Per secoli abbiamo temuto che le erbe crescessero davanti alle porte delle case.

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Per lunghi anni. Per secoli abbiamo temuto e scongiurato che le erbe crescessero davanti alle porte delle case. Abbiamo resistito alle invasioni, ai terremoti e alle frane, ai draghi e agli esodi, alle acque e al fuoco.

Poi ci siamo arresi.

La lotta non ha avuto più storia quando abbiamo rinunciato e ci siamo rassegnati.

Abbiamo affrontato troppi nemici per poter poi resistere a noi stessi.

Adesso poniamo con pietà e cura le graste di fiori davanti alle porte delle case vuote e chiuse, solitarie e cadenti per rendere meno doloroso, meno colpevole, più tollerabile il distacco.

Per immaginare un ritorno che non potremo fare.

Per accompagnare le nostre ombre che sono rimaste nelle case, con i defunti e i santi a opporre l’ultima strenua, improbabile resistenza.

Troppo tardi.

Forse dovevamo pensarci prima.

Forse non dovevamo attendere l’aiuto e gli inganni degli altri. Non dovevamo lanciare a lungo inascoltati allarmi. Senza combattere l’ennesima battaglia.

O i fiori deposti con cura da mani pietose sapranno contrastare ancora la maledizione delle erbe? Sapranno almeno rendere più accettabile l’addio?

Paesi miei. Non resta che ripetere il vostro nome. Fare l’appello dei rimasti.

Adesso siate indulgenti – lo raccomandava il poeta – con chi voleva coltivare la gentilezza e non potè essere gentile.

Concediamoci una tenera illusione. Inventiamoci l’ultima sofferta bugia prima di pronunciare la parola fine. Ultimi abitanti con la sorte di chiudere le rughe. Raccogliere le ultime memorie. Afferrare il clamore del vuoto. Alimentare l’olio della fiammella che ancora, tenace, vive e luce come nei racconti antichi.

Vito Teti

Dalla pagina Fb dell’autore

Foto: ORSOMARSO

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