A tavola con i Bizantini

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L’alimentazione bizantina è sì eredità di tutta la tradizione ellenistico-romana, ma senza esserne una pedissequa imitazione. Al contempo è da considerarsi erroneo l’avviso che, dato il contesto medievale, essa fosse povera e poco varia.

Il pane era l’alimento principe della dieta,e quindi maggior fornitore di carboidrati, con un consumo pro capite giornaliero di  325-600 grammi. La farina si ricavava, a partire dal VII secolo d.C., dal grano duro (tricinum durum), più facile da trebbiare e conservare rispetto al grano tenero (triticum aestivum) di età romana. Al pane si accompagnava un pappone di cereali, una sorta di polenta (puls) con farro, frumento e orzo, mentre il granturco non era conosciuto.
Il frumento si coltivava in Asia Minore, mentre l’orzo svolgeva un ruolo di grande importanza nei Balcani. Oltre a questi erano conosciuti la segale, innovazione medievale, e il miglio, peraltro non molto apprezzato, mentre l’avena comparve soltanto nel Peloponneso, durante la dominazione franca.

Il riso merita un discorso a parte: se i Romani lo conobbero tardi e non lo mangiarono mai, in età bizantina non era coltivato, eppure aveva una certa diffusione sia come pietanza che come dolce – l’imperatore Costantino VII aveva una gran predilezione per il budino di riso! Per rendere un’idea l’atteggiamento verso tale vivanda doveva essere simile a quello che al giorno d’oggi abbiamo quando ci rechiamo in un ristorante cinese o indiano.

Nell’alimentazione bizantina al grano seguivano i legumi: lenticchie, ceci, piselli e soprattutto fave.
Una buona varietà verdure integrava la dieta: i Bizantini piantavano olive, cavolo, cipolla, carota, aglio, zucca, lattuga e porri.

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Mancavano però alcuni vegetali che per noi sono comunissimi, al punto che non sapremmo immaginare una cucina senza di essi: la patata, il pomodoro, la melanzana, il fagiolo.

La frutta ci viene descritta dal poema vernacolare tardo Porikologos: in esso si immagina una corte in cui i membri e dignitari sono frutti e verdure, con la mela cotogna (re dei frutti), limone, pera, mela, ciliegia, prugna, fico, pesca, albicocca, melone, cedro, melograno, more…
La frutta cotta con miele e spezie faceva da contorno ai piatti di carne, e molto apprezzata era anche la frutta secca, che entrava in molti dolci: noci, mandorle, datteri, castagne e pistacchi.

Il dolcificante universale era il miele: l’apicoltura aveva grandissima diffusione in ogni angolo dell’Impero, ed era altamente sviluppata per gli standards medievali.
Lo zucchero di canna, introdotto dagli Arabi nell’isola di Cipro a partire dal X secolo, è menzionato solo raramente nelle fonti. Non esisteva il cacao.

Latte e latticini erano assai apprezzati, di pecora, mucca e capra. Dalle province settentrionali si diffusero anche il burro e la panna (con tutte i limiti imposti dal clima mediterraneo). I formaggi erano fatti ovunque: il cacio dei mandriani valacchi costituiva una vera prelibatezza. Si conosceva anche lo yogurt, che dalle steppe eurasiatiche era giunto fino alle bancarelle dei venditori ambulanti.

Quanto alle uova le più diffuse, comuni anche nelle mense dei poveri, erano quelle di gallina (nel poema vernacolare naturalistico Poulologos, il Libro del pollame la gallina si vanta per il fatto che i suoi piccoli vengono poi mangiati da vescovi, preti, ambasciatori, imperatori , senatori e così via.), ma si mangiavano anche quelle di piccione, anitra, e altri volatili. Le uova servivano anche per preparare delle particolari omelettes, chiamate sponghata per via dell’aspetto (lett. “spugnose”), presenti per tutto il millennio bizantino.

I già citati volatili – tranne il tacchino, sconosciuto- rappresentavano gran parte della carne consumata. Fagiani e pavoni adornavano tanto i parchi quanto le tavole dei nobili. Il resto della carne era formato da suini (sotto forma di carne fresca, salumi e insaccati), dagli ovini ( soprattutto l’agnello) e dalla cacciagione.
Si mangiava carne bovina in misura minore, e quasi per niente quella di cavallo.
Consumatissimo era il pesce (molluschi e crostacei compresi), fresco o in salamoia. Veniva pescato ovunque : fiumi, laghi, paludi, presso i villaggi costieri come nelle grandi città. La stessa Costantinopoli ricavava dalle risorse ittiche gran parte del proprio nutrimento, e non era insolito che il pesce sostituisse la carne nella preparazione di molte portate.

