LA CHIESA DI SAN ZACCARIA E L’ORIGINE DEL SANTUARIO DELLA MADONNA DELLA GROTTA DI PRAIA A MARE

 

Gotta di Praia a Mare

Gotta di Praia a Mare

 

 

 

La fascia costiera tirrenica della Calabria nord-occidentale, compresa tra il fiume Noce – che segna il confine con Maratea, in Basilicata – e il fiume Mercure-Lao, è ripartita tra i comuni di Tortora, Praia a Mare, San Nicola Arcella e Scalea. Il territorio è caratterizzato da alcune importanti grotte preistoriche, molte delle quali furono poi utilizzate come eremi dai monaci italo-greci, che abitarono queste contrade al tempo dei Bizantini. Segnaliamo in particolare la Grotta del Vingiòlo di Praia a Mare, sede del santuario dedicato alla Madonna, e la grotta che si apre ai piedi dello sperone roccioso di Torre Nave, a Tortora, non più abitata dal paleolitico superiore e alla destra della quale si trova un più piccolo antro. In alto e a sinistra dell’ingresso’ di questa seconda grotticella è incisa una croce, evidenziata dalla calce inserita nelle sue fessure. In cima alla falesia, accanto ai resti del palazzo appartenuto ai feudatari di Tortora, c’è una piccola e antica cappella con due colonne ai fianchi dell’ingresso e, all’interno, un soffitto a botte.

I monaci italo-greci facevano capo all’«eparchìa» di o del «Mercurion», che originariamente si estendeva lungo il corso del Mercure-Lao e che, in seguito, inglobò anche i territori più settentrionali fino al Noce e forse anche oltre (1).

Tra i tanti monasteri che costellavano la regione mercuriense c’era quello di San Zaccaria. Si legge infatti nel Codice Greco 683 (B. a. IV) di Grottaferrata che il 21 novembre del 991 morì a Valleluce il monaco Luca, il quale era stato egumeno del monastero detto «del Santo padre Zaccaria al Mercurion» (2).

Molto probabilmente il cenobio era dedicato a quell’«angelico Zaccaria» che, insieme con il «grande Giovanni» e il «celeberrimo Fantino», era a capo dei monasteri del Mercurion nel tempo in cui San Nilo di Rossano raggiunse la regione (3).

Il nome di San Zaccaria ricompare in un atto di donazione del 1065, con cui Roberto il Guiscardo, duca di Calabria, concesse all’abbazia benedettina di Santa Maria della Matina, presso San Marco Argentano, alcuni possedimenti nella valle del Mercure, tra i quali la «ecclesia sancti Elie et sancti Zacharie, cum omnibus pertinentiis earum», ossia la «chiesa di Sant’Elia e San Zaccaria, con ogni loro pertinenza» (4). Come si può notare, la frase è un po’ ambigua perché non spiega bene se la cessione avesse riguardato una sola chiesa, intitolata congiuntamente ai santi Elia e Zaccaria, oppure due chiese distinte. Questa seconda ipotesi sembra essere avvalorata da un documento redatto tra la fine dell’XI secolo e l’inizio del successivo, conservato nell’abbazia della SS. Trinità di Cava dei Tirreni, nel quale si certifica che Normanno di Aieta e i suoi familiari cedettero la chiesa di «sancti  Zacharie» ai benedettini campani (5).

Roberto il Guiscardo e Ruggero I di Sicilia

Roberto il Guiscardo e Ruggero I di Sicilia

Che si tratti della medesima chiesa menzionata nel documento del 1065 sembra provarlo la circostanza che la stessa non figura nel diploma del 1100, con il quale il duca Ruggiero confermò le donazioni di Roberto ai monaci di Santa Maria della Matina (6).

Il più convinto assertore di quest’ipotesi è stato Biagio Cappelli, il quale tuttavia non credeva che la chiesa di San Zaccaria, menzionata nei due atti di donazione, corrispondesse al monastero mercuriense di San Zaccaria, di cui fu egumeno il monaco Luca. Per lo studioso, infatti, si trattava di due diversi luoghi di culto perché, come si ricaverebbe dal bios dei santi Saba e Macario, nel 991 «l’eparchìa di Mercurion» potrebbe essere stata limitata alla sola Valle del Mercure-Lao e, quindi, nettamente separata dalla più settentrionale «eparchìa di Aieta» (7). All’epoca, perciò, il Mercurion non si sarebbe esteso ancora fino al Noce, come, a giudizio dello stesso Cappelli, sarebbe avvenuto successivamente e come sembra doversi dedurre dalla lettura integrale del documento del 1065 (8).

