Gli arbëreshë in CALABRIA

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Gli arbëreshë (IPA: [ar’bəreʃ]), ossia gli albanesi d’Italia], detti anche italo-albanesi, talvolta greco-albanesi ed arbereschi, sono la minoranza etnolinguistica albanese storicamente stanziata in Italia meridionale ed insulare.

Provenienti dall’Albania e dalle numerose comunità albanesi della Morea e della Chameria, oggi nell’odierna Grecia, si stabilirono in Italia tra il XV e ilXVIII secolo, in seguito alla morte dell’eroe nazionale albanese Giorgio Castriota Scanderbeg e alla progressiva conquista dell’Albania e, in generale, di tutti i territori dell’Impero Bizantino da parte dei turchi ottomani. La loro cultura è determinata da elementi caratterizzanti, che si rilevano nella lingua, nella religione, nei costumi, nelle tradizioni, negli usi, nell’arte iconografica, nella gastronomia, ancora oggi gelosamente conservate, con la consapevolezza di appartenere ad uno specifico gruppo etnico.

La gran parte delle cinquanta comunità arbëreshe conserva tuttora il rito bizantino. Esse fanno capo a due eparchie: quella di Lungro per gli arbëreshë dell’Italia continentale e quella di Piana degli Albanesi per gli arbëreshë di Sicilia. La Chiesa italo-albanese, quindi le sorelle Eparchie bizantine, sono la realtà religioso-culturale fondanti e più importanti per il mantenimento dei connotati religiosi, etnici, linguistici, culturali nonché identitari della minoranza albanese in Italia.

Gli arbëreshë parlano l’antica lingua albanese (arbërishtja), variante del tosco, l’albanese parlato nell’Albania centro-meridionale, facente parte del gruppo delle lingue indoeuropee. La lingua albanese in Italia è tutelata dalla legge n. 482 in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche.

Si stima che gli arbëreshë siano circa 100.000[1][17]. Gli arbëreshë costituiscono una delle più importanti e consistenti tra le minoranze etno-linguistiche storiche d’Italia. Per definire la loro “nazione” sparsa usano il termine Arbëria

Storia

Prima della conquista da parte dell’Impero ottomano, tutti gli albanesi si identificavano con il nome di arbëreshë, e venivano chiamati albanens, arbër,arbëresh o arvanitos. A seguito dell’invasione turca e al disfacimento dell’Impero bizantino, molti albanesi, per la libertà, e per sottrarsi al giogo ottomano, giunsero in Italia. Da allora continuarono a identificarsi con il termine di Arbëreshë, diversamente da quelli d’Albania, che assunsero il nome di shqiptarëve(si confronti la parola albanese shqipë, presente nel nome locale del paese e della lingua).

Gli Arbëreshë, una volta distribuiti tra l’Albania, l’Epiro, i monti del Pindo e in Morea, nell’odierno Peloponneso (vedi Arvaniti), sono i discendenti della popolazione albanese sparsa in tutti i Balcani sud-occidentali. A partire dall’XI secolo piccoli gruppi di arbëreshë, con grandi abilità in campo militare, si spostarono verso la parte meridionale della Grecia (Corinto,Peloponneso e Attica) fondando alcune comunità.

Dettaglio di mappa etnografica dell’Italia del 1859, in cui sono indicate in verde le principali comunità arbereshe

Intanto, la loro bravura li aveva identificati come i mercenari preferiti dei Serbi, deiFranchi, degli Aragonesi, delle repubbliche marinare italiane e degli stessiBizantini. Nel XV secolo si verificò l’invasione della Grecia da parte dei Turchi Ottomani; e la resistenza albanese si era organizzata nella Lega Albanese di Lezhë che faceva capo a Gjergji Kastrioti da Croia, meglio conosciuto come Skanderbeg. In questo periodo, nel 1448, re Alfonso V d’Aragona, chiamato il Magnanimo, re delregno di Napoli e del regno di Sicilia, chiese aiuto a Kastriota, suo alleato, per reprimere la congiura dei baroni. La ricompensa per questa operazione furono delle terre in provincia di Catanzaro; e molti arbëreshë ne approfittarono per emigrare in queste terre sicure durante l’avanzata degli Ottomani, mentre altri emigrarono nell’Italia peninsulare e insulare sotto il controllo della Repubblica di Venezia. Nello stesso tempo infatti altri gruppi di arbëreshë emigrarono anche in Sicilia, fondando Piana degli Albanesi.

