U SABBURCU, ovvero IL SEPOLCRO

 

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II Giovedì Santo, secondo un’usanza nata durante la Controriforma, si svolge la pia pratica della visita ai sette sepolcri, a sette chiese dove è avvenuta la reposizione eucaristica. Per l’occasione si preparano addobbi di fiori da mettere accanto all’altare.

I sepolcri traggono origine da una cerimonia liturgica che risale al secolo XI quando la riserva eucaristica non venne più deposta in sacrestia ma su un altare o in un luogo appositamente preparato. Il termine «sepolcro» fu adottato impropriamente – al giovedì infatti non si commemora ancora la morte del Cristo – a causa della successiva usanza popolare di erigere una rappresentazione del sepolcro dove venivano solennemente deposte o, come si diceva, «sepolte», la Croce dell’altare e la santissima Eucarestia:

«I fedeli l’ornavano copiosamente di fiori e di lumi, e vi facevano giorno e notte la veglia pregando o salmodiando sino all’alba della Pasqua; l’Eucarestia era allora riportata processionalmente all’altare».

Con l’epoca barocca i sepolcri si trasformarono in sontuose macchine teatrali effimere. Oggi li si allestisce con molti fiori e con immagini che rappresentano episodi della Passione.

Ma, oltre alla tradizione dei fiori, v’è un’usanza singolare. Prima del periodo pasquale si seminano chicchi di grano o di orzo in piatti da tenere nella penombra e innaffiare spesso. Le piantine sbocciano in brevissimo tempo sicché i germogli si possono esporre per il Giovedì Santo nei sepolcri dove i fedeli si recano per la visita tradizionale. Quei germogli, detti a Taranto «piatti del Paradiso», [ ad Orsomarso “lavuru] sono i simboli della Resurrezione del Cristo.

Si tratta di una ritualità originariamente pagana: i Greci onoravano, infatti, il loro dio Adone preparando in suo onore i cosiddetti «giardini di Adone», ceste o vasi pieni di terra dove si seminavano grano, orzo, lattuga, finocchi e varie specie di fiori. Il calore del sole primaverile faceva germinare molto rapidamente le piante che, non avendo radici, appassivano altrettanto velocemente e dopo otto giorni venivano gettate con le statuette di Adone in mare o nelle sorgenti affinchè propiziassero il rinnovamento della natura.

Adone, che era adorato in tutta l’area mediterranea, si chiamava in Siria Tammuz, ma i fedeli gli si rivolgevano con il nome di Adon, cioè Signore. Tammuz, che scendeva negli inferi alla Canicola per risorgere sei mesi dopo, era diventato in tutto l’Oriente il dio della resurrezione: lo ricorda nell’Antico Testamento il profeta Ezechiele scandalizzato perché persino le donne di Gerusalemme si lamentavano per la sua morte all’ingresso del tempio che guardava a settentrione. Il suo culto si diffuse anche nel mondo greco dove sorse la leggenda di Adone, il bel fanciullo amato da Afrodite e ucciso da un cinghiale inviato dal geloso Ares. Ovidio narrava che dal sangue del giovinetto era sbocciato un fiore vermiglio, l’anemone, che dura pochissimo.

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FONTE: LUNARIO, di Alfredo Cattabiani – Mondadori

FOTO: ORSOMARSO – Sabburco nella chiesa di S.G. Battista

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