L’occhiatura

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Nella civiltà contadina, quella in cui  sono cresciuto, l’occhiatura era un nemico insidioso contro cui combattere, quotidianamente.

La vita era aspra, dura; la miseria imponeva privazioni. Per questo non mancavano gli acciacchi.  Medici e medicine scarseggiavano. La soluzione più semplice, a portata di mano e di tasca, era l’occhiatura.

Per la Viaravita mio nonno Salvatore era un’autorità. Sosteneva che la sua azione era efficace perché aveva attraversato il mare. Ma voi non chiedetemi che rapporto ci sia tra occhiatura e mare, perché non lo so.

Ho chiesto a Biagina di procurarmi un po’ di formule. Con l’aiuto della madre, Gina, mi ha trascritto queste:

L’ucchi chi t’anu aducchiatu su tria:

a mmiria, a collira e la mala vuluntà.

 

Mo chi ci vo’ pi passà?

 

Nel nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo

Ca st’occhiatura si ni va d’ananti

Da ‘ncuddu a …   (Nome della persona).

 

(Si conclude ogni volta con un’AVE MARIA o un PADRE NOSTRO;

Oppure ripetendoli per 3 o 6 o 9 volte)

 

A Verbicaro, invece, se la raccontano così:

Di virdi mi vogghju vistì

E di virdi mi vogghju accasà.

Nivira negghja adduvi vasi?  (vai)

Vai mpedi a serra

Adduvi u mali si rinserra;

Vai mpedi alla ruta

Adduvi u mali si ristuta (si spegne).

 

Ricogghjiti ricogghjiti cirivello

Comi si ricogghjia a vacca a du vitello.

Ricogghjiti ricogghjiti cirividdari

Comi si ricogghia a gaddina u masunari.

 

Dui uocchi m’hani ‘ncantatu

E quattru m’hani salvatu

Jami all’altari

E cu vuluere e Ddija e in nomi i Ddija

Vatinni malocchiatura

Da ‘ncuoddi a  (nome della persona).

 

Vatinni ainta a quiddi vaddunu scuru

Adduvi nun ci pigghjia né sule e né luna

 

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Un’altra versione orsomarsese.

Lo sciamano nostrano  comincia con il segno della croce, poi la formula:

Ucchio cuntrucchio

Chi t’ha pigghjato arucchio?

E’ stato lu malucchio, la mala vulenza e la mala vuluntà.

Chi ci vo’ pi passà?

Li tre patriarchi ru paravisu,

Lu Patri, lu Fgghjulu e lu Spiritu Santu.

 

A bassa voce  recitano quindi 3 Padre nostro, 3 Ave Maria e 3 Gloria al Padre

Il tutto  ripetuto tre volte.

Il segno della croce conclude “l’intervento”.  Il paziente si lava la faccia  tre volte  e riceve sulla testa tre presine di sale.

Dicono che la fede sposta le montagne…  Dicono.

 

Foto RETE

 PER SAPERNE DI PIU’

  

Le origini

Malocchio

Ritratto di re Ferdinando IV

Secondo la tradizione popolare, la jettatura è un’ideologia fortificatasi a Napoli verso la fine del ‘700, presso la corte di re Ferdinando IV, quando arrivò l’archeologo Andrea De Jorio a far visita al sovrano. De Iorio godeva di un’ottima fama per la professione che esercitava, ma suo malgrado era conosciuto anche come uno dei più temibili jettatori. Queste voci preoccuparono molto il re, il quale il giorno dopo, sicuramente per cause naturali legate alla vecchiaia, morì. E’ da quel giorno che tra il popolo napoletano la credenza nella jella aumentò sproporzionatamente!

Cos’è il malocchio?

Per malocchio s’intende la capacità o potere dello sguardo umano di procurare intenzionalmente danni e mali alla persona osservata. Da un punto di vista fisico, i problemi causati dal malocchio possono essere: violenti mal di testa, vomito, nausea, depressione e cattivo umore.

L’ uocchie, così come dicono i napoletani, non risparmiano problemi alla sfera sentimentale ed a quella economica. Insomma, è un gran guaio cadere vittima di un malocchio!