Durante il periodo della guerra di successione di Napoli, a seguito della morte diAlfonso d’Aragona, il legittimo erede Ferdinando d’Aragona richiamò le forze arbëreshë contro gli eserciti franco-italiani e Skanderbeg sbarcò nel 1461 in Puglia. Dopo alcuni successi, gli arbëreshë accettarono in cambio delle terre in loco, mentre Skanderbeg ritornò per riorganizzare la resistenza albanese contro i Turchi che avevano occupato l’Albania; morì di morte naturale nel 1468, ma le sue truppe combatterono ancora per un ventennio. Parte della popolazione arbëreshë migrò in Italia meridionale, dove il re di Napoli e il re di Sicilia offrì loro altre zone in Puglia, Calabria, Campania, SiciliaMolise.

Età moderna

L’ultima ondata migratoria, per alcune fonti solo una quinta migrazione, si ebbe tra il 1500 e il 1534. Impiegati come mercenari dalla Repubblica di Venezia, gli arbëreshë dovettero lasciare il Peloponneso con l’aiuto delle truppe di Carlo V, ancora a causa della presenza turca. Carlo V stanziò questi soldati, capeggiati dai cavalieri che avevano partecipato all’assedio di Corone, in Italia meridionale, per rinforzarne le difese proprio contro la minaccia degli Ottomani. I primi arbëreshë che approdarono in Italia erano tradizionalmente soldati, anche al servizio del Regno di Napoli, del Regno di Sicilia e della Repubblica di Venezia. Stanziatisi in zone e villaggi isolati (il che permise loro di mantenere inalterata la propria cultura fino a oggi), gli arbereshe in Italia fondarono o ripopolarono quasi un centinaio di comunità. Con le immigrazioni arbëreshë si assiste nel meridione in genere a una nuova fase di espansione demografica, che si accentua alla fine del Quattrocento e continua per tutta la prima metà del Cinquecento, con la costituzione di vere e proprie comunità arbereshe.

Età contemporanea

Rappresentanti delle comunità albanesi di Basilicata, Puglia e Sicilia a Portella della Ginestra (Piana degli Albanesi 1989)

Distribuzione degli albanesi fuori dell’Albania

Territori etno-linguistici albanesi

Dialetti e varianti della lingua albanese

Gli arbëreshë in Italia mantennero e mantengono la religione cristiana di rito greco-ortodosso e questo fu, ed è tuttora, uno dei tratti caratterizzanti della minoranza, insieme alla lingua e ai costumi, sia rispetto alla restante popolazione italiana e sia rispetto agli albanesi rimasti in patria, convertiti in maggioranza alla religione islamica. L’ondata migratoria dall’Italia meridionale verso le Americhe negli anni tra il 1900 e il 1910 ha causato quasi un dimezzamento della popolazione dei villaggi arbëreshë e ha messo la popolazione a rischio di scomparsa culturale, nonostante la recente rivalutazione. A partire dalla prima metà del XX secolo, e ancora più chiaramente negli anni ’60 e ’70, fino ai giorni nostri, si ha un’attenzione sempre crescente per un risveglio culturale e per la valorizzazione e il mantenimento della minoranza etno-linguistica arbereshe.

Migrazioni

L’emigrazione albanese in Italia è avvenuta in un arco di tempo che abbraccia almeno tre secoli, dalla metà del XV alla metà del XVIII secolo: si trattò in effetti di più ondate successive, in particolare dopo il 1468, anno della morte dell’eroe nazionale Giorgio Castriota Scanderbeg. Secondo studi sono almeno otto le ondate migratorie di arbëreshë nella penisola italiana, i quali, in genere, non si stabilirono in una sede fissa fin dall’inizio, ma si spostarono più volte all’interno del territorio italiano, e ciò spiegherebbe anche la loro presenza in moltissimi centri e in quasi tutto il meridione.

