CALABRIA: ritrovamento di una significativa popolazione di camaleonti mediterranei (Chamaeleo chamaeleon, Limneus 1758)

 

 

 

La biodiversità del territorio calabrese continua a riservare sorprese come sembra evincersi da una notizia che, se ulteriormente  confermata da uno studio più attento e scrupoloso, va ad aggiungere un altro tassello al già ricco mosaico della fauna locale. Si tratta del ritrovamento di una significativa popolazione di camaleonti mediterranei (Chamaeleo chamaeleon, Limneus 1758), unica specie europea di un animale normalmente associato nell’immaginario collettivo solo a contesti esotici (la troviamo peraltro anche in Nord Africa e nel Sud-Est Asiatico). La novità risiede nel fatto che di questa specie mediterranea, ufficialmente segnalata per l’Europa solo in Spagna, in Grecia, a Malta e, da qualche tempo, anche in Puglia, non risultava alcun ritrovamento degno di nota sul territorio calabrese.

 

Ad effettuare la scoperta alcuni giovani originari di Reggio Calabria e della Sicilia, studenti presso la facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università di Messina. Si tratta di Antonino Marcianó, Paola Sgroi (entrambi laureandi in Veterinaria), Emanuele Galletta, Francesco Cavallaro, Umberto Schiavone e Alessandro Bonelli (studenti) che da qualche tempo hanno costituito un gruppo di ricerca sul campo dal bizzarro nome di Reptile Hunter, titolare di una pagina Facebook seguita da oltre 64 mila persone. In realtà di ”hunting” (“cacciare”, nel senso letterale e negativo del termine) nella loro attività non c’è nulla, visto che opportunamente si limitano soltanto a localizzare, osservare e a fotografare varie specie di rettili nel loro ambiente naturale.

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Li abbiamo contattati e ci siamo fatti raccontare come è nata questa ricerca dei camaleontisul territorio calabrese: “Stavamo cercando i camaleonti da almeno 5 anni – racconta Antonino Marcianòvisto che venivano citati in una pubblicazione scientifica ma anche segnalati da alcuni amici della zona che sostenevano di averli visti. Purtroppo come si puó immaginare sono molto difficili da individuare. Noi siamo stati fortunati perché abbiamo trovato le condizioni meteorologiche giuste ed un luogo davvero ”affollato” di questi animali. Abbiamo infatti scoperto d’un colpo ben 7 esemplari, dei quali 2 giovani, due maschi adulti e 3 femmine gravide.”

Esemplare di femmina gravida di camaleonte mediterraneo – Ph. courtesy of Reptile Hunter

 

Circa il punto di vista degli erpetologi sull’argomento, Antonino ha affermato che “nel corso dell’ultimo ventennio, nell’ambiente erpetologico più volte si è parlato dell’ipotesi di una possibile presenza del Camaleonte in Calabria, Sicilia e Puglia, tuttavia le segnalazioni assai sporadiche erano state ritenute dagli esperti del settore come “dubbie” o quantomeno avevano fatto pensare che ci si trovasse di fronte a delle introduzioni accidentali quindi ad animali sfuggiti a qualche collezionista o animali trasportati involontariamente magari con qualche carico di legname. In entrambi i casi tutti erano d’accordo sul fatto che gli animali non sarebbero sopravvissuti all’inverno e che mai e poi mai si sarebbero riprodotti nel nostro ambiente naturale.” Ad incuriosire però qualche anno fa il gruppo di studenti – aggiunge Antonino – è stata “una pubblicazione scientifica nella quale si afferma che dal 1994 al 2007 sono stati censiti in Calabria 4 esemplari e che essendo innocui per il nostro ecosistema sono da difendere.”

