L’IDEA DELLA MORTE SECONDO LA TRADIZIONE GRECA

Nella fantasia popolare greca e in alcuni miti molto antichi la morte appare come un’entità maschile: si chiama Thànatos, è figlio della Notte e fratello dei Sonno. Non è venerato come una vera e propria divinità; non ama ricevere doni e anche gli dei, per quanto immortali, lo detestano.

La mentalità comune dell’uomo greco considerava la morte come un momento di passaggio dal mondo terrestre, riservato alle anime in unione con i corpi vivi, al mondo sotterraneo, riservato alle sole anime dei defunti. Nel momento del trapasso l’anima, entità inconsistente e fragile, usciva dal corpo attraverso la bocca e si dirigeva verso gli Inferi, il regno dei morti. Se l’individuo aveva vissuto una vita lunga e aveva raggiunto la vecchiaia la sua ombra era appagata; se invece era morto giovane o comunque di morte violenta l’anima se ne andava corrucciata, rimpiangendo la luce dei sole che non avrebbe mai più rivisto.

La concezione comune tendeva quindi a considerare la morte come un trapasso a una nuova forma di vita, più tetra e più triste di quella terrena, perché non rischiarata dalla luce solare. La concezione originaria non prevedeva, nell’aldilà, distinzioni tra premi e castighi da conseguire in base alla condotta tenuta sulla terra. Tutte le anime, indistintamente, raggiungevano le pianure degli asfodeli, dove si aggiravano mestamente e rimpiangevano il mondo dei vivi. Alcune credenze più tarde alludono però alla presenza, nel regno dei morti, dei Campi Elisi e delle Isole dei Beati, luoghi privilegiati di beatitudine riservati alle anime dei buoni, degli onesti, dei saggi e degli eroi. Allo stesso modo in alcuni miti si parla del Tartaro, la zona più buia e profonda dell’oltretomba, ove vengono punite con atroci supplizi le anime dei malvagi. Secondo queste concezioni, Minosse, Eaco e Radamanto erano i giudici infernali: a loro le anime si recavano appena giunte nell’aldilà e da loro apprendevano il destino che le attendeva.

Il regno dei morti era governato da Ade e dalla sua sposa Persefone, che viveva sottoterra col marito nei mesi invernali e risaliva a primavera in superficie per ricongiungersi con la madre Demetra.

Nel mondo sotterraneo dimoravano anche le Erinni o Furie, entità mostruose simbolo del rimorso, e Ecate, divinità lunare connessa alla notte, alle streghe e ai fantasmi. Il confine tra mondo dei vivi e regno delle ombre era segnato dalle sacre acque della palude Stigia (o secondo alcune varianti del mito dal fiume Acheronte). Qui il nocchiero Caronte aveva il compito di traghettare sull’altra sponda le anime che accorrevano sempre numerose, desiderose di raggiungere la pace e l’oblio della morte. Le condizioni per essere imbarcati e trasportati erano due: il defunto doveva aver ricevuto regolare sepoltura da parte dei vivi, altrimenti la sua anima era costretta a vagare senza posa per l’eternità sulla riva dei fiume; inoltre, doveva “pagare” il tragitto: per questo si poneva sotto la lingua dei morto una moneta (l’obolo) da dare a Caronte. I contatti tra il mondo dei vivi e quello dei morti erano rari ed eccezionali.

Pericolosissima per il vivo era la discesa agli Inferi: una via senza ritorno che solo pochissimi eroi ( Eracle, Orfeo ) avevano tentato con successo. Cerbero, mostruoso cane a tre teste, montava la guardia affinché nessun vivo si azzardasse a scendere nel regno delle ombre. Le anime dei morti potevano invece venire evocate per mezzo di sacrifici in cui si offriva loro il sangue, simbolo di vita, oppure potevano manifestarsi ai vivi attraverso i sogni.

Completamente diverse erano le teorie filosofiche e misteriche sulla morte. Secondo gli orfico-pitagorici la morte segnava per l’anima solo una delle varie tappe nel processo delle reincarnazioni che l’avrebbero condotta alla purificazione finale. Il corpo, di conseguenza, non era altro che una transitoria “tomba dell’anima”. Platone si rifece a questa concezione, sostenendo l’immortalità e l’origine divina delle anime.

Altri filosofi materialisti, come Epicuro, affermavano invece che l’anima è mortale, in quanto sostanza composta di materia, destinata a disgregarsi e a trasformarsi col corpo. Quest’ultima concezione mirava a eliminare nell’uomo le paure legate al destino che lo attendeva dopo la morte.

I culti misterici tendevano invece a rendere bene accetta l’idea della morte agli affiliati, promettendo una sorte felice di beatitudine, di luce e di salvezza nell’aldilà.

Fonte: —http://webcache.googleusercontent.com/search?q=cache:http://cenacolo71.racine.ra.it/idea.html

Foto: RETE

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