La Valle del Noce e la storia del suo fiume avvelenato

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Il Fondovalle del Noce è un pezzo di meridione italiano al confine tra Basilicata e Calabria. Un lembo di terra perso tra l’appennino calabro-lucano e la Riviera dei Cedri, attraversato dall’omonimo fiume che scorrendo veloce squarcia il silenzio di questa vallata a cui dà il nome e sfocia più giù, in fondo al mar Tirreno. Fra le alture di questi luoghi, caratterizzatati da una natura selvaggia, c’è una piccola contrada del comune di Tortora (Cosenza), San Sago.
Qui nei primi anni Novanta la politica, capace di badare soltanto al proprio tornaconto, permette la costruzione di un depuratore per smaltire le acque nere e i rifiuti non pericolosi. La realizzazione di quest’opera, in totale contrasto con il paesaggio circostante trascinerà questa sperduta frazione nella trama ingarbugliata di una copione già visto altrove, fra omertà e paura: lo sfruttamento delle risorse ambientali e la devastazione di interi territori sacrificati sull’altare del profitto.

Gli anni delle inchieste e dei processi

Non passa molto tempo dalla messa in funzione del depuratore che l’impatto zero, tanto decantato dai politicanti locali per illudere la popolazione, si rivela essere una frottola.
Il dubbio che qualcosa non stia procedendo per il verso giusto arriva con la prima moria di pesci e successivamente viene confermato dai carabinieri che colgono in flagrante un autotrasportatore intento a scaricare l’inquinante contenuto del suo tir vicino agli argini del fiume. L’angosciante episodio porta la procura di Paola ad aprire delle indagini. L’inchiesta si risolve con la nota Operazione Econox 2002 che porta a una serie di denunce e al sequestro di beni dal valore di 3 milioni di euro tra Lazio, Calabria e Campania.
Nel frattempo la vecchia gestione del sito cambia e le ditte Ecologica 2008 Srl e La Recuperi Srl si impegnano ad amministrare rispettivamente il depuratore e il sito di compostaggio. L’ennesima moria di pesci, il nauseabondo odore che impregna San Sago e le altre piccole contrade montane tortoresi, insieme al continuo andirivieni dei camion a qualunque ora della notte, dimostrano come la conduzione degli impianti sia cambiata solo nella forma e non nella sostanza, che ancora non è affatto ecocompatibile.
I residenti non dormono sonni tranquilli e le loro lamentele, raccolte dalla procura di Lagonegro, danno il via a nuovi accertamenti.
Gli inquirenti scovano due vasche per la depurazione riempite dal 2005 con 473 metri cubi di liquidi inquinanti (secondo la normativa gli scarti andrebbero eliminati entro sei mesi o trasferiti in altro luogo idoneo). Il depuratore è sequestrato mentre dodici persone, fra cui Pasquale e Cosimo Lonoce (titolari de La Recuperi Srl) e Gaetano Lops (amministratore unico Ecologica 2008 Srl), sono iscritte nel registro degli indagati con l’accusa di aver versato il percolato direttamente nel fiume Noce, e per i reati di smaltimento illecito dei rifiuti, danneggiamento aggravato, truffa, disastro colposo, falso ideologico, getto pericoloso di cose, distruzione e deturpamento di bellezze ambientali, e associazione a delinquere con struttura stabile per smaltimento illegale dei rifiuti (materiale plastico, da costruzione, sangue animale con cui produrre compost destinato all’agricoltura) provenienti dai siti di stoccaggio di Calabria, Basilicata e Campania.
Nel 2012, con rito abbreviato, Lops è condannato a sei mesi di reclusione e al risarcimento del Comune di Tortora, parte civile nel processo. Cadono, sia per Lops che per gli altri imputati, i seguenti capi di imputazione: falso ideologico, truffa (il fatto non sussiste), associazione a delinquere e disastro colposo per insufficienza e contraddittorietà della prova.

Questo capannone non s’ha da fare!

Ma le magagne continuano e per San Sago non pare sia possibile una pausa dai guai.
Accanto alle inchieste e ai processi legati al presunto inquinamento ambientale dopo lo scioglimento della giunta Silvestri, avvenuto nel 2009, a Tortora si apre un periodo di commissariamento. È questo il momento in cui la commissaria prefettizia Eufemia Tarsia firma l’autorizzazione presentata da La Recuperi Srl per la costruzione di un capannone. A parte la Conferenza Servizi, conforme al volere del commissario, in molti non vogliono questa struttura: dalla Provincia di Cosenza all’Autorità di Bacino della Regione Basilicata fino al nuovo sindaco tortorese Lamboglia.
Il fabbricato è solo una mossa speculativa con cui occupare 8mila metri quadrati di un terreno classificato in zona E3, quindi a uso agricolo. Un altro monumento dell’abusivismo edilizio, insomma, progettato a soli 300 metri dall’area Sic Valle del Noce. Come si può immaginare un capannone del genere a poca distanza da una riserva naturale istituita mediante tre decreti del Ministero dell’Ambiente (5 luglio 2007; 3 luglio 2008; 30 marzo 2009) per la salvaguardia delle specie animali presenti protette dalla Direttiva 92/43 Ce Habitat, come lupo, puzzola, gatto selvatico europeo, lontra, moscardino, cervone e tartaruga greca?
Il Comune di Tortora straccia i permessi per la realizzazione del gigantesco deposito. “Il capannone non s’ha da fare”, ma La Recuperi Srl non ci sta e si appella al Tar della Calabria contro la decisione del sindaco Lamboglia.
Nonostante la tutela ambientale e i ferrei vincoli giuridici prima ricordati, il tribunale amministrativo accoglie l’istanza della ditta. Sarebbe andato tutto perduto se solo la Provincia di Cosenza non avesse ordinato un sequestro preventivo dell’impianto di compostaggio per occupazione e invasione del demanio fluviale, ritirando così l’iscrizione de La Recuperi Srl dal registro provinciale delle imprese.
Il Tar, prima favorevole agli speculatori, deve dichiarare la cessata materia del contendere. Uno a zero per San Sago.

