Quello che segue è un importante testo Charles Diehl, famoso storico francese, comparso nell’ARCHIVIO STORICO PER LA CALABRIA e LA LUCANIA, nei primi anni Trenta.
Dalla prima metà del VI secolo al 1060 circa la Calabria fu una provincia dell’impero bizantino, provincia lontana, abbastanza negletta e spesso misera ; essa tuttavia subì profondamente l’influsso di Bisanzio, grazie soprattutto all’intensità della vita religiosa che vi si sviluppò. Assai presto, certo fin dall’VIII secolo, i monaci basiliani vi fondarono, come in tutta l’Italia meridionale, numerosi centri : i calcoli più moderati fissano a 160 almeno il numero dei loro monasteri; e così grande era la celebrità dei loro conventi, cosi illustre la fama dei loro solitari, che al X secolo la Calabria appariva come una nuova Tebaide, e la sua riputazione giungeva, a traverso il mondo bizantino, fino a Costantinopoli ed a Gerusalemme.
La propaganda bizantina fu pure favorita dall’organizzazione di una chiesa interamente greca, dipendente dal Patriarcato di Costantinopoli, alla testa della quale erano posti i metropoliti di Reggio e di Santa Severina. Cosicché anche allorquando la dominazione normanna si sostituì all’autorità imperiale, le popolazioni di questa Magna Grecia medioevale conservarono per lunghi anni, la lingua e il rito greco, nonostante gli sforzi dei nuovi dominatori e lo zelo della Chiesa romana.
Abbastanza ben nota è la storia della Calabria bizantina. J. Gay nel suo libro su L’Italia Meridionale e l’impero bizantino ha raccontato in modo assai vivace la vita e le opere dei santi greci come Elia di Castrogiovanni o Elia di Reggio, San Luca di Armento, San Vitale e San Saba e soprattutto San Nilo di Rossano che furono nel X secolo la gloria della Chiesa calabra; e, nel bel volume di Paolo Orsi che ha dato occasione a questo articolo(1), Andrea Caffi ha esposto in modo rimarchevole, i destini dell’ellenismo bizantino nell’Italia meridionale dalla fine del IX fino all’alba dell’X I secolo.
Ma se la storia della cultura bizantina in Calabria è assai ben conosciuta, non è cosi dei monumenti che essa ha lasciato. Senza dubbio nel corso di questi ultimi cinquant’anni, delle rapide esplorazioni — quelle di E. Jordan, di E. Bertaux, di E. H. Freshfield e mie — avevano fatto conoscere, con una descrizione sommaria, alcuni di quei momenti. Ma molto restava a fare, anzi quasi tutto. Paolo Orsi ha quindi reso un grandissimo servizio, intraprendendo lo studio scientifico delle Chiese basiliane della Calabria. Durante questi ultimi venti anni, accanto ai suoi bei lavori di archeologia classica, egli ha avuto la curiosità e trovato il tempo di ricercare in Calabria le vestigia di questa cultura medioevale ; ed ha avuto la fortuna di scoprire alcuni monumenti fino allora sconosciuti, di esaminarne dettagliatamente parecchi altri, segnalandoli all’attenzione pubblica e provocando così quei lavori di restauro di cui avevano spesso gran bisogno o quelle ricerche complementari che li hanno fatti meglio conoscere. Da tutta questa operosità — per la quale noi dobbiamo all’Orsi una viva gratitudine — è nato il libro assai interessante che io mi propongo di esaminare.
Indubbiamente la Calabria non ha monumenti comparabili ai begli edifici dell’epoca normanna, alle costruzioni dell’epoca bizantina stessa che conserva la Sicilia. Tuttavia parecchi tra essi non sono sprovvisti d’interesse. Degli edifici bizantini calabresi, il più bello e più completo è la Cattolica di Stilo , vero gioiello, come lo definisce P. Orsi, della Calabria.
