MORMANNO – Confraternite e società nel ‘700

 

Nei paesi sedi delle nostre confraternite, nel terzo decennio del XVIII secolo, dopo gli anni di depressione economica e demografica conseguenti alla peste del 1656 e al terremoto del 1693, si registrano aumenti percentuali anche notevoli delle popolazioni, come evidenzia il confronto tra la rilevazione dei fuochi del 1669 e quella del 1732-33: Mormanno passa da 426 fuochi (circa 2.130 abitanti) a 532 (2.660, +20%); Papasidero dal 102 (510) a 118 (590, +13,5%); Scalea da 56 (280) a 83 (415, +32%); Santa Domenica Talao da 22 (110) a 46 (230, +52%).

È anche in questa congiuntura favorevole che ricevono linfa quelle categorie sociali che hanno nella terra, nel possesso fondiario, la loro principale matrice. Esse non rappresentano una forza politicamente matura, ma sono nondimeno in grado di cominciare a minare con sempre maggiore consapevolezza l’edificio feudale, introducendo nella vita comunitaria elementi di laicità, aspirazioni e bisogni di rappresentatività. Di tali esigenze sono espressione le associazioni confraternali, malgrado siano spesso compromesse con gli interessi del mondo feudale, mutuandone generalmente i modelli di vita e le concezioni economico-sociali.

Dagli elenchi degli aderenti è possibile estrapolare una sociologia dei congregati.

La confraternita del SS. Sacramento di Mormanno (attiva già dal 1539) è l’unica a rientrare nella tipologia dei sodalizi nobiliari.

Tra i soci firmatari compare il barone Gennaro Tufarelli e diversi esponenti della casata (Domenico, Benedetto, Carlo e Vincenzo). Massiccia risulta l’adesione del notabilato con D. Domenico de Callis; D. Alessandro e D. Giovanni Andrea Rossi; D. Vincenzo, D. Francesco e D. Tommaso Genovese; D. Francesco, D. Lionardo e Lattanzio Sola; D. Pomponio e D. Sabatino Perone; D. Filippo e D. Giuseppe Pace; D. Gennaro e D. Filippo Giovanni Pandolfo; D. Filippo e D. Salvatore Regina; D. Andrea e D. Bernardo Perfetti; D. Michelangelo e Pier Giovanni Filomena; D. Giuseppe Cersosimo; D. Nunzio Minervini; D. Vincenzo Capalbi; D. Angelo Libonati; D. Matteo Pomarico.

I “civili” sono rappresentati dal notaio Giuseppe Pandolfo, il solo aderente di cui è specificata la professione. Diversi altri ascritti appartengono probabilmente ad un “ceto mezzano” non meglio identificabile, di cui può solo constatarsi, dallo scorrevole ductus delle firme, il buon grado di istruzione, salvo che per Nunzio e Vincenzo Paternostro che rivelano una grafia incerta e un ductus slegato. L’unico segno di croce appartiene, curiosamente, al cassiere della congrega, Gaetano Fortunato: il fatto non è di facile comprensione, a meno di pensare ad un incarico fittizio assegnato per ragioni di equilibri “politici” interni. La confraternita, con sede nella chiesa cattedrale di Santa Maria del Colle, viene costituita con rogito del notaio Filippo Regina il 18 agosto 1777, ottenendo il regio assenso il 13 settembre successivo.

Chiesa di San Rocco

L’altra congrega attiva a Mormanno – quella della Morte, già istituita come Monte delle messe o dell’Immacolata nel 1594 e che, unitamente alla precedente e a quella del SS. Rosario, di cui al momento non si hanno dati documentali, avevano tutte sede nella chiesa matrice di Santa Maria del Colle – era stata ravvivata esattamente un anno prima di quella del SS. Sacramento con atto del notaio Carlo Antonio Regina e beneplacito regio del 14 febbraio del 1777. Essa risulta composta da 306 sodali pressoché interamente appartenenti ai ceti più modesti, come si desume dalle sottoscrizioni effettuate con il segno di croce. Tra i confratelli ve ne sono alcuni aderenti alla confraternita del SS. Sacramento, come D. Giuseppe Cersosimo, D. Giuseppe Pace, D. Sabatino Perrone e D. Francesco Sola.