In che modo si può avere la conferma di essere stati colti da questo affascino? Secondo alcune credenze popolari ci sono delle donne, quasi sempre anziane, che assicurano di possedere la capacità di scoprire se una persona è vittima del malocchio e di eliminarlo attraverso il rito dell’olio. Questa facoltà viene tramandata di generazione in generazione, ma la tradizione vuole che nel momento in cui la persona lo trasmette, perde la capacità di effettuare il rito. Per questa ragione, il passaggio avviene quando la santona crede che si stia avvicinando la fine dei propri giorni.

La pratica del rito dell’olio

La persona che viene sottoposta al rito deve necessariamente restare seduta, mentre il taumaturgo mette dell’acqua in un piatto fondo, fa per tre volte il segno della croce sulla fronte della vittima e contemporaneamente recita delle parole segrete, seguite da una formula più nota:

«Aglie, fravaglie e fattura ca nun quaglie, ‘uocchie, maluocchie e frutticiell rind’ all’uocchie, corna, bicorna e la sfortuna nun ritorna, sciò sciò, ciucciuè

Continua con l’effettuare il segno della croce su se stesso e sul piatto. Versa nell’acqua alcune gocce di olio di oliva che vanno a formare dei veri e propri occhi!

Malocchio

Piatto fondo con gocce d’olio


Cos’è la jettatura?
Solo se queste gocce si allargano, si ha la conferma che la persona è vittima di malocchio. Qualora, addirittura, queste si espandessero fino a scomparire, allora la maledizione è stata fatta da molto tempo e quindi sarà più difficile trattarla. Dopo questa pratica, gli occhi nel piatto vanno tagliati con delle forbici e tutto il liquido buttato in un posto dove nessuno potrà calpestarlo. Il rito si ripete nei giorni a venire, fino a quando le gocce di olio restano piccole e, quindi, la vittima si libera dal male.

La jettatura, dal latino jacere sortes che vuol dire “gettare le sorti, incantare”, è l’energia malefica che viene gettata involontariamente attraverso lo sguardo invidioso. Il malcapitato è una persona ritenuta fortunata o particolarmente felice. La tradizione popolare ha delineato un vero e proprio identikit dello jettatore, ripreso da Alexandre Dumas in un suo scritto:

«È di solito magro e pallido, ha il naso ricurvo, e occhi grandi che ricordano quelli del rospo e che egli tende a coprire con un paio di occhiali: com’è noto, il rospo ha il dono della jettatura, tanto che uccide un usignolo con il solo sguardo. Quando incontrate una persona come quella che ho descritto, guardatevene: quasi sicuramente si tratta di uno jettatore. Se costui vi ha scorto per primo, il male è fatto e non c’è rimedio: chinate il capo e aspettate. In caso contrario, se non avete ancora incontrato lo sguardo, presentategli il dito medio teso e le altre dita piegate: il maleficio sarà scongiurato. Non occorre dire che se portate addosso corni di giada o di corallo non avete bisogno di tutte queste precauzioni.»

O’ curniciello napoletano: origini dei suoi effetti benefici


Renato Fucini
, in Napoli a occhio nudo del 1877, descrive l’intera città di Napoli come tappezzata di corni: corni nelle botteghe e nelle case, corni usati come ciondoli di collane e di bracciali. A distanza di circa 140 anni, l’immagine di Napoli è ancora la stessa: vicoli e stradine antiche pullulano di curnicielli.Il popolo partenopeo crede fortemente nel malocchio e nella jettatura e, per tutelarsi al meglio, si munisce di ogni genere di amuleto e talismano. Quello più gettonato è sicuramente il corno, in napoletano “o’ curniciello”.


Infatti, gli abitanti delle capanne erano soliti appendere un corno sull’uscio della porta, perché considerato simbolo di potenza e fertilità. Successivamente, in età romana, il corno veniva offerto alla dea Iside, affinché assistesse gli animali nella procreazione.
Le origini di questo oggetto affondano le loro radici nell’età neolitica, nel 3.500 a.C.

Secondo il mito di tradizione greco-romana, Giove avrebbe donato alla sua nutrice un corno prodigioso, per ringraziarla delle cure ricevute negli anni. Anche il mito, pertanto, tramanda gli straordinari effetti benefici del manufatto.

Come deve essere o’ curniciello per scongiurare la malasorte?