Ma dove era ubicata la chiesa di San Zaccaria che Normanno di Aieta donò all’Abbazia di Cava? Dal testo latino del lascito apprendiamo che era situata presso il mare sotto Aieta e che fu ceduta unitamente alla vicina grotta (cripta) e al territorio compreso tra Falconara e Mali canale. Sulla base di queste indicazioni, il Cappelli localizzò la chiesa presso Torre Nave di Tortora, basandosi sul fatto che l’altura rientra nella contrada «Falconara», sul confine con Praia a Mare, un tempo marina di Aieta (9). L’ipotesi sembrerebbe confermata dall’esistenza della cappella e delle grotte sottostanti, sopra richiamate, oltre che dal toponimo Falconara (10). Più controversa appare l’identificazione di Mali canale, riconosciuto dal Cappelli prima nella Fiumara di Castrocucco, ossia nel Noce, che scorre a nord della «Falconara» (11), e successivamente nell’ancora più settentrionale torrentello che si riversa nel vallone chiamato, appunto, «Malicanali», in territorio di Maratea (12). Il Guida, invece, identificò Mali canale con la più vicina Fiumarella di Tortora, anch’essa a nord della «Falconara», «che nel tratto iniziale viene ancora oggi chiamato dagli abitanti di Aieta “canale”» e che «apporta non lievi danni nella valle quando si gonfia per le piogge e da ciò l’attributo di “male”, cioè cattivo, rovinoso» (13).

 

Proponiamo a questo punto una terza possibile individuazione di Mali canale, a partire da un riscontro presente in un decreto di Roberto d’Angiò del 12 marzo 1338, riconfermato da re Ladislao il 6 febbraio 1408 ed estratto il 22 aprile 1748 dall’UJ.D. Antonio Chiarito, «regio archiviano», e, in autentica, dal notaio Fulgenzio Damiano Vanni di Maierà, per conto del principe di Scalea (14). In esso sono indicati i confini di Scalea, che all’epoca comprendeva il territorio di San Nicola Arcella e quindi si estendeva fino alla marina di Aieta. Il limite settentrionale di Scalea passava nei pressi dell’Arcum Maris, l’attuale «Arco Magno», e perciò era grosso modo lo stesso che divide oggi Praia a Mare da San Nicola Arcella.

Di particolare interesse è il fatto che non lontano dall’Arcum Maris si trovava caput Mali Canalis; ubicato evidentemente a sud della «Falconara» di Tortora. E perciò verosimile che Normanno di Aieta abbia ceduto al monastero cavense la «sua» Marina, ossia il territorio dell’odierna Praia a Mare, piuttosto che l’area compresa tra la «Falconara» e la Fiumarella di Tortora o, addirittura, il «Malicanali» di Maratea.

Se consideriamo poi che nell’agro praiese vi è la Grotta della Madonna, è logico pensare che sia quest’ultima la «cripta» della quale si parla nell’atto di donazione (15), piuttosto che una delle due grotte di Torre Nave: la grande, infatti, è insignificante dal punto di vista religioso, mentre l’altra è troppo piccola per meritare di essere menzionata nel documento.

Alla luce di questa nuova interpretazione del lascito di Normanno di Aieta, le ipotesi di ubicazione della chiesa di San Zaccaria diventano molteplici. Poiché sorgeva nei pressi della Grotta, si può supporre che sia stata distrutta nel corso dello scavo della vicina cava che ha sventrato il Vingiolo, oppure che sia finita inglobata nella costruzione che sta in bilico sull’orlo della cava stessa, o ancora che sia da identificare con una delle tante cappelle che sorgevano nell’area limitrofa (16), non esclusa la stessa chiesa di Torre Nave.