Da qui l’esigenza di perlustrare il territorio alla ricerca del bizzarro animaletto dai movimenti lenti e dalla lingua elastica utilizzata per catturare gli insetti dei quali per lo più si nutre. Una ricerca molto fruttuosa stando alla cospicua popolazione scovata in una località ad una cinquantina di km da Reggio Calabria, tenuta debitamente segreta. I ragazzi sospettano che i 7 esemplari ritrovati non siano gli unici della zona perchè – spiega Marcianò – “considerando che la specie raggiunge la maturità sessuale in un anno d’età, il numero degli esemplari individuati, il fatto che le femmine depongano fino a tre volte l’anno con deposizioni che possono contare fino a 40 uova, le ben note capacità di mimetismo della specie, la vastità del territorio e il fatto in quel luogo non ci siano numerosi predatori per la specie, pensiamo che che la popolazione in toto sia costituita da migliaia di esemplari che vivono lì tranquillamente da centinaia di anni.”

 

 

 

 

 

 

Esemplare di femmina gravida di camaleonte mediterraneo – Ph. courtesy of Reptile Hunter

Il colore dei camaleonti mediterranei è tendenzialmente grigio-verde ma nelle immagini inviateci dal gruppo di giovani calabresi compaiono anche alcuni esemplari di diversi e vivaci colori:gli esemplari dai colori sgargianti– spiega Marcianò – sono femmine gravide. Assumono quella colorazione appunto durante la gravidanza…Non si vedono spesso foto di esemplari del genere perchè generalmente è più facile incontrarli in primavera che in autunno”.

Inevitabile la domanda finale su quale sia il rapporto degli abitanti del posto con questi animali, ma innanzitutto se ne conoscevano da tempo la presenza: “Molta gente della zona afferma che i camaleonti sono lì da sempre. Circa invece il rapporto con essi, abbiamo riscontrato un doppio atteggiamento: c’è la gente sensibile a cui sta a cuore la difesa di questi animali ma non mancano quelli che se li incontrano li uccidono. Eppure sono del tutto innocui sia per l’uomo che per l’ambiente!” L‘unica vera minaccia, come spesso accade, è dunque l’uomo: “certo…con incendi, deforestazione, un eventuale raccolta meccanizzata delle olive e l’impiego di pesticidi.” Di fronte a questa prospettiva i ragazzi di Reptile Hunter si sono ora attivati per cercare di contribuire alla salvaguardia di questa specie così rara: “Ci stiamo mettendo in contatto con le autorità della zona  – conclude Marcianò – e stiamo cercando di trovare insieme una soluzione che garantisca la sopravvivenza di questa specie, tanto bella quanto delicata.”

LE TEORIE SULL’ORIGINE DELLA LORO PRESENZA NEL SUD E IL CASO PUGLIESE

Camaleonte mediterraneo in una tavola illustrata di un atlante tedesco,1780-1789 - Ph. Biodiversity Heritage Library | CCBY2.0

Camaleonte mediterraneo in una tavola illustrata di atlante tedesco del ‘700 – Ph.Biodiversity Heritage Library | CCBY2.0

Se in Sicilia – pur ritenuta possibile terra di camaleonti mediterranei, probabilmente importati dal Nord Africa dai Fenici o dai Saraceni – la loro presenza continua a rimanere dubbia (si parla di presunti avvistamenti nell’area nord-occidentale dell’isola), in Puglia viene viceversa data per certa come riferiscono l’ambientalista Oreste Caroppo e il Commissario Capo del Corpo forestale dello Stato Sandro D’Alessando, i quali hanno più volte toccato l’argomento in scritti diffusi sulla Rete. Caroppo definisce il camaleonte “un animale autoctono, anche se rarissimo, presente in natura nel Salento, nel sud della Puglia, dove si riproduce spontaneamente” e racconta di “un nucleo ritrovato negli anni passati in contrada Arneo, l’ultima vasta contrada aggredita dall’azione distruttiva dell’uomo ma ancora detentrice di alcuni interessanti relitti floro-faunistici da salvaguardare e ridiffondere”.