Il piccolo paese ove essa sorge, completamente bizantino, conservò anche dopo la conquista normanna la lingua e il rito greci, e fu nel medioevo un centro assai importante di vita monastica. A questo periodo della storia di Stilo appartiene la piccola chiesa che domina l’abitato. Come San Marco di Rossano che le rassomiglia assai, essa data probabilmente dal X secolo o dal principio dell’XI ; ed offre il tipo classico della chiesa bizantina a forma di croce greca. Cinque cupole la coronano, e benché la costruzione, nella quale come in tutti gli edifici medioevali sono stati impiegati dei materiali antichi, sia di qualità assai mediocre, la Cattolica, come appare dopo i restauri intrapresi per l’insistenza dell’Orsi nel 1914, presenta un elegante esempio dell’architettura del periodo che vien chiamato la seconda età d’oro dell’arte bizantina.
Conviene notare soprattutto la graziosa decorazione policroma ottenuta sui tamburi delle cupole da ingegnose combinazioni ornamentali di mattoni e di calcina, e le curiose pitture scoperte nel 1927 sotto l’intonaco che copre i muri della piccola chiesa. Esse rappresentano, delle figure di santi orientali, san Giovanni Crisostomo, san Basilio, e un altro santo nel quale l’Orsi vuol riconoscere — ciò che mi pare assai discutibile — San Giovanni il Precursore(2)
L ’Orsi attribuisce questi affreschi al X o X I secolo e li ritiene assai interessanti per la storia della pittura antica in Calabria.
Sappiamo che dei preziosi monumenti della pittura bizantina del X , X I e XII secolo sono stati scoperti nelle Puglie soprattutto in Terra d’Otranto, ed in Basilicata. Gli affreschi della Cattolica di Stilo, qualunque sia la loro data precisa, non offrono minore interesse.
Un altro monumento bizantino — il più antico che possegga la Calabria — trovasi a Santa Severina. Trattasi di un battistero a forma circolare, con al centro otto colonne sostenenti una cupola; una navata circolare più bassa gira attorno all’ottagono centrale. I lavori recentemente eseguiti dalla Sovrintendenza per le antichità del Bruzio hanno rivelato una particolarità interessante; che cioè da questo edificio centrale si diramavano quattro costruzioni sporgenti, sì da formare all’esterno una croce greca.
Se effettivamente, come sembra, questi quattro bracci rimontano alla stessa epoca dell’edificio centrale, ci troveremmo di fronte ad una pianta veramente degna d’attenzione. Nel battistero sono stati ritrovati inoltre dei residui di affreschi, che si affermano bizantini e contemporanei alla fondazione della Chiesa, ma sui quali il breve rapporto annesso al capitolo dell’Orsi non dà maggiori schiarimenti. L ’edificio, solidamente, ma assai rozzamente costruito «da degli artisti provinciali che sentono la grandezza dell’arte bizantina ma non la sanno tradurre in forme corrette », sembra datare dall’VIII-IX secolo. Un’iscrizione incisa su uno dei capitelli ne attribuisce la costruzione ad un arcivescovo Giovanni, di cui si ignora la data.
Un’altra iscrizione scoperta dall’Orsi sopra un altro capitello, ove si legge il nome d’un arcivescovo Teodoro, ci fa supporre che il battistero sia stato costruito lentamente e sia stata l’opera di molti arcivescovi successivi. Accanto al battistero si trovano le rovine dell’antica cattedrale, una basilica a tre navate, probabilmente d’epoca normanna, ma nella quale l’Orsi ha ritrovato parecchie iscrizioni greche medioevali inedite, degne di considerazione .
Due tra queste menzionano un arcivescovo Ambrogio che fondò la Chiesa ad una data che Orsi legge con ragione, io ritengo, 6544-1036; ciò che farebbe risalire l’edificio ad un’epoca anteriore alla conquista di Santa Severina da parte dei Normanni (1073-1074).