San Fantino - Orsomarso,, Cappella di Santo Linardo

San Fantino – Orsomarso,, Cappella di Santo Linardo

Riprendiamo adesso il discorso sulla chiesa di Sant’Elia che, come abbiamo visto, fu donata nel 1065 ai monaci di Santa Maria della Matina insieme con la chiesa di San Zaccaria. Vera Von Falkenhausen è del parere che essa corrispondesse al monastero di Sant’Elia, del quale si parla nel testamento del monaco Daniele, redatto nella prima metà dell’XI secolo (17). Al contrario di André Guillou, che lo pone a Luzzi (18), la Falkenhausen ritiene infatti che il monastero fosse ubicato nel Mercurion. Innanzi tutto perché il testamento appartiene anch’esso al fondo archivistico di Santa Maria della Matina, poi perché lo stesso Daniele dispose anche del monastero «tes Bìnas», che era una fondazione del santo monaco Leone-Luca nel territorio del Mercurion, e infine perché tra i terreni confinanti con il monastero di Sant’Elia c’era quello di Giovanni Markanites. La famiglia Markanites, infatti, risiedeva sicuramente nel Mercurion (19) e aveva il patronato sulla chiesa di San Pietro, detta appunto di Marcanito (S. Vetri que dicitur Marcanito), anch’essa inserita tra le chiese della Valle del Mercure oggetto della donazione del 1065.

Se si accetta l’ipotesi di un’estensione del Mercurion fino al Noce, non si può escludere che il monastero di Sant’Elia fosse lo stesso al quale circa un secolo e mezzo dopo, precisamente nel 1198, Giovanni signore di Aieta donò alcuni fondi presso la Petricella, compresi i 15 contadini addetti alla loro coltivazione (20). A giudizio del Guida, si sarebbe trattato del monastero fondato da San Fantino, che sarebbe stato perciò uno dei più importanti del Mercurion e, quindi, ubicato nella Grotta di Praia a Mare (21). Per supportare la sua ipotesi, lo studioso si appoggiò all’autorità del Cappelli, secondo il quale il monastero era sito «presso il mare alle pendici dei monti di Aieta» (22), ma in realtà, come ha rilevato giustamente Onorato Tocci, nell’atto di donazione di Giovanni di Aieta tale particolare non figura affatto (23). Naturalmente, nulla vieta di pensare che il Santuario di Praia a Mare fosse intitolato a Sant’Elia, anzi, la circostanza contribuirebbe a spiegare la sua menzione congiunta con la chiesa di San Zaccaria, alla quale potrebbe essere stato aggregato. Tuttavia non esiste in proposito alcuna conferma documentale. L’unico appiglio che potrebbe accreditare tale ipotesi è il toponimo «Sant’Elia», dato a una contrada di Praia a Mare non lontana dalla Grotta della Madonna. E altrettanto vero, però, che località omonime si trovano ad Aieta e a Tortora. Anzi, è probabile che la chiesa sorgesse proprio in quest’ultima contrada, come sembrano confermare il ritrovamento di un sepolcreto medioevale e l’esistenza in loco, ancora nel 1540, di una cappella dedicata al santo profeta (24).

Possiamo quindi dire che l’identificazione del Santuario della Madonna di Praia a Mare con la chiesa di Sant’Elia non è affatto certa, mentre è molto più probabile – e le due cose non si escludono a vicenda – una sua corrispondenza con la grotta ceduta unitamente alla chiesa di San Zaccaria. L’atto di donazione di Normanno di Aieta potrebbe costituire perciò il più antico documento nel quale si faccia menzione della Grotta della Madonna (25).

 

 

BIAGIO MOLITERNI

Fonte: ARCHIVIO STORICO PER CALABRIA E LA LUCANIA ANNO LXIX (2002)

 

 

Cartina di B. Moliterni

Cartina di B. Moliterni

 

(1) Cfr. O. CAMPAGNA, La «Regione mercuriense» nella storia delle comunità costiere da Bonifati a Palinuro, Pellegrini Editore, Cosenza 1982; B . CAPPELLI, Medioevo bizantino nel Mezzogiorno d’Italia, Edizioni II Coscile, Castrovillari 1993, p. 79.

(2) Cfr. E. FOLLIERI, S. Nilo e i monaci del Mercurio, in Atti del Congresso internazionale su S. Nilo di Rossano, Rossano-Grottaferrata 1989, p. 405.

(3) Cfr. G. GIOVANNELLI, S. Nilo di Rossano fondatore di Grottaferrata, Grottaferrata 1966, p. 16.

(4) Così riportato in B. CAPPELLI, Medioevo bizantino nel Mezzogiorno d’Italia, p. 82, nota 50, che cita A. PRATESI, Carte latine di abbadie calabresi dell’archivio Albobrandini, pp. 5, 9-10.

