi viaggi sugli ammortizzatori della Fiat 127. Quelli che avevano un’auto straniera (la Citroen 2CV) erano figli dei fiori o (Mercedes) autentici evasori fiscali. Nell’impossibilità di riesumare l’asfittica 127 dello zio, si opta per un surrogato, una di quelle macchinette per sedicenni figli di papà e nonni senza più certificato medico per la patente. In ogni caso, si torna all’unica auto per famiglia. All’epoca non c’era la smart per andare al lavoro, la golf per portare il bambino a scuola e il SUV per le vacanze in montagna. Inoltre l’auto la usava solo il papà, solo lui, tenendola in religiosa adorazione tra la statuina condominiale della Madonna e il pilastro di cemento armato del garage incompleto.

Si va a fare la spesa nel negozio sotto casa. I bambini vanno a piedi alla scuola di quartiere e peggio per loro se è frequentata da teppisti. Un po’ di violenza tra ragazzi non ha mai impedito la crescita. Si diventa psicopatici solo con il Grande fratello. Ovviamente, quando si va fuori città, si guida solo sulle statali. Non ci si ferma al bar e per merenda si mangia quello che ci si porta da casa, pizza e mortadella e il mitico tè al limone.

Quarant’anni fa le vacanze erano un affare semplice. Il resort era cosa da James Bond, un luogo mitologico dove uomini cinquantenni dal fisico perfetto incontravano donne ventenni perfettamente scolpite tra un’oliva e l’altra del martini (il concetto di mojito era ancora nell’alto dei cieli). Non si andava all’estero. L’Italia era circondata da paesi ricchissimi dove tutto costava enormemente di più: Francia, Svizzera e Austria. Più poveri di noi, anche all’epoca, erano i greci, ma c’era un mare da attraversare. La Spagna era al di là delle colonne d’Ercole francesi, irraggiungibile, franchista e le donne non avevano ancora scoperto la depilazione. Alla portata degli italiani restavano solo i paesi comunisti, dove tutto era proibito e le donne leggendariamente disponibili. Ma ci voleva il passaporto e in questura ci mettevano due mesi per dartelo. Altro che last minute.

reldFd0Sì, perché negli anni settanta non si partiva all’ultimo minuto per visitare il Nepal in una settimana. Il viaggio all’estero era una scelta di vita. Chi partiva per Aosta, poi alla fine si trovava a Kathmandu. In ogni caso, l’aereo costava un botto. Quindi niente viaggi a Sharm-el-Sheik, niente maratona di New York, niente lowcost, niente vacanze erotiche a Cuba, a meno di non partecipare a un campo di lavoro della gioventù comunista. In vacanza manderete i figli, sulla spiaggia più economica dell’Adriatico, accompagnati dalla moglie. Voi passerete luglio in città vivendo come a quell’epoca: niente estate romana, niente cineteatri all’aperto, niente calcio. Per passare il tempo cercatevi un’amante. Ma senza utilizzare meetic.

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Convinti? Allora spegnete il computer, il cellulare, l’Ipad, lo smartphone, il Kindle. Prendete il giornale e assettatevi sul divano comodamente. Tornate a sfogliare la carta invece di muovere un mouse. Le notizie sono ugualmente orribili ma invece di distruggere lo schermo per la rabbia, potrete appallottolare il giornale e buttarlo fuori dalla finestra. Dopodiché chiamerete il vostro migliore amico al telefono di casa per parlare di donne invece che postare video porno su Facebook.
Anch’io sto per cominciare. Questo è il mio ultimo articolo su L’Undici. Il prossimo sarà ciclostilato e appeso come un dazebao sui muri di casa mia. Mi leggerà il portiere di fronte, la domestica filippina e l’idraulico. Tre persone. Lo stesso numero di persone che visitano il mio profilo su Facebook …

 

Fonte: http://www.lundici.it/2011/10/anni-settanta-cera-piu-gusto/

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