L’altra iscrizione nomina lo spataroscandidato imperiale Staurakios, che sembra essersi interessato alla Chiesa e il cui titolo potrebbe anche riferirsi all’epoca della dominazione bizantina.(3)
Allorquando, nella seconda metà dell’XI secolo, i Normanni conquistarono la Calabria, i nuovi dominatori, il gran conte Ruggero come suo figlio il re Ruggero II, si mostrarono, pur introducendo nel paese i Benedettini latini, tolleranti anzi benevoli verso i monaci greci. Ricostruirono con magnificenza e dotarono largamente molte delle vecchie abazie basiliane. Così nacquero, alla fine dell’XI e lungo il XII secolo, degli edifici assai differenti dalle chiese bizantine a cupola centrale: basiliche ad una o a tre navate, assai simili agli edifici della Sicilia occidentale, e di cui l’esempio più imponente in Calabria è la Cattedrale di Gerace. Paolo Orsi ne ha scoperte due assai interessanti : S. Giovanni Vecchio presso Stilo, già segnalata dal Jordan, e S. Maria dei Tridetti. Tutte e due sono a metà dirute, ma meritano uno studio attento. S. Giovanni Vecchio, reso celebre dalla fama del suo santo abate Giovanni Theriste, era un monastero così importante da venir proclamato nel XII secolo «caput monasterium ordinis S. Basilii in Calabria ». La sua chiesa a navata unica, termina in un transetto (coronato da una cupola ch’è sostenuta da un tamburo circolare decorato con eleganti archetti e poggiante esso stesso sopra di un robusto tamburo quadrato) e in tre absidi. Questa pianta offre delle grandi analogie con quella della «Roccelletta» di Squillace e la disposizione della cupola somiglia assai a quella di S. Maria dei Tridetti. Vi è tutto un gruppo di chiese in Sicilia come nell’Italia meridionale le quali, per quanto sorte all’epoca normanna, prendono ancora ispirazione dall’Oriente e sono forse l’opera di operai greci. Una cosa colpisce all’esterno di S. Giovanni Vecchio ed è la decorazione policroma delle absidi in cui degli archi intersecantisi si appoggiano su dei pilastri costruiti con materiale di differenti colori, e l’eleganza delle colonnette disposte attorno al tamburo circolare della cupola. Degni di attenzione sono anche la struttura di questa cupola e il modo con cui all’interno, il quadrato del tamburo inferiore, passa, attraverso un ottagono, al tondo del tamburo superiore. Dei resti di pitture, di cui le più antiche datano forse dal XII secolo — in particolare una Vergine sul trono con il figlio sulle braccia, ed una Madonna orante designata come l’Eleousa — sono stati ritrovati dall’Orsi nelle cappelle laterali del transetto
Per la decorazione delle sue absidi come per la struttura della sua cupola, S. Maria dei Tridetti rassomiglia assai a S. Giovanni Vecchio. Essa ne differisce un poco per la sua pianta che è a tre navate, ma i due edifici datano dalla stessa epoca, dai primi tempi dalla dominazione normanna, e la costruzione come i sistemi decorativi sono ancora tutti penetrati dell’influsso bizantino. Tutti e due attestano il favore di cui i monasteri basiliani godettero presso i principi normanni: e questa sollecitudine dei sovrani latini per le comunità greche, la cura che essi posero nel ricostruire sontuosamente i loro edifici, appaiono ancor meglio nella chiesa di S. Maria del Patir.