Il ritrovamento sarebbe stato effettuato nel 1987 dallo studioso Roberto Basso* nelle campagne di Nardò (Lecce) e dopo le prime perplessità e il sospetto che fossero animali sfuggiti alla cattività, sarebbe stata individuata un’area in cui i contadini li ricordano da sempre e anzi, diversi di loro, incontrandone uno tendono ad ucciderlo, secondo il discutibile trattamento tradizionalmente riservato ai rettili. Questa specie – afferma Caroppo – è diffusa a macchia di leopardo e in passato, prima cioè che l’ambiente subisse profonde alterazioni, nell’Europa meridionale dovette avere una diffusione molto più omogenea . Del resto – aggiunge – la sua presenza è accertata in Nord Africa, area affacciata sul Mediterraneo, quindi nulla di più semplice che, come tante altre specie animali, in epoche remote sia ”transitata” verso le nostre regioni. Caroppo ritiene inoltre di intravedere riferimenti al camaleonte anche in alcuni aspetti etnografici della cultura salentina, citando il termine ”dracuddhi” (cioè draghetti) con cui i camaleonti sarebbero definiti nei borghi salentini di lingua grika, oppure richiamandosi al mito del”fasciuliscu”, tipico del basso Salento e soprattutto della zona di Maglie. Si tratta di una trasposizione salentina del mitico basilisco dei bestiari medievali, animale mostruoso nato dall’uovo eccezionalmente deposto da un gallo e dotato di uno sguardo fatale. Un mito così presente nel Salento da essere scelto come emblema di un paese, quello di Sternatia. Più in generale, a sostegno del carattere autoctono di questa specie in Europa, Caroppo cita infine uno studio di Krystal A. Tolley ed Anthony Herrel edito nel 2014 dall’Università della California, nel quale si riferisce di fossili di Camaleonte mediterraneo ritrovati in Spagna e risalenti all’Olocene.

Su posizioni in parte analoghe anche Sandro D’Alessandro, che colloca il camaleonte mediterraneo nel gruppo di quegli animali quasi estinti (o del tutto estinti) nel Salento a causa delle profonde modificazioni subite dall’ambiente, e cita i casi di specie come il ghiro, il moscardino, il quercino, il topo selvatico dal collo giallo, la martora, il gatto selvatico, ecc. Anch’egli rievoca il mito del basiliscoin rapporto al camaleonte, convinto che certe leggende altro non siano che trasposizioni alterate dalla fantasia popolare di caratteristiche fisiche e comportamentali di animali realmente esistenti ma considerati bizzarri o dannosi dal popolino ignorante. Anche D’Alessandro cita il ritrovamento compiuto da Roberto Basso* in anni recenti e lo definisce “documentato” e “seguito da numerosi altri, avvenuti tutti in una circoscritta area in agro di Nardò”. Cita inoltre un’informazione ricevuta in via confidenziale secondo la quale “prima del rinvenimento ‘ufficiale’ del 1987 ne era avvenuto almeno un altro, prontamente seguito dall’uccisione dell’animale, di cui il ritrovatore non aveva la minima cognizione”.  A distanza di tempo – aggiunge D’Alessandro –  accertatosi della specie di appartenenza e della innocuità dell’animale, lo stesso scopritore ne rinvenne un secondo, stavolta consegnato al Museo di Storia Naturale di Calimera. Questo ulteriore ritrovamento permise di accertare che nella zona “esisteva una popolazione vitale di Camaleonti, e che pertanto il rinvenimento di animali di quella specie non poteva essere riconducibile ad una fuga da qualche terrario”. Da allora – conclude –  diverse persone percorsero in lungo e in largo la zona di Nardò alla ricerca di camaleonti, ritrovandone in gran numero, sia vivi che morti (i ritrovamenti sarebbero stati di preciso 21, ma non sarebbe da escludere un numero maggiore).

