SUD – Rapporto SVIMEZ 2017: lavoro, popolazione

 

LAVORO

Cresce l’occupazione ma a basso reddito

Nel 2016 è proseguita la crescita dell’occupazione al Sud, con ritmi più accentuati rispetto al resto del Paese. Gli occupati sono aumentati di 101 mila unità, +1,7%, ma persiste il dualismo territoriale, essendo nel Mezzogiorno il tasso d’occupazione ancora lontano oltre 20 punti dalla media europea alla quale, invece, sono vicine le regioni del Centro – Nord (47% nelle regioni meridionali, 69% Centro-Nord).

Inoltre, mentre le regioni centro-settentrionali hanno recuperato integralmente la perdita di posti di lavoro avvenuta durante la lunga fase recessiva (+48 mila nel 2016 rispetto al 2008), in quelle meridionali la perdita di occupazione rispetto all’inizio della crisi è ancora pari a 381 mila unità.

Nel 2016 la crescita ha interessato marginalmente per 18 mila unità, +1,3%, l’occupazione giovanile, ma la crescita maggiore dei posti di lavoro al Sud continua a riguardare gli ultra cinquantenni, con oltre 109 mila unità, pari al +5,6%. Va tenuto conto che durante la fase di crisi, al Sud si erano perduti 622 mila posti di lavoro giovanili e ne sono stati recuperati nel biennio di ripresa (2015-2016) appena 40 mila. Non a caso il tasso di occupazione giovanile resta ancora bassissimo nel Sud, pari al 28,1%, rispetto al 47,3% delle regioni del Centro Nord.

La crescita dell’occupazione riguarda sia gli uomini che le donne, ma è leggermente più accentuata per la componente femminile (+2,1%, mentre per gli uomini è +1,5%).

Nel Mezzogiorno la crescita dell’occupazione dipende quasi interamente dal lavoro dipendente, come anche nel resto del Paese, tra questi ultimi aumentano in modo particolare i rapporti a tempo indeterminato, (+91 mila unità, pari a +2,5%), mentre quelli a termine restano stabili. Ciò a causa degli effetti positivi delle misure di decontribuzione.

Su tale crescita incide l’ulteriore aumento del part-time involontario (+1,9%), che si concentra sempre più nelle regioni meridionali, a fronte di una lieve flessione nel Centro-Nord (-0,1%). L’esplosione della quota degli involontari è un fenomeno della crisi: è da segnalare allora negativamente il fatto che, malgrado la ripresa produttiva, la sua incidenza sul totale del lavoro a tempo parziale resti al Sud altissima, di poco inferiore all’80%.

Questi risultati del mercato del lavoro meridionale nel suo complesso interessano quasi tutte le regioni: gli occupati calano solo in Sardegna, e, in misura contenuta, in Sicilia, ma restano comunque distanti da prima della crisi: -10,5% di occupati in Calabria, -8,6% in Sicilia, -6,6% in Sardegna e Puglia, -6,3% in Molise, -5% Abruzzo. Solo in due regioni siamo su valori vicini a quelli del 2008: Campania (-2,1%) e Basilicata (-0,8%).

Sotto il profilo settoriale, al Sud l’occupazione riprende a crescere nell’industria in senso stretto (+2,4%), mentre torna negativa nelle costruzioni (-3,9%). L’incremento più significativa è in agricoltura (+5,5% come nel 2015), mentre nei servizi l’occupazione aumenta dell’1,8%.

Il tasso di disoccupazione resta molto elevato e cresce leggermente nel 2016 rispetto al 2015 (19,6% rispetto al 19,4%). In particolare il tasso di disoccupazione giovanile è al 35,8%, contro il 16,1% del Centro Nord.

Nel 2017 l’occupazione è continuata a crescere nei primi sei mesi dell’anno in corso, ma in misura meno accentuata: gli occupati al Sud, infatti, aumentano rispetto al primo semestre del 2016 di 42 mila unità (+0,7%), il che fa presagire che a fine anno non si riuscirà a raggiungere quel +1,7% dell’anno precedente. Il tasso di disoccupazione continua quest’anno a salire leggermente, superando il 20% rispetto al 19,6% del 2016, ma questa è anche la conseguenza di un calo degli inattivi per la maggior fiducia nella possibilità di trovare un posto di lavoro, complice la ripresina economica in atto.

POPOLAZIONE E MIGRAZIONI

Calo demografico e fuga dei cervelli dal Sud, nuova declinazione del dualismo

Negli ultimi quindici anni, la popolazione meridionale è cresciuta di soli 264 mila abitanti a fronte dei 3 milioni e 329 mila nel Centro-Nord; nello stesso periodo la popolazione autoctona del Sud è diminuita di 393 mila unità mentre è cresciuta di 274 mila nel Nord.

Alla fine del 2016 la popolazione italiana si è stabilizzata in prossimità dei 60,6 milioni di residenti: rispetto al 2015 è diminuita di 76 mila unità (-1,3 per mille). Nel Mezzogiorno la riduzione è stata di 62mila unità (-3 per mille), alla fine del 2016 si contano nell’area 20 milioni e 781 mila unità pari al 34,3% della popolazione. Il peso del Sud va riducendosi pur se lentamente, dall’inizio del nuovo millennio quando risultava pari al 36%.

