Leggetelo e rileggetelo questo testo, pieno di struggente poesia, di Cosma Pantalena: arricchirà la mente ed il cuore.
Le strade ripercorro di Orsomarso,
intruso in una folla di fedeli
dietro la statua d’una santa oranti,
da Piazza Municipio a Santa Croce,
per tutto il Corso fino al Palazzotto,
cercando il tempo che non si ritrova.
Per queste vie già ricche di squallore
e di fantasmi, che bambini a frotte
empivano di gridi e di trastulli,
la scalza fanciullezza vissi ignara.
Molte porte son chiuse, altre cadenti,
la faccia di qualcuna è imbellettata:
qui c’era la bottega del barbiere,
più in là cantava allegro il ciabattino,
dall’uscio accanto il sarto al sol morente
rubava un raggio, mentre di rimpetto
squadrava e misurava il falegname
lo scabro legno, che cedeva, quindi,
ai morsi della sega e della pialla.
Oltre s’avanza e…. “Ave Maria,..” si leva
e si diffonde per l’angusto vico,
che un tempo udiva il gioco del martello
sonoro sull’incudine, e il belato
delle capre al tramonto “…e così sia”.
S’alzan le note della banda allegre
nella piazzetta, presso un altarino:
qui s’affacciava un tempo una cantina
che il giorno della festa mitigava
– un pugno di lupini ed un bicchiere –
i travagli di misere esistenze.
Una vecchina lieve mi s’appressa,
fluente la parola e l’occhio chiaro,
m’abbraccia e mi racconta l’amicizia
antica per mia madre, e ne ricorda
gli sfregi della vita ad uno ad uno.
“Ave Maria..,” di nuovo e la vecchina
m’abbraccia ancora e supplice ritorna
dietro la Santa, ormai oltre la vista,
lasciando me fanciullo con mia madre
lungo la via ritornata muta.
COSMA PANTALENA
Nella foto l’autore nei primi anni Cinquanta