Circa la possibile origine, D’Alessandro evidenzia che se il ristretto areale dei ritrovamenti lascerebbe propendere in prima battuta per una introduzione umana recente, e la scarsa mobilità della popolazione potrebbe spiegare perchè questa sia rimasta nei pressi del luogo di introduzione,  d’altro canto si reputa convinto che l’arrivo di questo animale possa invece farsi risalire ad epoca molto remota (come testimonierebbero anche le leggende richiamate prima, alle quali va aggiunta anche la curiosa presenza dell’animale scolpito in pietra sulla facciata di un palazzo seicentesco di Lecce) e che il territorio di Nardò sia risultato particolarmente favorevole alla sopravvivenza dei camaleonti importati, scomparsi poi per vari plausibili motivi da altre zone del Salento. Nel parlare di “importazione” D’Alessandro allude ad introduzioni involontarie da parte dell’uomo (in epoche in cui non esisteva la moda di collezionare animali esotici) magari a  seguito del legname importato per la costruzione di navi, ed ipotizza Creta (sicura sede odierna di camaleonti mediterranei) come probabile luogo d’origine tramite i rapporti commerciali con il porto della Taranto magno greca. Una teoria per certi versi analoga a quella formulata dal citato Roberto Basso, che pure richiama un possibile arrivo dell’animale in Salento attraverso l’importazione via mare di legname, ma lo riconduce a non più di due secoli fa e ai contatti col porto di Gallipoli. Quindi in entrambi i casi il camaleonte, giunto suo malgrado nel Salento, sarebbe sopravvissuto fino ai giorni nostri, vincendo gli incendi, le alterazioni fisico-chimiche dell’ambiente e l’irrazionale paura dell’ignoto degli antichi Salentini e, infine, anche il deleterio collezionismo di animali rari.

A tal ultimo proposito è giusto ricordare che il camaleonte è protetto dalla Convenzione sul commercio internazionale delle specie minacciate di estinzione, e, per quanto riguarda l’Italia, ne è vietata l’importazione da qualsiasi Paese, potendosi detenere solo esemplari provenienti da allevamenti (quindi anche il possesso di eventuali esemplari catturati in Italia deve ritenersi fuori legge). Dopo l’acquisto, bisogna registrare l’esemplare su un apposito registro consegnato con l’animale, periodicamente controllato da ispettori che accertano la corrispondenza fra il numero di animali dichiarati sul registro e quello degli animali realmente posseduti.

SCOPERTO IL SEGRETO DEL MUTAMENTO DI COLORE NEI CAMALEONTI

Nel riportare la notizia del recente rinvenimento dei Camaleonti mediterranei in Calabria, non potevamo non ricordare una importante scoperta scientifica divulgata pochi mesi fa e cioè quella che spiega il meccanismo che presiede alla nota capacità dei camaleonti di mutare colore; una proprietà vitale perchè consente ad essi di mimetizzarsi e di interagire con i loro simili. Si tratta di un meccanismo fisiologico davvero unico nel regno animale, che risiede nella particolare struttura della pelle di questi rettili. Essa è infatti costituita da due strati di cellule di forma diversa, in grado di orientarsi e di riflettere la luce in modi differenti. A scoprirlo, e a pubblicarlo sulla rivista Nature Communications, un gruppo di studiosi dell’università di Ginevra coordinato da Michel Milinkovitch. A differenza di altri animali, i camaleonti non cambiano colore accumulando o disperdendo i pigmenti nelle cellule della pelle, ma appunto utilizzando il loro doppio strato di cellule, che hanno forme e comportamenti diversi in ciascuno dei due strati. Il segreto è dunque nelle modalità di interazione fra la luce e queste cellule. Quelle dello strato superficiale variano comportamento  a seconda che la pelle sia eccitata o rilassata: è un genere di strutture già studiate in natura – ad esempio in alcune specie di farfalle – che riescono a modificarsi, mutando la velocità di propagazione della luce. L’altro strato – vera novità per gli studiosi – è quello, profondo e sottile, specializzato nel riflettere la luce solare nel vicino infrarosso e potrebbe avere soprattutto la funzione di tenere al caldo i camaleonti.

di Redazione FdS

Fonte: http://www.famedisud.it/camaleonti-mediterranei-in-calabria-un-gruppo-di-studenti-li-ha-scovati-in-un-uliveto-del-reggino/

Foto web

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2 Replies to “CALABRIA: ritrovamento di una significativa popolazione di camaleonti mediterranei (Chamaeleo chamaeleon, Limneus 1758)”

  1. Giovanni Garritano ha detto:

    Il nome della specie va minuscolo. Perfavore

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