Vivere da soli, persone con differenti tipi di handicap che si abituano all’autonomia

Caterina ed Elisa (foto Michela Trigari)

Caterina ed Elisa (foto Michela Trigari)

 

Gruppi-appartamento e condomini solidali, ecco l’autonomia che prepara al «dopo di noi». Persone con differenti tipi di handicap che si abituano all’autonomia o vivono insieme a normodotati. Le esperienze vincenti e quelle meno

La storia di Caterina ed Elisa –

Una lavagnetta scandisce le giornate delle due amiche, Elisa e Caterina: affette da sindrome di Down, da luglio abitano da sole in un appartamento a Crevalcore, in provincia di Bologna. E adesso sono in attesa di una terza coinquilina. Per tre pomeriggi a settimana con loro c’è Daniela, educatrice. «L’inserimento è stato graduale – spiega –: per i primi tempi restavo qui anche la notte, adesso non più». Ora dà una mano solo a fare la spesa e a gestire i soldi e la quotidianità. «E chi di noi prepara il pranzo o la cena non lava i piatti», dice ridendo Caterina.

Aurora (foto Valeria Vignale)
Aurora (foto Valeria Vignale)

Studentesse che abitano insieme a coetanee con sindrome di Asperger

Aurora, Alice e Olga hanno una live disabilità relazionale (due di loro la sindrome di Asperger) e vivono insieme ad altre ragazze che studiano all’università a Milano. Grazie a Fondazione Cariplo e al Comune vivono insieme aiutandosi a cucinare e mettere a posto la casa. La notte c’è sempre qualcuno. «All’inizio ero un po’ spiazzata, ma non si può restare per sempre con la mamma», dice Aurora.

Lorenzo (Davide Crudi)
Lorenzo (Davide Crudi)

La «residenza emotiva» Pepenero –

Nell’appartamento “Pepenero” sono in quattro con una lieve disabilità intellettiva: tre uomini – Lorenzo, Gianluigi e Fabio (arrivato da pochi giorni) – e una donna, Vilma. «All’inizio ero imbarazzata – dice l’unica donna – , ora invece sono tranquilla». La chiamano la loro “residenza emotiva”. «Ogni tanto litighiamo ma va bene, più o meno», racconta Lorenzo che ha 28 anni, ama la play station e giocare a calcio nella squadra della cooperativa.

Rita (foto Jessica Pullia)
Rita (foto Jessica Pullia)

Al Sud ci vuole più coraggio –

Dei due appartamenti accessibili del «Condominio solidale» di Lamezia Terme, uno è vuoto. Il motivo? Lo scarso supporto delle istituzioni; e così quasi tutti quelli che avevano aderito e provato, purtroppo sono tornati in famiglia. Tranne Rita, affetta da distrofia muscolare, che non si arrende e vive da sola.

Cosa dice la legge italiana

In Italia non esiste un provvedimento specifico che disciplina la vita indipendente delle persone disabili o la loro convivenza. Gli unici riferimenti normativi sono la legge quadro 104/92 “per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate” – all’epoca si diceva così –, poi modificata dalla legge 162/98, e la 328 del 2000 “per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”. Per il resto, ogni territorio si muove sulla base di progetti e sperimentazioni gestiti in collaborazione con il privato sociale (associazioni o cooperative). Ma l’autonomia abitativa è una delle priorità del primo “Programma d’azione biennale per la promozione dei diritti e l’integrazione delle persone con disabilità” predisposto dall’Osservatorio sulla condizione delle persone disabili e adottato nel 2013. In tale quadro, il ministero del Welfare, le Regioni e le Province autonome dovrebbero collaborare attivamente allo scopo di definire delle linee guida nazionali per l’applicazione dell’art.19 della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, intitolato appunto “Vita indipendente e inclusione nella società”. Intanto, la legge di stabilità 2016 ha stanziato 5 milioni di euro “al fine di potenziare i progetti riguardanti le misure atte a rendere effettivamente indipendente la vita delle persone con disabilità grave”.

La quotidianità va imparata

Se un ragazzo è in carrozzina ed è in grado di gestire la cura di sé per conto proprio, o con l’aiuto di qualcuno, bastano “solo” un appartamento senza barriere e qualche ora di assistenza personale (magari pagata attraverso un assegno pubblico) per riuscire a vivere da solo o in compagnia. Ma se la disabilità è intellettiva o relazionale il discorso cambia. Quanti etti di pasta bisogna cuocere se si è in due? E il sugo avanzato si conserva in frigo anche d’inverno? I tappi di sughero vanno nell’umido o nel bidone della raccolta indifferenziata? La lana si lava a 30 o 60 gradi? Inoltre il ferro da stiro non va mai appoggiato orizzontalmente sull’asse, meglio spegnere il gas prima di andare a letto e i soldi per fare la spesa devono bastare, comprando solo lo stretto necessario o poco più perché altrimenti il cibo fresco rischia di marcire. Ecco allora che, se non ci hanno pensato i genitori a insegnare tutto questo ai propri figli, la quotidianità va imparata. E ci sono tante esperienze vincenti in questo senso nel nostro Paese.

di Michela Tringari

Fonte: http://www.corriere.it/salute/disabilita/16_febbraio_02/oggi-vado-vivere-solo-storie-inquilini-disabili-nord-sud…/

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