I SAVOIA e la corsa agli armamenti

Umberto I, Vittorio Emanuele II e Amedeo di Savoia Aosta

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Fortunato fu abbastanza coraggioso da affermare che l’Italia era fuori strada con quel suo vanitoso desiderio di far bella figura, con quella sua convinzione errata di essere potenzialmente ricca e forte. Nel 1900 egli fece osservare che il 21% delle spese dello Stato era destinato alle forze armate, contro il 17% in Germania; che il 33% del bilancio dello Stato era assorbito dal debito pubblico, contro il 20% della Germania; e che il reddito nazionale era soltanto un terzo di quello della Francia.

Egli cercò pertanto di convincere il parlamento a spendere meno per l’esercito e la marina, dimostrando quanto fosse assurdo pretendere di stare alla pari con la Francia e la Germania. Anche Garibaldi si dedicò nella sua vecchiaia al pacifismo ed all’internazionalismo, sostenendo persino che l’esercito strappava troppi contadini dai campi ed indeboliva così di fatto l’Italia, facendola dipendere dall’estero per i generi alimentari di cui abbisognava.

Dal lato opposto, il generale Cialdini si dimise in segno di protesta contro le economie effettuate nelle spese militari, definendole un monumento d’incompetenza politica.

I governi successivi inclinarono a sostenere Cialdini.

Sulla base di un’illusoria valutazione della sua ricchezza e della sua forza, l’Italia venne lanciata nella corsa generale agli armamenti. Dopo il 1870 il generale Ricotti riorganizzò l’esercito secondo il modello prussiano ed estese la coscrizione obbligatoria a tutti gli uomini abili teoricamente senza esenzioni. Su ispirazione tedesca, decise che l’Italia non poteva essere difesa facilmente e che pertanto doveva esser messa in grado di assumere l’offensiva, nonostante le spese che ciò poteva comportare. Il programma delle costruzioni navali fu basato sul principio di assicurarsi una superiorità decisiva sull’Austria-Ungheria.

Non si discusse mai seriamente il problema se l’Italia potesse permettersi contemporaneamente un esercito di conquista ed una flotta. Non venne neppure preso in considerazione il fatto che le nuove invenzioni e i nuovi ritrovati tecnici potevano progressivamente esaurire un paese che mancava di ferro e di combustibili, e che ogni espansione degli armamenti avrebbe ancor maggiormente impegnato il prestigio del paese. Un esercito forte non poteva restare inutilizzato a lungo, e a misura che l’illusione della potenza nazionale aumentava, quello che era originariamente un patriottismo legittimo poteva alla fine degenerare in nazionalismo aggressivo. Fra il 1860 e il 1940 un buon terzo delle spese dello Stato fu destinato a preparativi di guerra.

Da “STORIA D’ITALIA – 1861 /1969”  di  Denis Mack Smith. Pagg. 189/190

Foto: RETE

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