Nella regione montagnosa che si stende tra Rossano e Corigliano e che sembra essere stata, durante il medioevo, una vera « Santa Montagna », un pio anacoreta, Bartolomeo di Simeri, fondò, all’alba dell’X I secolo, un monastero intitolato alla Vergine Hodigitria. Dei grandi signori normanni, in particolar modo l’ammiraglio Christodulos di Antiochia, s’interessarono alla nuova istituzione che anche Re Ruggero volle proteggere. E il monastero, che dopo la morte del suo fondatore prese il nome di monastero della Vergine τοῦ πατρος, ο di S. Maria del Patir, divenne ben presto la più celebre delle abazie basiliane della Calabria, conosciuta durante tre secoli per la sua notevole prosperità. Di essa oggi non sussistono che i resti del chiostro ed una chiesa abbastanza imponente : basilica a tre navate con il transetto coronato da tre cupole depresse e di cui la decorazione esterna, per la ricerca della policromia, non manca d’interesse. Sulla facciata sud, il portale mostra un arco elegante in cui, tra due strisce d’incrostazioni di stile arabo, sono posti dei dischi policromi formati con pezzi di lava e pietra giallastra. Dei dischi simili, dai disegni variati, sono inseriti sotto gli archi che decorano la curva delle absidi. Ma la parte più interessante è, nell’interno della chiesa, il bel pavimento a mosaico che copre parte delle navate. Entro un medaglione sono composte le figure di un leone, un cavallo, un grifone, un centauro ; accanto a motivi decorativi di uno stile ancora classico, appare il gusto del Medio Evo per le immagini ispirate dal Physiologus e dai bestiarii. L’esecuzione non è molto fine, ma l’insieme è di grande effetto per il vigore del disegno e per la vivacità dei colori. Una iscrizione ci apprende che il mosaico è stato fatto per ordine di un abate Biasio, che ci è già noto. Il lavoro pare risalire alla metà del X II secolo e mostra una stretta parentela coi pavimenti delle chiese di Otranto e di Brindisi.
Della stessa epoca è il pavimento della chiesa di S. Adriano a San Demetrio Corone. Si tratta di una piccola chiesa assai rovinata, alla quale si ricollega il ricordo di S. Nilo, ma che nella sua forma attuale, appartiene senza dubbio al periodo normanno. Vi si notano un bel capitello bizantino e, al portale della facciata nord, delle interessanti sculture. Ma il pavimento soprattutto, fatto di marmi e di pietre di differenti colori, è veramente notevole, e dà « l’illusione di un vasto tappeto orientale steso sul pavimento del tempio». Esso è formato in gran parte da motivi geometrici, da stelle, da croci ; altrove dei medaglioni, trattati con una tecnica affatto differente si tratta di incrostazioni entro lastre di marmo— ci mostrano degli animali e dei serpenti. Una iscrizione scoperta dall’Orsi attesta che questo mosaico, o almeno una parte di esso, fu eseguito per ordine di un certo Bartolomeo. Quanto alla data del lavoro, si può affermare ch’essa è di epoca normanna, e del medesimo tempo del mosaico del Patir. Il lavoro però del pavimento di S. Adriano è assai più fine e differisce da quello del Patir e per la tecnica e per l’ispirazione.
Ed ora una parola sulla chiesa di Santa Filomena a Santa Severina. Si tratta di una piccola chiesa ad una navata, coronata alla sua estremità da una cupola svelta ed elegante il cui tamburo è decorato de graziose colonnette. La pianta è bizantina, l’esecuzione certamente normanna, e le sculture della porta del lato nord, che fu già trasformata in finestra, come gli eleganti capitelli delle colonnette della cupola, fanno onore al cantiere da cui sono usciti. Nella decorazione interna di queste chiese calabresi, la scultura, come si è visto, non tiene un grande posto. E questo dà un interesse tutto particolare ai frammenti di stucco ritrovati a S. Maria di Terreti, presso Reggio, e che sono stati salvati veramente per miracolo al momento della distruzione della chiesa nel 1915. Sono frammenti di grandi placche decorative, che ricoprivano probabilmente la parte inferiore dei muri dell’abside. In un quadro il cui bordo è formato da lettere cubiche, una serie di medaglioni racchiudono degli uccelli e degli animali affrontati. Altri frammenti simili decoravano forse un ciborio. In ogni caso abbiamo là dei documenti notevolissimi di un’arte arabo-normanna che erano visibilmente, una imitazione meno costosa delle belle stoffe con cui si ricoprivano volentieri i muri delle Chiese.