L’Italia è divenuta un paese di immigrazione, ma la distribuzione si è progressivamente squilibrata a vantaggio del Nord. Nel 2016 gli stranieri rappresentavano il 10,6% della popolazione del Centro-Nord (4,2 milioni) e il 4% (834 mila) di quella meridionale: rispetto al 2015 si è registrato un incremento di 13 mila unità nel Centro-Nord e un decremento di 34 mila unità nel Mezzogiorno.

Nel Sud il saldo migratorio totale continua ad essere negativo e a ampliarsi ulteriormente, passando da -20 mila del 2015 a -27,8 mila del 2016 (-1,0 per mille il tasso), mentre nel CentroNord risulta positivo ed in aumento da 51,7 mila unità a 93,5 mila unità (pari a +2,3 per mille). Tra le regioni meridionali, vi è un saldo migratorio totale fortemente negativo in Sicilia, che perde 9,3 mila residenti (-1,8 per mille), in Campania (-9,1 mila residenti, per un tasso migratorio netto di – 1,6 per mille) e in Puglia (-6,9 mila residenti, per un tasso migratorio netto pari a -1,7). Con 0,2 mila e 0,6 mila unità in più, l’Abruzzo e la Sardegna sono, invece, le uniche regioni meridionali a guadagnare residenti.

La SVIMEZ ritiene che, nelle dinamiche territoriali, le migrazioni interne e quelle dall’estero continueranno a svolgere un ruolo rilevante e contribuiranno a ridefinire la geografia umana, in modo nient’affatto favorevole al Mezzogiorno che perderà 5,3 milioni di abitanti tra il 2016 e il 2065, a fronte di un assai più modesto calo (1,9 milioni) nel Centro-Nord. Vuol dire sette punti percentuali in meno nella quota di popolazione residente nel Sud, con valori che scenderebbero dall’attuale 34,4% al 29,2% del 2065.

In quest’ultima area la riduzione della popolazione sarà contenuta dalle  immigrazioni dall’estero, da quelle dal Sud e da una ripresa della natalità, mentre il Mezzogiorno resterà terra d’emigrazione con scarse capacità di attrarre immigrati dall’estero e sarà interessato da un progressivo calo delle nascite.

Una crescente segmentazione del mercato del lavoro regionale ha contribuito ad alimentare accanto a trasferimenti di residenza sostanzialmente definitivi una mobilità temporanea ma di lunga distanza. Un fenomeno quest’ultimo che, proseguito anche negli anni di recessione, sembra riavviarsi in questi due anni di ripresa economica.

Secondo la SVIMEZ, è stato il risveglio delle attività produttive nel Centro-Nord a stimolare la ripresa del pendolarismo nel Mezzogiorno, che nel 2016 ha interessato circa 208 mila persone pari al 9,3% del complesso dei pendolari, a fronte del 6,3% della media del Centro-Nord. Gli spostamenti all’interno delle regioni del Sud hanno interessato 54 mila residenti con un lieve aumento rispetto al 2015 (49 mila), mentre risulta decisamente più elevato il pendolarismo verso le  regioni del Centro-Nord o verso l’estero, 154 mila unità pari al 2,5% degli occupati residenti nel Sud e nelle Isole.

L’incidenza sul totale degli occupati di quelli che lavorano fuori dalla circoscrizione di residenza è diversa e di molto tra le regioni del Mezzogiorno, il valore più elevato si registra in Abruzzo (4,8%), seguito da Campania e Calabria con il 3,2%, dal Molise (3,1%), dalla Sicilia (2,5%) e dalla Basilicata con il 2,4%, mentre è più contenuto in Puglia (1,4%) e, soprattutto, in Sardegna (0,8%). Nel 2016, rispetto all’anno precedente gli occupati residenti nel Mezzogiorno con un posto di lavoro nelle regioni centrosettentrionali o all’estero aumentano di circa 25 mila unità pari al +19,1%.

Secondo la SVIMEZ, questo aumento di pendolari consistente spiega circa un quarto dell’aumento dell’occupazione complessiva del Mezzogiorno che nel 2016 è risulta di circa 101 mila unità.

Secondo la SVIMEZ, il Sud non è più un’area giovane né tanto meno il serbatoio della demografia del resto del paese. Le famiglie fanno sempre meno figli e i giovani se ne vanno; la popolazione invecchia e si riduce. Per di più, su una popolazione attiva relativamente meno giovane grava un onere per la sicurezza sociale enorme e crescente, che sottrae inevitabilmente risorse per investimenti produttivi in grado di migliorare la produttività e la competitività del sistema economico.

È sempre più questa la nuova declinazione del dualismo. (Continua)

Fonte: http://lnx.svimez.info/images/RAPPORTO/materiali2017/2017_11_07_sintesi_stampa.pdf

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