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  • La prima migrazione risalirebbe agli anni 13991409, quando la Calabria, del Regno di Napoli, era sconvolta dalle lotte tra i feudatari e il governo angioino e gruppi di albanesi fornirono i loro servizi militari ora ad una parte ora all’altra.
  • La seconda migrazione risale agli anni 14161442, quando Alfonso I d’Aragona ricorse ai servizi del condottiero albanese Demetrio Reres; la ricompensa per i servizi militari resi fu la concessione, nel 1448, di alcuni territori in Calabria per lui e in Sicilia per i figli.

Busto di Giorgio Castriota Scanderbeg a Piana degli Albanesi in Sicilia

  • La terza migrazione risale agli anni 14611470, quando Scanderbeg, principe di Croia, inviò un corpo di spedizione albanese in aiuto di Ferrante I d’Aragona in lotta contro Giovanni d’Angiò; in cambio dei servizi resi fu concesso ai soldati albanesi di stanziarsi in alcuni territori della Puglia.
  • La quarta migrazione (14701478) coincide con un intensificarsi dei rapporti tra il Regno di Napoli e i nobili albanesi, anche in seguito al matrimonio tra una nipote dello Skanderberg e il principe Sanseverino di Bisignano e la caduta di Croia sotto il dominio turco. In questo stesso periodo una fiorente colonia albanese era presente a Venezia e nei territori a questa soggetti.
  • La quinta migrazione (15331534) coincide con la caduta della fortezza di Corone in Morea, dopo un lungo assedio, che finisce sotto il controllo turco. Questa fu anche l’ultima migrazione massiccia, che si aggiunse ai gruppi di albanesi già presenti in Italia.
  • La sesta migrazione (1664) coincide con la migrazione della popolazione ribellatasi e sconfitta dai turchi, verso la Basilicata, già popolata da arbëreshë in precedenza.
  • La settima migrazione (1744) vede la popolazione dell’Albania meridionale rifugiarsi in Abruzzo.
  • L’ottava migrazione (1774) vede un gruppo di albanesi rifugiarsi nuovamente in Basilicata e in Molise.

Le migrazioni degli albanesi, ora stanziatisi in Italia, non ebbero fine con l’ottava migrazione, ma se ne contano altre:

  • La nona migrazione (XX secolo) è rappresenta degli ultimi gruppi di italo-albanesi della cosiddetta “diaspora della diaspora”, riscrivibile nella diaspora italiana verso altri stati europei (Belgio, Francia, Germania, Svizzera ecc.) e leAmeriche (Stati Uniti, Canada, Argentina, Brasile, Uruguay ecc.). La maggior parte di coloro che emigrarono nel XX secolo passarono per italiani e non per arbëreshë. Di fatto tali persone integrate da almeno 2-3 generazioni nei loro paesi di destinazione, tranne rari casi, non hanno mantenuto né la lingua albanese (allora non si parlava italiano) né un legame storico con la comunità-paese di provenienza, se non addirittura un’idea della loro origine.
  • Un altro fenomeno molto importante è quello degli italo-albanesi che dagli anni ’50’60 e ’70 del secolo scorso si sono trasferiti nell’Italia settentrionale o nelle grandi città. Indicabile come la decima migrazione, generalmente, al contrario della migrazione precedente, questi non sono stati assimilati dalla cultura predominate in cui vivono, ma hanno mantenuto la lingua albanese e stetti rapporti con la comunitàpaese di provenienza, dove spesso ritornano. In molti casi si sono integrati nella comunità religiosa bizantina italo-albanese presente da più tempo nella città (es. Palermo), oppure, trattandosi di una comunità nuova per la comunità arbëreshe (es. Torino), hanno costituito e formato una nuovo gruppo religioso di rito bizantino e/o circoli-associazioni culturali.

Fonte: https://it.wikipedia.org/

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