Chiesa della Madonna del Suffragio – Fu edificata nel 1670. Qui si riunivano i devoti della Congregazione del Purgatorio ricordata dal cartiglio in pietra posto all’ingresso

La circostanza che nobili e notabilato mormannese avvertissero la necessità di una confraternita esclusiva da conto della marcata suddivisione cetuale dell’assetto sociale e dell’esigenza di tali ceti di ribadire la loro predominanza nell’arengo sociale. Non è casuale, infatti, che la vita liturgica sia svolta da parte di nobili e notabili nelle chiese parrocchiali, come avviene a Mormanno e Scalea con le confraternite del SS. Sacramento e dei Sette dolori, mentre alle categorie sociali meno influenti – come succede a Mormanno con la congrega del Purgatorio con sede nell’omonima chiesetta in posizione “periferica” rispetto alla cattedrale – vengano assegnati come sedi dei loro sodalizi chiese e cappelle secondarie. Il domicilio della congregazione nella parrocchiale conferma il controllo del territorio da parte dei ceti politicamente ed economicamente forti, così come appare fuori discussione la marginalizzazione topografica dei sodalizi a base popolare in luoghi di culto meno significativi: una subalternità rispetto ai ceti meno abbienti, di cui si sottintende fors’anche la potenziale refrattarietà a una puntigliosa disciplina organizzativa e devozionale.

Non va dimenticato, peraltro, che la convergenza di interessi tra nobili/notabili e Chiesa gerarchica va individuata nel possesso fondiario che delinea sostanzialmente la loro fisionomia socio-politica: ciò si evince dal fatto che la stragrande maggioranza delle parrocchie meridionali si configurano nel corso del XVII-XVIII secolo come ricettizie, ossia come chiese beneficiarie i cui beni, generalmente di natura privata, costituivano la massa comune alla quale potevano accedere solo i sacerdoti locali. Essi divenivano così usufruttuari dei beni della ricettizia (la proprietà dei quali spettava alla parrocchia) percependo i frutti della terra, che avevano l’obbligo di migliorare e coltivare.

Veduta dalla Chiesa di San Michele

Le famiglie patrizie del posto, perciò, facevano di tutto per avere un figlio prete, non tanto per una questione di prestigio, quanto per garantire l’unità dell’asse ereditario. Il binomio chiesa-terra è, dunque, strettissimo e incide profondamente anche nella richiamata questione della domiciliazione delle confraternite nelle chiese parrocchiali.

Nobili, ricchi proprietari e civili non formano un ceto sociologicamente unitario, ma si riconoscono convergenze di interesse sicuramente più numerosi dei possibili motivi di contrasto. Convergenze manifestatesi già a decorrere dalla seconda parte del Seicento, da quando, cioè, viene attuandosi un processo di anoblissement degli strati emergenti che aspiravano a connotarsi come notabili. Ora – per rimanere alla situazione di Mormanno – che i ceti meno agiati (tra i quali sono verosimilmente da includere soggetti di estrazione sociale e professionale molteplice, ma comunque “popolare”, quali artigiani, mercanti e contadini) si associno ad una congrega nettamente distinta da quella nobiliare, denota che nessuna categoria del commercio, dell’artigianato, del mondo agricolo avesse una robustezza economica tale da poter ambire all’istituzione di una confraternita di settore.

Il caso di Mormanno (un centro medio-piccolo con una situazione socio-economica analoga a quella di altri paesi del Mezzogiorno tardosettecentesco) rivela, dunque, che l’assetto sociale del Regno, pur esprimendo in modo episodico varie realtà, non consentiva l’emergere di categorie sociali ed economiche dalla fisionomia forte e ben definita.

Per questa ragione, la topografia comunitaria del centro mormannese presenta gruppi che stanno tra di loro non in rapporto dialettico, bensì gerarchico: da una parte nobili, notabili e civili che hanno come denominatore comune l’origine nobiliare, il censo, ossia la ricchezza più o meno appariscente e consistente, a cui si abbina, nel caso dei civili (medici, avvocati, notai) il possesso di qualità professionali e tecniche; dall’altra parte si riscontra un indistinto coacervo di soggetti caratterizzati da una condizione socio-economica modesta o povera. Fra questi due mondi esiste solo pura distinzione di status piuttosto che contrapposizione, in quanto tutti gli eventuali contrasti si risolvono all’interno di un contesto, di cui l’uno e l’altro si riconoscono reciprocamente funzionali. Ciò rende possibile il controllo dei ceti più forti nei confronti di quelli più deboli, con gli uni che anzi – come si è visto per la confraternita della Morte – si fanno patrocinatori delle iniziative degli altri.

 

Da LA STORIA ASSENTE, di Saverio Napolitano, Rubbettino

Foto, RETE

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