Il curniciello per essere “magico” deve essere realizzato secondo il rispetto di poche, ma necessarie, regole. Innanzitutto, il corno deve essere rosso: colore che, secondo la tradizione popolare, è simbolo della fortuna. Deve essere di corallo: materiale prezioso e per molti dotato del potere di scacciare il male. Ancora, deve essere “tuosto, vacante, stuorto e cu’ ‘a ponta”. Il corno non si compra, ma si regala e si attiva. In che modo può attivarsi? Chiedendo alla persona che lo riceve in dono di aprire la mano sinistra e pungendo il suo palmo con la punta del corno. A quel punto l’oggetto è attivato e pronto a portar fortuna!

Il ferro di cavallo


Secondo altre fonti, l’origine del ferro di cavallo come scaccia-malocchio è data dalla sua forma che riporta all’apparato genitale femminile. Si pensa che il maligno possa essere facilmente distratto dalla tentazione sessuale e per tal ragione evita di entrare nelle case che custodiscono questo oggetto.
L’altro oggetto che, insieme al corno, va a rappresentare il “preservativo agli occhi avvelenatori”, volendo usare le parole di Francesco Mastriani ne La cieca di Sorrento, è il ferro di cavallo. L’idea che sia un oggetto che porta bene, probabilmente, deriva dal fatto che nell’esercito romano le truppe marciavano a piedi e solo gli ufficiali andavano a cavallo, e quando si perdeva uno zoccolo si era costretti ad una sosta e quindi al riposo per quanti erano sfiniti dal lungo e faticoso marciare. La perdita del ferro era una quindi vera fortuna!

Nelle case napoletane, il ferro di cavallo si tiene agganciato dietro la porta, necessariamente con le punte rivolte verso l’alto, altrimenti non si vince la jella.

Gli scongiuri napoletani

E quando il napoletano si ritrova davanti a quello che crede uno jettatore? Cosa fa? Lo scongiuro per eccellenza: le corna, per rispedire al mittente il malaugurio. Già tra gli antichi greci e romani c’era l’abitudine di fare questo gesto per allontanare gli spiriti maligni, poiché l’indice e il mignolo tesi costituiscono una forma appuntita che agisce da difesa.


Si dice che molti italiani siano superstiziosi, tuttavia sembra che le credenze di cui abbiamo parlato siano più radicate tra i napoletani che negli altri. Come mai?
Matilde Serao diceva:Un’altra pratica comune ed essenziale per la buona sorte è toccare la gobba di un uomo. In passato, la sagoma del gobbo era legata all’idea dell’uomo curvo sotto il peso della ricchezza e della fecondità.

«Tutte le superstizioni nel mondo sono raccolte in Napoli e ingrandite, moltiplicate poiché la sua credulità è frutto dell’ignoranza, della miseria e delle sventure che a Napoli si sono alternate dai diversi attacchi del colera all’eruzione del Vesuvio nel 1872.»

Possibile che tutto dipenda dall’ignoranza e dalle calamità naturali? Piuttosto è più nota l’idea che Napoli sia città di uomini calorosi, vivaci, d’ingegno; città ricca di fantasia e folklore. La superstizione? È una delle pennellate di bei colori che realizzano il quadro partenopeo ammirato e amato da chiunque nel mondo sappia apprezzarlo.

Johann Wolfgang Goethe diceva:

«La superstizione è la poesia della vita»

Caterina Castaldo

Fonte: http://www.lacooltura.com/2015/03/malocchio-e-jettatura-la-napoli-superstiziosa/

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2 Replies to “L’occhiatura”

  1. Emilio Leone ha detto:

    A Santa Cruci avevamo 2 autorità zia Michelina ri “spina sicca” e don Cosma.
    la giacolatoria di zia Michelina, così recitava: due occhi ti hanno tradito 3 occhi ti hanno salvato padre figlio e spiritu santo occhiatura vatinni ra vanti e si recitavano tre ave tre padre nostri e tre gloria, doepo si prendeva un coltello e si faceva una o più croci sul malandato. Comunque ricordo che nei casi più difficili andavano da una signora che si trovava nel Comune di Viggianello.

  2. Lucia Santelli ha detto:

    Io mi ricordo che se qualcuno voleva apprendere sia la tecnica che la formula dell’occhiatura, il periodo giusto era la notte di Natale o la notte di Pasqua. In queste due notti sante, la trasmissione di tale conoscenza avrebbe acquisito più effetto terapeutico.

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