Questa analisi mostra tutto ciò che per la migliore conoscenza dei monumenti della Calabria noi dobbiamo alle esplorazioni, alle ricerche e alle scoperte di P. Orsi. Tuttavia il suo bel libro è lungi dall’esaurire la materia. Senza parlare di alcuni monumenti già conosciuti, come il S. Marco di Rossano, la Roccelletta di Squillane o la Cattedrale di Gerace ch’egli menziona solo di passaggio, ci sembra che in questa Calabria montagnosa e difficile, poco visitata, poco esplorata, vi sia ancora molto a cercare e a scoprire, si tratti di abazie basiliane o di monasteri benedettini o cistercensi, sui quali ultimi nessuno studio serio è stato ancor fatto. Orsi insiste vivamente sulla necessità di queste ricerche e sui risultati che se ne può sperare. «Converrà — egli scrive — soprattutto volger l’occhio alle lauree trogloditiche, che forse ci riveleranno documenti della genuina pittura bizantina. Converrà ricercare le necropoli delle tre grandi fortezze bizantine della regione, Rossano, Cotrone e Gerace: converrà intensificare la ricerca topografica di queste zone dove le agiografie e le pie leggende segnano più intensi focolari di vita basiliana». Le scoperte fatte da P. Orsi mostrano tutto ciò che ci si può aspettare da una attenta esplorazione della Calabria: altre scoperte recenti confermano l’opinione ch’egli esprime e il voto ch’egli emette. E così dobbiamo approvarlo di tutto cuore quando raccomanda come un obbligo che s’impone al Governo, la conservazione e lo studio di monumenti — delle pitture in particolare — di cui più d’uno, nell’Italia meridionale, è scomparso per mancanza di cure. Gli sforzi di P. Orsi hanno salvato dalla rovina la Cattolica di Stilo e forse altri monumenti ancora. In ogni caso il suo bel libro contribuirà, come egli si augura, a sviluppare il gusto della storia e dell’arte. È un grande servizio che P. Orsi rende al suo Paese e alla scienza, e tutti coloro che lo conoscono sottoscriveranno queste parole con le quali egli chiude la sua prefazione: «Ho la coscienza di aver compiuto in un ventennio il dover mio con passione ed amore verso una regione che mi ha dato soddisfazioni spirituali e scientifiche indimenticabili ».
Charles Diehl.
NOTE
- Orsi, Le chiese basiliane della Calabria, con appendice di A. Caffi. « Collez. Merid. », Firenze, Vallecchi, 1929.
- La figura non ricorda in nulla il tipo iconografico ben conosciuto del Bisogna vedervi piuttosto, io penso, un santo anacoreta il cui nome ci resta ignoto.
- Mi sembra che vi siano (pag. 219) alcuni errori nella lettura dell’Orsi. Nel primo testo, assai difficile a decifrare, la linea 3 porta chiaramente le lettere CIA, fine della parola , ἐκκλησἱα, il cui principio deve ricercarsi alla fine della linea In questa stessa linea 2 ταὑτη benché sembri di lettura esatta, è un po’ sconcertante. Nel secondo testo segnalo semplicemente un errore tipografico alla linea 6, ove bisogna leggere : μνἱσθιτι τοῦ δούλου. Alla linea 2 bisogna leggere σπαθαρουκανδιδἀτου, in una sola parola, forma più esatta del titolo. Alla linea 9 è impossibile di supporre una parola come κατἐθαφθη, e non credo che l’iscrizione sia funeraria. Si legge distintamente τοῦ κ(αι) CVNΔPA….. MOTOV, che non arrivo ad interpretare. Alla linea 10 al posto di ἐντἀδε, la pietra porta εν ταῦτη. Mi domando, guardando la fotografia (fig. 150) se non vi sia una linea 12 assai mutilata, e che completerebbe il senso del documento. Parallelamente a pag. 143 bisogna correggere la trascrizione e leggere Ζῶξοις, ed a pag. 141 al posto di Atanasio Calceopito leggere, come lo porta il testo, Calceopulos (ΧΑΛΚΕΟΠΥΛΟC),
Foto RETE
2 Replies to “CHIESE BIZANTINE E NORMANNE IN CALABRIA”
grazie di avermi fatto conoscere un po’ della storia normanno-bizantina in terra di Calabria. Se la tarda età e gli acciacchi non me lo impedissero comincerei già domani a pianificare il mio prossimo viaggio. Continuate nell’opera di conservazione. Un cordiale saluto, Renato
Grazie a lei.
E lunga vita alla curiosità intelligente e all’amore per la bellezza.
Saluti cordiali