Fino ai primi anni ’50 era così.

 

C’erano i panni sui cespugli di lentisco ad asciugare; il Ponte del Mulino; la baracca usata da Giovanni Papa come deposito per il carbone che andava a vendere a Diamante; il mulino di Francesco; le coste spoglie, perché i purritti servivano a casa per il fuoco; la cappella di santo Linardo scoperchiata; il mulino che dava lavoro ai  Muranisi (di Morano), la Chiazzetta ancora da sistemare; il canale sonnacchioso (tranne che d’inverno, quando scendeva Campulungo ed allora acquistava vigore e voce tonante), dove le donne si spaccavano la schiena a lavare…

Me la sono guardata a lungo questa foto. Ero ragazzo a quel tempo, ancora non avevo visto il mare, un treno, un telefono, una biro,  una radio, un televisore; non sapevo cos’era la plastica…

Però sapevo preparare praghe e tagliole per gli uccelli, zufoli e carrozze con una canna, arrampicarmi su un ciliegio e mangiarne a pancia piena, giocare a mazza e pivizo o a cavaddulungo, suonare il cupucupe a Capodanno…

Ogni palmo di questo territorio conserva ricordi.

Ad uno ad uno il tempo si dà cura di sbiadirli o cancellarli.

È la vita, con tutta la sua precarietà.

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