(5) Cfr. L. MATTEI-CERASOLI, ha badia di Cava e i monasteri greci della Calabria superore, A.S.C.L., Vil i (1938), pp. 177-178. «Ego Normannus et uxor mea Adeliza et Robertus privignus meus et filii mei et prò anima Goffredi de Aita et omnium parentum suorum atque meorum dono et concedo omnipotenti Deo monasterium sancti Nikolai de Tremulo cum pertinentiis suis et ecclesiam sancti Zacharie, que est iuxta mare suptus Aitam, et totam vineam, que est circa eam, una cum cripta, que est iuxta eam et tota terra, que est da Falconara usque ad Mali canale.

t Signum manibus Bono Belli presbiteri, qui testis est.

t Signum manibus Vivini presbiteri, qui et testis est.

t Signum manibus Gualerami, qui et testis est.

t Signum manibus Rogerii Ruffi, qui et testis est.

t Signum manibus Bartholomei, qui et testis est.

Ego Albertus presbiter, qui scripsi hanc cartulam, testis sum. Quicumque temptaverit frangere hoc donum, quod omnipotenti Deo et sancte Frinitati de Cava dedimus, perpetuam societatem cum Iuda traditore in inferno possideat».

(6) Cfr. E Russo, Storia della Diocesi di Cassano al Jonio, Laurenziana, Napoli 1964, I, p. 148, nota 5.

(7) Considerato che San Saba visse nel Mercurion tra il quarto e il quinto decennio del X secolo e che morì a Roma nel 980, e tenuto conto che il suo biografo Oreste, patriarca di Gerusalemme, soggiornò in Italia tra il 980 e il 985, non è affatto certo che nel 991, anno della morte del monaco Luca, l’eparchìa di Mercurion e l’eparchìa di Aieta fossero ancora due realtà territoriali giuridicamente e amministrativamente separate.

(8) Cfr. B. CAPPELLI, Medioevo bizantino nel Mezzogiorno d’Italia, pp. 79- 83, dove l’Autore corregge la posizione precedentemente espressa in II monachesimo basiliano ai confini calabro-lucani, Fausto Fiorentino Editore, Napoli 1963, pp. 219-223, libro nel quale aveva approfondito quanto già pubblicato su A.S.C.L., XI I (1942): Una carta di Aieta del sec. XI, pp. 211-216.

(9) Cfr. B. CAPPELLI, Una carta di Aieta del sec. XI, p. 214.

(10) La presenza a Torre Nave «di un fabbricato rettangolare (una chiesetta?)» con «murate nella facciata meridionale … due colonne monolitiche di conglomerato a grana molto fine, con sovrastante capitello, che sembrano di fattura antica» è stata segnalata da G F LA TORRE, Forma Italiae, L.S. Olschki, Firenze 1999, p. 171. La possibile identificazione del piccolo edificio con la chiesa di San Zaccaria (la cui «cripta» potrebbe essere la sottostante grotta grande) è stata ipotizzata da D . DE PRESBITERIS e E LACAVA, La chiesa di S. Zaccaria presso Torre Nave, in «Bollettino dell’Associazione Culturale Aieta», dicembre 2001, pp. 80-83.

(11) Cfr. B. CAPPELLI, Una carta di Aieta del sec. XI, p. 216.

(12) Cfr. B. CAPPELLI, Il monachesimo bizantino ai confini calabro-lucani,

  1. 223.

(13) Cfr. G. GUIDA, Praia a Mare e territorio limitrofo, Tip. Eredi V. Serafino,

Cosenza 1973, p. 57.

(14) Cfr. G. CELICO, Scalea tra duchi e principi mercanti filosofi e santi, Editur Calabria, Diamante 2000, p. 22 e p. 64, nota 39. «Tenimentum ejusdem terre incipit a Bruca unde vadunt arbores ad mare, et vadunt per viam ad trapticellam, que sunt in pede foresta Marcellini, et postea vadit ad venam aque, et deinde per viam, qua itur ad Abbatem Marcum, usque ad pratum Mercurj, et vadit ad flumen Mercurj, et vadit ad Nucem Venicosi, et a Nuce vadit ad petram Cercjatam in pede Venicosi, et ascendit ad anzum subiter, et vadit per Lauzum supra Venicusum, et exinde vadit subtus tremulos, et vadit ad fontem de tremulis, et a via, que est ibidem vadit usque ad aream de tremulis, ed abinde vadit usque ad viam papaysidori, et vadit ad Canalem Siccum, et a Canale vadit ad viam, que venit a Sancto Petro de Grassis, et vadit a pede papaysidori, et ab ipsa via vadit per azum usq. ad fonte, qui est in pedi Sancti Sisti, et ex inde vadit per Cristam usq. ad arenellam, et ab Arenella usq(ue) ad pedem Capristi in petra Cruciata, et exinde ad fontem de Caballarum, et ab ipso fonte vadit p. caput Mali Canalis, et a Canale ipso usque in viam turturis per Arcum Maris».

