Qual è l’idea di teatro alla quale ricondursi come riferimento orientativo valido anche a fornire successivamente le stesse coordinate di una definizione e di una strutturazione pedagogica?
La risposta si è articolata in una svariata serie di sottolineature, che indichiamo distintamente:
-luogo di coralità e di compresenza;
-autorivelazione di una comunità a se stessa;
-simultaneizzazione nello spazio e nel tempo;
-possibilità di stare insieme con gli altri come reazione all’isolamento
ed al solipsismo multimediatico;
-tirocinio dell’ascoltarsi per imparare ad ascoltare;
-controllo dei gesti, riduzione delle tensioni;
-possibilità di intervento sulla paura.
Da qui si è passati a considerare il teatro come una forma di risposta agli attuali disagi della scuola visti secondo tre fondamentali aspetti, quello dell’accumulo non risolto e non mediato di tensione psicofisica, quello della carenza sul piano delle relazioni affettive e quello dell’assenza di motivazioni profonde all’apprendimento.
I vari interventi hanno permesso, in sostanza, di intravedere un gruppo di tratti nei quali può essere fatta consistere la natura pedagogica del teatro fatto a scuola.
Innanzitutto — si è detto – questo genere di teatro deve essere assunto in una logica di totalità e non ricondotto ad una visione di disciplinarietà settoriale: esso va apprezzato come un’esperienza e non un contenuto variamente aggiuntivo: si tratta di una forma insostituibile di intervento che rafforza e sostiene l’itinerario di autoconsapevolezza dei processi mentali (interiorizzazione dell’apprendimento).
In secondo luogo, si è posto il problema della sua natura e del suo livello di professionalizzazione, avanzando la prospettiva di una definizione di ordine artigianale intesa come uno stadio intermedio fra quella professionistica e quella meramente amatoriale. Si tratta, quindi, di un teatro povero, che mette al primo posto la centralità del gruppo, che esalta la potenzialità progettuale e che, dal punto di vista dei contenuti, si orienta in due direzioni preferenziali, rappresentate rispettivamente dall’utilizzo di testi scolastici da adattare e dall’elaborazione di testi drammaturgici preparati assieme agli alunni.
L’adattamento e la drammatizzazione, quindi, si profilano come le possibilità di maggior impiego.
L’incontro, però, contemplava anche una seconda prospettiva, indubbiamente meno consueta della precedente, vale a dire la pensabilità stessa della scuola come teatro essa stessa. […]
In definitiva, educare alle dinamiche e alla logica teatrale significa riconoscere che tale insieme di abilità:
-rappresenta un’opportunità di rilevazione e rivelazione del potenziale espressivo dei ragazzi;
-consente un’esplorazione approfondita dei testi in vista della loro rappresentazione;
-è un laboratorio spontaneo di ricerca centrato sui processi di lavoro resi significativi in vista del prodotto conclusivo (congruenza motivazionale fra prodotto e processo); .
-modifica la strutturazione usuale dei rapporti di devianza e di alterità, valorizza anche coloro che non hanno altre opportunità per avere successo e per rendersi visibili;
-rende evidenti caratteri di disponibilità degli adulti al di là delle competenze disciplinari formali;
-attenua i conflitti, fa sperimentare la solidarietà, riduce la competitivita;
-evidenzia i tenitori linguistici non stereotipati, può modificare il clima istituzionale, consente la verifica immediata degli sforzi e dei progressi;
-può aiutare a scoprire il proprio io, suscita la questione dell’unità del progetto, è sensibile alle problematiche dei valori educativi;
-è una vera e propria palestra delle emozioni, un luogo della costruzione dell’immagine di sé di fronte a se stesso e agli altri, che consente di socializzare (modulare e controllare) il proprio mondo emotivo;
-soddisfa la necessità di ricomporre la frammentazione del sociale consentendone l’autorappresentazione e diventando quindi un spazio forte delle relazioni profonde fra i soggetti.
Siamo quindi in presenza di uno spazio forte, i cui sentieri meritano senz’altro di venire percorsi.
Cesare Scurati
Da “EDUCARE AL TEATRO”, AA.VV, La Scuola
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