Stop agli impianti?

Tirare un sospiro di sollievo è impossibile. Nel 2013 i riflettori tornano nuovamente a riaccendersi su San Sago. Ed è proprio durante una fredda serata del mese di dicembre che la Guardia di Finanza appone i sigilli sul depuratore.
Oltre al sequestro il Dipartimento Ambientale della Regione Calabria ritira per sei mesi l’Aia (Autorizzazione integrata ambientale) alla Ecologica 2008 Srl, inquisita per aver versato, solo in un anno, ben 8.500 metri cubi di liquidi non depurati direttamente nelle acque del torrente Pizinno, un affluente del Noce.
Una lunga battaglia giudiziaria è combattuta nelle aule del tribunale di Paola finché il processo per i reati ambientali viene sospeso. Nel frattempo Ecologica 2008 Srl si rivolge al Tribunale delle Libertà di Cosenza contro la revoca dell’Aia e al Tar della Calabria per il dissequestro degli impianti, intanto bloccati con una delibera del Comune di Tortora. Secondo i giudici non esiste più un pericolo concreto per l’ambiente e la salute umana, tanto che le richieste della società vengono accolte e a oggi le attività potrebbero essere riprese da un momento all’altro.

Il fiume è malato

La procura di Paola non accetta questa sentenza assurda e presenta nuovamente ricorso.
Sorgono spontanee diverse domande. Ma che fine hanno fatto le relazioni della Guardia di Finanza e la perizia dell’ingegner Magnanimi? Lo stesso elaborava le analisi delle acque fluviali e scriveva: “La frequenza degli scarichi di rifiuti, le quantità e la pericolosità delle sostanze versate hanno determinato uno scenario di esposizione con condizioni di rischio elevato per le persone e per l’ambiente acquatico amplificato dalla via di migrazione degli inquinanti e dai bersagli della contaminazione e dalla loro bio-accumulazione nei tessuti vegetali ed animali. Risulta quindi evidente da queste considerazioni che a causa dell’elevata pericolosità delle sostanze versate; della quantità delle sostanze chimiche e dei rifiuti versati; della frequenza di immissione, ripetuta nel tempo; della durata di perpetuazione del danno (ben quattro anni se ci si limita al periodo esaminato); del mezzo di diffusione (il fiume Noce e successivamente il mare); dell’irreparabilità del danno, non circoscritto ma diffuso nel suolo (per irrigazione), nelle acque del Noce (contaminazione fauna, contaminazione persone per i possibili usi diversi) e nel mare (balneazione e pesca); dell’alta potenzialità lesiva (come da classificazione delle sostanze) per un numero indeterminato di persone, con gravissima compromissione dell’ecosistema; sussistano tutte le condizioni perché le attività effettuate dall’azienda indagata abbiano determinato un disastro ambientale, esistendo i presupposti costituiti da ampiezza, straordinaria gravità e irreparabilità del danno”.
35 tonnellate di rifiuti principalmente composte dal 90% di percolato da quasi 50 kg di sostanze cancerogene (metalli pesanti) sono state buttate nel fiume e non è successo niente?
Perché l’articolo di un giornalista de Il mattino di Napoli, Gigi Fiore, scritto con documentazione giudiziaria alla mano, è stato occultato pur di non far sapere ai Tortoresi come quell’acre odore che ogni tanto si sprigionava dal depuratore provenisse dai liquami giunti dalla Campania e dall’Eni di Viggiano, e che a San Sago non dovevano essere smaltiti?
Se quell’acqua può essere bevuta e l’aria respirata a pieni polmoni, come ritiene l’Arpacal (secondo l’ente per la tutela ambientale la Calabria sarebbe una terra paragonabile all’Eden), qualcuno deve spiegare a tutti e tutte noi perché le persone continuano ad ammalarsi e a morire di cancro. Perché qualcuno dovrà pur interrompere questa connivenza assassina fra istituzioni e malaffare, mentre si prova a resistere chiedendo quella giustizia sociale cui bisogna appigliarsi per non lasciarsi schiacciare da chi ci vorrebbe solamente sottomessi e sfruttati.

Di Alessia Manzi

Fonte: http://www.communianet.org/ambiente/la-valle-del-noce-e-la-storia-del-suo-fiume-avvelenato

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