Giustiniano

Giustiniano

Il pesce era alla base di un altro alimento diffusissimo: il garum. Era una salsa ottenuta dal pesce salato e fermentato con l’aggiunta di erbe aromatiche. Nelle sue diverse qualità – più o meno pregiate- era il condimento principale del mondo bizantino, e forniva gran parte delle proteine indispensabili a una dieta equilibrata, oltre a costituire una delle voci più importanti nelle esportazioni di molte regioni costiere. Un’idea del suo sapore la possono dare certe salse orientali, ottenute nello stesso modo, ad esempio il nuoc-nam vietnamita. Le proteine erano fornite anche dall’olio d’oliva, larghissimamente consumato.

Il sale, sia come condimento sia per la conservazione dei cibi, era d’uso comune: grazie ad una superficie costiera molto estesa e alla presenza di laghi salati anche nel cuore dell’Anatolia, Bisanzio non conobbe mai la “fame di sale” tanto diffusa nel mondo medievale.

Il vino, dopo il pane, era un altro alimento fondamentale, tanto che era compreso perfino nelle razioni degli schiavi (ovviamente non quello di prima qualità). I più poveri potevano, in mancanza di meglio, accontentarsi di acqua e aceto (l’aceto dato a Cristo sulla croce non fu un gesto di scherno, ma l’atto caritatevole di un soldato che gli offriva la sua umile bevanda). L’importanza economica del vino fu enorme, tanto che le viti venivano piantate ovunque, anche in alta montagna.
Le tecniche di vinificazione erano però molto diverse dalle nostre, e quindi i vini differivano molto da quelli odierni per consistenza, sapore e gradazione. Tutti erano diluiti con l’acqua prima di essere consumati. Frequente era l’aggiunta di altre sostanze, dal miele all’acqua di mare, dalla resina alle spezie. Una volta appresa la tecnica di distillazione compaiono i liquori alcolici, la cui presenza è attestata alla corte imperiale intorno al XI secolo; tra essi dovevano figurare anche gli antenati dell’odierno Mistrà! La birra, a differenza dell’ “enofilo” mondo romano, era molto diffusa, eredità di una tradizione millenaria del Medio e Vicino Oriente, mentre ignoti erano tè e caffé.

I pasti principali erano tre: colazione, pranzo e una cena leggera. Al mattino si consumava un pranzo composto da due o tre piatti solitamente di pesce, formaggio, fave e cavoli, cotti in olio d’oliva; la sera ci si limitava a mangiare pane con l’aggiunta di verdura o frutta. A colazione e cena si beveva vino allungato con acqua calda.

Questa era la tipologia dell’abitante comune ( senza dimenticare i periodi di digiuno religioso), mentre la mensa imperiale naturalmente era più ricca. Si racconta che alla corte di Isacco II Angelo si consumassero montagne di pane, selvaggina e pesce. I nobili bizantini amavano mangiare e bere ma, a differenza dei loro pari grado d’età romana, erano inclini a ingozzarsi più che a gustare piatti raffinati o stravaganti come quelli che ci sono pervenuti sotto il nome di Apicio.

Ma cosa pensavano i contemporanei occidentali dell’alimentazione bizantina?

Liutprando da Cremona nelle sue invettive contro la società bizantina non risparmia nemmeno la cucina. Definisce la cena “prolungata e indecente secondo il costume degli ubriachi, unta d’olio”, descrive il garum come una “pessima salsa di pesce”, trova il “vino greco” imbevibile, in quanto “sapeva di pece, resina e gesso”.
Ebbe modo di rifarsi però con l’agnello arrosto, farcito con cipolle, aglio e porri, che mangiò di gusto.
Liutprando certo parla con livore per la pessima ospitalità ricevuta (o non voleva forse cercare di mascherare il sostanziale fallimento della propria missione?), ma non mi sento di escludere che anche noi avremmo provato forti perplessità. Non dobbiamo dimenticare, tuttavia, che i gusti e le pratiche alimentari sono componenti essenziali della cultura di un popolo, e come tutti i fatti di cultura cambiano moltissimo a seconda delle epoche e delle latitudini.

A cura di Alessio Cittadini

Fonte: http://www.imperobizantino.it/

Foto RETE

Per chi volesse saperne di più

A. Dosi – F. Schnell, I Romani in cucina. Roma, Quasar, 1986 .
N. Valerio, La tavola degli antichi. Milano, A. Mondadori, 1989.
A. Ducellier, Bisanzio. Torino, Einaudi 1988.
Kazhdan Alexander P., Bisanzio e la sua civiltà. Bari, Laterza 2007.
Cavallo G. L’uomo bizantino. Bari, Laterza, 2005.

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