(15 ) Il Cappelli, in Una carta di Aieta del sec. XI, p. 214 , e ne II monachesimo hasiliano ai confini calabro-lucani, pp. 221-222 , aveva escluso tale identificazione, che invece sembra essere avvalorata dal documento del 1338 .

(16 ) Cfr. V. LOMONACO, Brevi notizie sul Santuario di Nostra Donna della Grotte nella Praja degli Schiavi, Napoli 1851 , p. 27 . L’Autore ricorda che nel territorio di Praia a Mare «esisteva un’antichissimo monistero di Basiliani, di cui oggigiorno appena si veggono le ruine».

(17 ) Cfr. V. VON FALKENHAUSEN, La vita di S. Nilo come fonte storica per la Calabria bizantina, in «Atti del congresso internazionale su S. Nilo di Rossano», p. 277 . Nella sua relazione, la studiosa fa riferimento a un’unica chiesa intitolata congiuntamente ai santi Elia e Zaccaria.

(18 ) A. GUILLOU, Saint-Elie près de Luzzi en Calabre, in «Riv. Studi Bizantini e Slavi», 1982 .

(19) Cfr. A. GUILLOU, Saint-Nicolas de Donnoso, Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del Vaticano 1967, p. 60.

(20) Cfr. E TRINCHERA, Syllabus graecarum membranarum, Napoli 1865, n. 243, pp. 328-329.

(21) Cfr. G. GUIDA, Santuario della Madonna della Grotta e Praia a Mare, Calabria Letteraria Editrice, Catanzaro 1994, pp. 47 e 63.

(22) B. CAPPELLI, Una carta di Aieta del sec. XI, p. 212; ID., Il monachesimo basiliano ai confini calabro-lucani, p. 220. Presso la spiaggia di Aieta, come abbiamo visto, era invece ubicata la chiesa di San Zaccaria che Normanno donò ai monaci di Cava dei Tirreni. E possibile che il Cappelli vi avesse collocato anche la chiesa di Sant’Elia sulla base del presupposto, da lui stesso espresso originariamente e successivamente smentito (cfr. nota n. 8), che le due chiese fossero in realtà una sola.

(23) O. Tocci, La Calabria nord-occidentale dai Goti ai Normanni, Pellegrini Editore, Cosenza 1989, p. 14.

(24) Cfr. O. Tocci, La Calabria nord-occidentale dai Goti ai Normanni, p. 78; G. CELICO, Peregrinazioni storiche, Fasano Editore, Cosenza 1980, p. 53.

(25) A margine di quanto abbiamo detto finora, rimane da affrontare un’ultima questione. Se è vero che le chiese di Sant’Elia e di San Zaccaria fossero ubicate nella valle del Noce, sorge il problema dell’identificazione della chiesa di San Pietro di Marcanito, che, come abbiamo visto, si trovava nelle loro vicinanze. A questo proposito segnaliamo che in contrada Santu Pietru di Tortora, non lontano dalla località Sant’Elia, si trovano i resti di una piccola chiesa, della quale sono ancora visibili una parte dell’abside e alcune mura. L’origine bizantina dell’edificio è attestata dal suo orientamento a est. Il fatto che, secondo la tradizione locale, la zona fosse stata abitata da monaci e che nelle sue vicinanze scorra il fiume Pizinno (solitamente gli insediamenti monastici erano posti a non molta distanza dai corsi d’acqua), potrebbe indurci a identificare la chiesa con quella di San Pietro di Marcanito, anche se bisogna tener presente che nell’area si trovava pure la chiesa di «San Pietro Spanopetro», menzionata in un documento del 1269, riportato da E TRINCHERÀ, Syllabus graecarum membranarum, n. 313, pp. 453-455. Lo stesso Autore, al n. 302, pp. 430- 432, riporta un documento del 1226, che menziona la località aietana di «Sancta Parasceve», corrispondente al latino «Sancta Venere». Non è perciò da escludere che nell’area, non lontana da «San Zaccaria», da «Sant’Elia» e da «San Pietro», potesse sorgere la chiesa di «Sancte Venere», anch’essa oggetto della donazione del 1065.

 

 

 

 

 

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